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Dall’India alle Filippine si ammazzano indigeni e contadini

Mascherare la repressione pura e semplice, in molti casi l’esecuzione extragiudiziale, come “operazione militare contro la guerriglia” rientra nei metodi, nello “stile”, delle guerre a bassa intensità (per quanto “bassa” risulti spesso un eufemismo).

Lo si è visto in America Latina, dalla Colombia al Guatemala, dove venivano venduti ai media come cadaveri di combattenti i poveri corpi massacrati di contadini e indigeni. Talvolta interi villaggi.

O addirittura esibirli come vittime della guerriglia.

Per esempio in Colombia era pratica consolidata quella di attribuire alle FARC o all’ELN la responsabilità dei massacri di civili operati dall’esercito, dalla polizia, dai paramilitari o da squadroni della morte (in genere legati al narcotraffico).

Del resto succedeva anche in India. Solo neldicembre 2019, dopo quasi otto anni, una commissione guidata dal giudice V.K. Agrawal aveva finalmente stabilito la verità in merito agli eventi di Sarkeguda dove, nel giugno 2012, vennero assassinati 17 adivasi (gli aborigeni dell’India), di cui sette bambini. Un massacro ufficialmente presentato come uno scontro con la guerriglia maoista, i naxaliti. Quel mattino i paramilitari (le CRPF) avevano circondato gli abitanti del villaggio riuniti per la festa tradizionale di Beej Pondum aprendo quindi il fuoco. Successivamente si erano scatenati infierendo ulteriormente sulle persone ferite rimaste a terra.

Due recenti episodi sembrerebbero riproporre lo schema. Il primo ancora in India, l’altro nelle Filippine.

Il 25 ottobre tre indigeni adivasi, esponenti del Partito Comunista dell’India (Maoista), sono stati uccisi dalle forze di sicurezza nei pressi della frontiera tra gli Stati del Telangana del Chhattisgarh.

Si trattava di quadri a livello regionale del partito, ma non di esponenti della guerriglia naxalita. Come invece ha cercato di dar a intendere un comunicato delle forze di sicurezza parlando di uno “scontro a fuoco” che in realtà non sarebbe mai avvenuto. Stando almeno a quanto dichiara il PCI (M) che definisce l’episodio “un’esecuzione mascherata da combattimento”. Va detto che i naxaliti rivendicano sempre le loro operazioni e i militanti caduti in combattimento. L’accusa alle forze di sicurezza di aver agito come una squadra della morte va quindi presa in seria considerazione. Di conseguenza il PCI(M) ha chiamato la popolazione della regione a sollevarsi con uno sciopero generale contro la triplice barbara esecuzione.

Quasi contemporaneamente nelle Filippine il capo della polizia nazionale – generale Guillermo Eleazar – si è complimentato con l’ufficio regionale della polizia 5 (PRO-5) per aver “neutralizzato” (ossia ucciso) cinque presunti appartenenti a NPA (Nuovo esercito popolare) a Barangay Bugtong (provincia di Masbate). Ma anche in questo caso, come ha immediatamente denunciato il Partito comunista delle Filippine (ramo politico di NPA), si trattava di semplici contadini, non di guerriglieri. Anche perché in questa zona notoriamente non è presente alcuna unità di NPA.

Gianni Sartori