«Quando sono arrivato ho capito che saremmo finiti in tribunale». Luca Casoni non è stato – finora – un personaggio di primo piano nel caso della morte del diciottenne Federico Aldrovandi, per la quale sono alla sbarra quattro agenti della questura di Ferrara con l’accusa di omicidio colposo. Ma è un vice sovrintendente della questura, con «vent’anni di strada sulle spalle», come dice lui. La notte del 25 settembre 2005, quando Federico muore, è il responsabile dell’ufficio denunce e il primo dei superiori ad arrivare sul posto. Ieri ha aperto la coorte di dirigenti e responsabili che hanno gestito la situazione dopo il decesso e che ora sono chiamati a testimoniare davanti al giudice Francesco Maria Caruso. Casoni ha raccontato che da subito gli avvenimenti di via Ippodromo hanno preso una piega strana e allarmante.Glielo comunica con preoccupazione in questure il responsabile del centralino, Marcello Bulgarelli, quello che riceve le chiamate dei cittadini e comanda i servizi. «Bulgarelli -racconta Casoni – mi fa: c’è qualcosa che non mi torna. Credo si riferisse al fatto che la volante chiedesse subito un ausilio». Casoni si fa immediatamente accompagnare sul luogo: quando arriva Federico è già per terra, «accerchiato» dai sanitari. Poco dopo chiamerà di nuovo Bulgarelli. E la telefonata che intercorre tra loro è un nuovo piccolo «giallo». Si sente Bulgarelli che chiede: «Mi puoi dire cosa è successo?». Casoni che abbassa la voce. Poi la telefonata cade. Ieri il vice sovrintendente è stato onesto: «Ammetto che forse ho detto “stacca”, perché non volevo che fosse registrato niente». «E perché?», ha chiesto il pm Nicola Proto. Ma su questo punto i ricordi del poliziotto si interrompono: «No, credo solo perché il nostro è un linguaggio da caserma, soprattutto in situazioni come quelle». Quelle situazioni per cui si finisce in tribunale. La memoria di Bulgarelli è ancora più confusa: lui neanche si ricorda di aver visto Casoni nel suo ufficio e di avergli espresso preoccupazione. La sua, come quella dei cittadini residenti nelle case adiacenti via Ippodromo, è una deposizione piena di «non ricordo». Ma, in questo caso, la ricostruzione degli avvenimenti è indispensabile per chiarire la gestione delle fasi successive alla morte del ragazzo. Certo, non si tratta dell’oggetto del processo – che deve spiegare cosa e chi abbia ucciso Aldrovandi – come non mancano di ricordare gli avocati della difesa. Tuttavia gli imbarazzi della polizia (incaricata anche di svolgere le indagini) rafforza l’idea che si sia cercato di gestire «in casa» il problema. E d’altronde i «disguidi» seguiti alla morte di Aldro – per esempio i brogliacci cancellati e riscritti – sono già oggetto di un’indagine bis in cui è indagato tra gli altri proprio Bulgarelli, l’uomo che ha compilato le trascrizioni delle telefonate. Correzioni che riguardano gli orari di intervento delle volanti, sulla cui successione continua a esserci confusione. Ieri Bulgarelli ha spiegato che su una delle linee (in tutte sono tre) il registratore era rotto. Inoltre, pare che vengano registrate esclusivamente le comunicazioni telefono-radio e non quelle via radio. Ciò non aiuta a fare chiarezza sull’orario di intervento. Ad esempio: la prima volante parte dopo la segnalazione della cittadina Chiarelli (ore 5,47) oppure era già partita? Cercare di scoprirlo sarà difficilissimo.Fatto sta che, come ha aiutato a capire ieri la testimonianza dell’ispettore della polizia giudiziaria Dossi, la scelta dei dirigenti quella mattina fu di non sequestrare nulla, ne la macchina incidentata né i due manganelli rotti che compaiono solo il pomeriggio. Dossi ha anche raccontato le drammatiche sequenze riferite quella mattina dai poliziotti: un ragazzo che li aggredisce e con cui ingaggiano una violenta colluttazione, che non riescono ad afferrarlo. Ma nessuno usa il defibrillatore in dotazione a una delle macchine. Infine, il giudice ha deciso di acquisire nuove fotografie: sono quelle del corpo di Federico steso sull’asfalto con una enorme macchia di sangue dietro la testa. Finora non erano state messe agli atti.
fonte: il manifesto
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