La percezione del disastro è sempre più diffusa, si ricomincia a sentire il rumore delle ambulanze in giro per le città, sui posti di lavoro cluster incontrollati di contagi vengono ignorati quasi completamente e i lavoratori sono costretti in autonomia a mettere in campo strategie per evitare di ammalarsi o scegliere consapevolmente di accettarne il rischio pur di portare il pane a casa. Negli ospedali la pressione cresce, medici e infermieri si ritrovano nuovamente a dover fare scelte difficili in una condizione molto spesso di disillusione generale nel mezzo di una confusione totale. Intanto il governo insiste sulla linea dell’avanti tutta, fino a quando le terapie intensive non scoppieranno e il contagio avrà generato altre migliaia di morti tra le persone più fragili l’unica stella polare sarà quella di salvaguardare i profitti privati. Lo scarico verso il basso della crisi pandemica sta raggiungendo vette inaspettate ed il governo di fatto, nonostante l’enorme investimento propagandistico sulla campagna vaccinale, sta assumendo a tutti gli effetti una linea di condotta di darwinismo sociale alla stregua di quello di Bolsonaro ed altri, le cui ovvie conseguenze sono evidenti ormai a tutti.
Qui si vede la materia ipocrita di cui sono fatti i giornali liberali, i partiti politici e i sindacati confederali. Dove il soluzionismo tecnologico che ha come apoteosi la fede cieca nel vaccino (lo ripetiamo, per noi strumento necessario, ma non sufficiente) si sposa con le necessità negazioniste del capitale nell’ennesimo apparente paradosso di questa pandemia. Nel frattempo La Repubblica ci regala il suo identikit classista del No Vax, mentre il governo che sostiene non ha nulla da invidiare ai vari Viganò e Trump.
L’obbiettivo, la scommessa, è chiaro, è quella di un’ulteriore normalizzazione della pandemia, nella speranza che la copertura vaccinale delle terze dosi (e delle quarte a questo punto per i più anziani) sia raggiunta abbastanza in fretta da evitare il collasso totale, ma questo esperimento sociale avrà in ogni caso dei costi enormi e debolissime possibilità di riuscita.
L’evidenza è già nello stato delle cose: la polemica politica sulla chiusura / apertura delle scuole in realtà è per lo più una recita perché di fatto a determinare le preoccupazioni di chi è più vicino al campo di battaglia non è il benessere psicofisico di allievi e personale, ma è il dato di fatto che i lavoratori e le lavoratrici della scuola contagiati e indisponibili al lavoro rappresentano già oggi un numero così significativo da renderne quasi impossibile l’operatività. Ma le scuole non possono chiudere, è ovvio, anche qui non per qualche investimento etico-morale della politica nei confronti di questa istituzione (altrimenti ristrutturare il sistema della formazione, rivedere le strutture scolastiche, investire su assunzioni e formazione del personale sarebbe stata una priorità già da tempo), ma piuttosto perchè non si saprebbe dove parcheggiare i giovani durante i tempi di lavoro dei genitori.
Lo stesso inizia a valere per molti di quei lavori cosidetti essenziali più a contatto con il pubblico. Treni regionali, ma anche su tratte lunghe vengono soppressi quotidianamente con migliaia di pendolari che devono assumersi sulle proprie spalle il costo di questo disagio. Si può immaginare che anche nel campo del trasporto di merci gli scenari siano simili.
Perchè il capitalismo in Italia ormai è così (e sempre di più lo è in generale): è innervato di un pensiero di corto respiro basato sul valore aggiunto che si può accumulare in fretta e furia a scapito di tutto e tutti. E’ la predazione più totale, senza veli e finzioni, dove pur di mettere in tasca gli extraprofitti del periodo festivo si mettono in conto migliaia di morti. Ma questo genera a sua volta un continuum di nuove crisi di realizzazione che a catena stanno contagiando ogni ambito del vivere umano.
Qui ed oggi la lotta contro il capitalismo è lotta per la sopravvivenza di un qualche anelito di vita associata. Il vero pensiero unico, la vera catastrofe è quella che impone i profitti in cima ad ogni agenda politica.
Lo scenario dei prossimi tempi dipende da quello che vedremo nelle settimane a seguire, se una reazione proletaria alla crisi tra meccanismi di sottrazione ed esplosioni espicite di conflitto per quanto flebili riusciranno a rompere il quadro di questo tentativo di normalizzazione o se il ricatto imposto tra salute e lavoro prevarrà, quello che rimane certo è che la capacità delle borghesie di offrire un modello di vita e società desiderabile è sempre più in crisi, e in questa faglia può nascere il nuovo, o può insediarsi la barbarie.
da InfoAut