Sandra Berardi, attivista di Yairaiha Onlus, nel suo libro “Carcere e Covid” ha ripercorso puntualmente le condizioni di vita preesistenti nelle carceri, fino ad analizzare il ruolo dei media sulle rivolte di marzo 2020
di Damiano Aliprandi
Tutto comincia dalle prime notizie di strani contagi, con tanto di morti, che avvenivano nella megalopoli cinese di Whuan. Ci sembrava una situazione lontana dai nostri occhi, un qualcosa che riguardava altrove. Esattamente come le carceri, quelle notizie apparivano come qualcosa che riguardassero altri. Ma poi quel qualcosa ha avuto dapprima un nome, il Covid 19, e infine ha riguardato anche noi. E come ogni cigno nero, la pandemia ha messo a nudo tutte le nostre fragilità e, nello stesso tempo, ha fatto emergere e poi “scoppiare” tutte quelle contraddizioni che riguardano le cosiddette istituzioni totali, tra le quali le nostre patrie galere.
Ebbene, Sandra Berardi, attivista di Yairaiha Onlus che si occupa quotidianamente delle condizioni di vita dei detenuti, nel suo libro “Carcere e Covid”, da poco anche in versione cartacea edito da “stradebianchelibri”, ha ripercorso puntualmente le condizioni di vita preesistenti all’interno delle carceri, fino ad analizzare il ruolo dei mass media in merito alle rivolte del marzo del 2020.Interessante, per capire il vero motivo delle rivolte, è il capitolo relativo alla paura del virus dietro le sbarre. Sandra Berardi ricorda che le informazioni riguardo al Covid-19 sono entrate nei 189 istituti penitenziari italiani attraverso gli unici media disponibili e presenti in tutte le celle: radio e televisione e, in minima parte, quotidiani. «Immagino – scrive Berardi nel libro – l’ingresso delle prime, frammentarie, notizie tra gennaio e febbraio essere state seguite con disattenzione dalla popolazione detenuta. E immagino l’attenzione aumentare via via che le notizie divenivano più insistenti. E, assieme all’attenzione, immagino la paura trasformarsi in panico. Paura per i propri cari, innanzitutto. Paura per sé stessi e per i compagni di cella. Paura perché drammaticamente consapevoli della precarietà della sanità penitenziaria».
Le lettere dei detenuti ricevuti dall’associazione Yairaiha Onlus
Per aiutare alla comprensione del dramma psicologico dei reclusi, questo fondamentale capitolo del libro viene alternato dalle lettere dei detenuti che riceveva l’associazione Yairaiha Onlus. La maggior parte delle lettere sono denunce riguardante l’assistenza sanitaria e i tanti detenuti malati, con patologie che – una volta contratto il Covid – diventeranno mortali». Sandra Berardi spiega esattamente il panico in cui vivevano i detenuti. Il ruolo dell’informazione che creava allarme, le inevitabili restrizioni per ridurre i contagi. Chiusure totali. E per chi viveva dentro, inevitabilmente la paura si era amplificata a dismisura. Lo spiega bene. A differenza delle autorità elvetiche che hanno puntato al dialogo con i detenuti, evitando così il prevedibile acuirsi della tensione nella condizione eccezionale che si stava determinando, quelle italiane hanno imposto, di punto in bianco, le restrizioni.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso sono state le sospensioni dei colloqui. «L’unica relazione umana e affettiva concessa a chi è in carcere, con l’aggravante – sottolinea Berardi nel libro – di averlo comunicato quando i familiari erano già fuori i cancelli in attesa di entrare, con tutte le implicazioni anche emotive che tale attesa comporta già in condizioni normali. «Una notizia che ha aggiunto al panico provocato dalle notizie sul Covid senso di impotenza di fronte a eventi incontrollabili. E dal panico, dal senso di impotenza è sfociata la rabbia», chiosa l’attivista di Yairaiha Onlus.Per chi è a digiuno di carcere, è difficile comprendere quanto sia fondamentale questo passaggio del libro. In mancanza di conoscenza, è stato facile sfociare nella dietrologia, il complotto.
I media hanno rappresentato una situazione distorta
I soliti giornali, al servizio di taluni magistrati che dei teoremi giudiziari ne hanno fatto fonte di carriera, hanno parlato di rivolte organizzate dalla mafia per ricattare lo Stato. Il complottismo funzionale allo Stato di polizia. Nascondere i veri problemi, per ridurre i diritti. Forse, anche per questo gli stessi agenti d polizia penitenziaria si sono sentiti legittimati a reagire – a sangue freddo- con manganellate e pestaggi. Rivolte dove sono scappati i morti, dove giorni dopo si sono verificate le “mattanze” come a Santa Maria Capua Vetere.
Tutto questo – tranne alcuni giornali come Il Dubbio, e ringraziamo Sandra Berardi per averlo sottolineato nel libro – è stato sottaciuto, mentre le trasmissioni come, ad esempio, “Non è l’Arena” di Giletti hanno creato le indignazioni sulle cosiddette “scarcerazioni”. Un capitolo, quest’ultimo, affrontato dal libro “Carcere e Covid”. Sandra Berardi ha ripercorso la dinamica di quella trasmissione, scandendo ogni particolare, facendo capire al lettore che si trattava di una vera e propria commedia, ma molto amara. Il messaggio fuorviante che è passato è stato questo: 300 boss di elevato spessore criminale appartenenti al circuito del 41 bis sono stati scarcerati! Il Dap non è in grado di gestire le carceri, i mafiosi sono tornati a casa, siamo tutti in pericolo! Una bufala, che però ha costretto l’ex ministro Bonafede a reagire con decreti emergenziali e restrittivi. Diversi detenuti malati sono rientrati in carcere. Alcuni di loro, hanno poi contratto il covid e sono morti. Il libro di Sandra Berardi va letto tutto, utile per la conoscenza. Un libro che racconta i fatti, evocando anche le parole di Fiammetta Borsellino, figlia del giudice ucciso brutalmente dalla mafia, dove parla di giustizia e non di vendetta. La verità è sempre rivoluzionaria, e in questo libro se ne comprende il motivo.
da il dubbio