Autorizzando un contratto con Frontex, l’agenzia europea di controllo delle frontiere, il Politecnico di Torino ha, né più né memo, abdicato al presunto ruolo di «neutralità del sapere» per sposare quello di servizio della polizia europea di frontiera.
Di che si tratta? In sostanza di elaborare carte e mappe utilizzabili dall’agenzia Frontex nel controllo e nell’espulsione di migranti e richiedenti asilo. Forse i signori senatori del Politecnico ignorano che cosa sia Frontex e quindi vale la pena rinfrescare loro la memoria.
Frontex è l’agenzia che recluta il personale tra poliziotti e guardie di frontiera, con sede a Varsavia (la Polonia è uno dei paesi più xenofobi della Unione europea, sotto infrazione della Commissione per violazione dello stato di diritto) e dovrebbe coordinare l’azione dei vari stati membri di «difesa» delle frontiere.
Recentemente, è stata criticata come inefficiente da diversi osservatori europei, e il suo direttore è stato sulla graticola per l’eccesso di spese e di costi. Soprattutto, Frontex è stata accusata di aver collaborato con il governo greco nell’espulsione di rifugiati privati del diritto di chiedere asilo nell’Unione europea.
Naturalmente, il sito di Frontex traveste con odioso linguaggio manageriale la natura e le attività di questa organizzazione di polizia internazionale. L’aspetto più notevole dell’ accordo tra Politecnico di Torino e Frontex è infatti la sua ipocrisia. Dopo aver deliberato a favore di una commessa che porterà soldi nelle casse del Politecnico, in cambio però di carte nautiche da usare nei respingimenti, i prodi senatori avvertono che ciò avverrà «purché nel rispetto dei diritti umani».
Forse è davvero il caso di illustrare come pratica il «rispetto» Frontex.
Passiva ai limiti della pusillanimità, quando si tratta di salvare migranti e profughi nei gommoni, Frontex è attivissima nell’organizzare le espulsioni nei paesi d’origine o, meglio, di transito di migranti e profughi. Questo vuol dire rimandare afghani, iracheni, curdi, migranti subsahariani ecc. in noti santuari del diritto come Libia, Turchia ecc. dove, naturalmente, spariranno per essere assorbiti dal nulla dei campi profughi, delle baraccopoli e delle bidonville allestite da Lukashenko, Erdogan e dai vari tagliagole libici.
Ma ne sanno qualcosa i senatori del Politecnico? Ce ne sarà qualcuno che verrà allo scoperto?
Chi conosce l’Università sa che l’etica non vi trionfa spesso. Ma i senatori dovrebbero essere consapevoli che le carte e le mappe, per innocenti che possano sembrare, non lo sono affatto.
Sono oggettive delazioni geografiche che si trasformano in strumenti di esclusione in mano a poliziotti e doganieri, razionalizzazioni di procedure che, in certi casi, si concludono con la morte dei migranti in miserabili terre di nessuno o in fondo al mare.
Ecco di cosa veramente si tratta. Saranno capaci questi senatori, che pure parlano di diritti umani dove il diritto è purtroppo assente, di guardare ben al di là dei loro piccoli interessi accademici?
Noi ne dubitiamo.
Qui non è in gioco solo la moralità della collaborazione tra un dipartimento e una discussa organizzazione poliziesca, sottratta di fatto ai controlli del Parlamento europeo, ma il ruolo delle istituzioni culturali e scientifiche in un mondo militarizzato in cui si sovrappongono ossessione per la sicurezza e persecuzione delle stateless persons.
Oggi parliamo di mappe geografiche terrestri e marine. Domani, e forse già oggi, di droni e sistemi d’arma. Ecco perché un contratto come quello di Torino va denunciato e fermato.
da il manifesto