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Caso Bianzino: Una morte troppo "naturale"

«A uccidere Aldo Bianzino, morto a ottobre nel carcere di Perugia, sarebbe stato un aneurisma. A stabilirlo è stata la perizia del medico legale. Un risultato che però lascia ancora troppe ombre e che non convince la famiglia di Aldo
Aldo Bianzino morì per cause naturali. La perizia medico legale depositata dai dottori Anna Aprile e Luca Lalli sembra non avere grandi dubbi e tutti i dati «depongono per una emorragia sub-aracnoidea dovuta a rottura aneuristica» che produsse «un’insufficienza cardio-respiratoria». Che uccise Aldo. Inoltre il suo corpo non riporta traumi evidenti, il che fa scrivere ai due medici che «la possibilità che Bianzino possa avere subìto un insulto traumatico anche modesto in grado di produrre la rottura dell’aneurisma cerebrale deve essere considerata un’ipotesi non supportata da alcun dato biologico». Un trauma per la verità c’è, al fegato. Che risulta strappato e lacerato. Ma, come attesta la letteratura medica, casi di massaggio cardiaco che hanno portato a questi risultati, pur se rari, se ne trovano. Aldo Bianzino entrò nel carcere perugino di Capanne il 12 ottobre dell’anno scorso. Stava bene. Era «calmo e tranquillo». Poi la mattina del 14 un aneurisma, un piccolo rigonfiamento di un vettore sanguigno, esplode. Viene soccorso alle otto, dopo che una guardia si accorge del suo corpo inanimato sul lettino della cella. I medici del carcere le provano tutte: gli fanno anche un massaggio cardiaco che dura 22 minuti. Inavvertitamente gli fanno a pezzi il fegato. Ma non c’è nulla da fare. Quando arrivano i dottori del 118, alle 8.30, c’è solo da constatare il decesso. Tutto è chiaro, limpido quasi certo. La perizia ammette alcune zone d’ombra. Si spinge addirittura a scrivere che «può ascriversi a lata ipotesi» l’idea che Aldo «possa essere stato colpito con modalità in grado di mascherare lesività esterne». Suggerisce che forse, visto che tra l’emorragia e la morte passarono alcune ore, da due a otto, qualcosa si poteva fare pur se resta difficile determinare cosa. Forse.In buona sostanza, Bianzino aveva nel corpo una bomba a tempo che prima o poi sarebbe esplosa: fu colpa del carcere se accadde in quel momento? La perizia non sembra escluderlo ma esclude che vi sia stato un evidente elemento scatenante. A restare alle parole fredde della perizia, e ai commenti a caldo delle guardie penitenziarie di Capanne che hanno accolto con sollievo le conclusioni dei due medici incaricati dalla procura, tutto sembra procedere senza una grinza. Un uomo condannato dal suo destino vascolare entra in carcere così come sarebbe potuto entrare in pasticceria. La bomba a tempo lavora contro di lui. Esplode quando meno se l’aspetta. Muore nel suo letto forse senza un lamento chissà se chiamando aiuto (gli altri detenuti dicono che lo fece) durante un lasso di tempo di due-otto ore. Sconvolto decide anche, chissà come, di mettersi completamente nudo. O furono i medici a spogliarlo forse cercando l’origine del male oscuro in momenti di tensione che, per massaggiargli il cuore, fecero loro lacerare il fegato a un uomo già morto? Il 118 lo trova nudo in corridoio, altra bizzarria descritta dai referti. Alle 8.30 ne constata il decesso e poi però, tre quarti d’ora dopo, un funzionario del carcere va a chiedere alla moglie, Roberta Radici, se suo marito ha inghiottito qualcosa perché è in coma. Una finzione apparentemente senza senso per una morte naturale. Ma tutto ciò è ora compito del magistrato che ha in mano una perizia che non risolve se non il particolare che Bianzino morì di aneurisma. Una sacca di sangue che si rompe per maturità o per un aumento della pressione arteriosa dovuto, dice la letteratura, a svariate cause: dall’attività sessuale a un forte stato di tensione emotiva, di ansia. Dopo tanti «si dice» la perizia medica adesso c’è. Ma troppe domande restano ancora senza risposta.
Emanuele Giordana Lettera22