Migranti: Gli Stati collaborano per respingere ma non per soccorrere
Ancora un naufragio nel Mediterraneo centrale.
di Fulvio Vassallo Paleologo
Da mesi si diffondono notizie sulla collaborazione tra gli Stati costieri che sono impegnati nel Mediterraneo centrale per “combattere l’immigrazione illegale”, attingendo a finanziamenti europei e contando sulle segnalazioni provenienti dagli assetti aerei dell’agenzia Frontex. Una politica che asseconda, ed in parte incrementa, lo smottamento degli elettorati europei verso posizioni che negano il diritto alla vita, il diritto al soccorso ed il diritto di asilo. Come se per effetto della pandemia fossero diventate giustificabili le torture inflitte ai migranti intercettati in mare e riportati in Libia, come se il fine di difendere i confini avesse una valenza nella lotta contro il Covid, come faceva trasparire anche un malaugurato Decreto intergovernativo adottato dal governo italiano il 7 aprile del 2020.
Quanto sta accadendo in mare, con centinaia di vittime, dimostra la mancanza di un effettivo servizio di ricerca e soccorso all’interno della zona SAR impropriamente attribuita al governo di Tripoli, lo stallo del processo di riconciliazione nazionale, evidenziato dal rinvio del voto del 24 dicembre e l’allontanamento delle prospettive di riunificazione delle autorità di governo libiche. Anche se i media non lo riferiscono, in Libia si combatte ancora, anche se si tratta di una guerriglia invisibile, fatta di divieti di ingresso e di attacchi ai palazzi del potere.. La prospettiva di una spartizione del paese è sempre più concreta. Non si vede come in queste condizioni si possa parlare di una Centrale di coordinamento dei soccorsi in mare (MRCC) “libica”, malgrado il recente invio da parte dell’Italia di una nave militare carica di attrezzature destinate proprio a quella Centrale unificata (JRCC) che di fatto ancora non esiste.
Poche settimane fa, una nave militare italiana aveva trasportato a Tripoli una imponente quantità di materiale per costituire a Tripoli una base di coordinamento delle attività di soccorso in mare (MRCC) di cui la Libia evidentemente è ancora sprovvista, malgrado l’Italia e gli altri Stati europei abbiano preso atto della dichiarazione all’IMO di una zona SAR “libica”, già a partire dal 27 giugno 2018. Una prova ulteriore, oltre quanto già accertato in diversi processi penali, che la Libia, oltre a non possedere ancora oggi una consistenza territoriale unitaria, non è neppure dotata di una Centrale unificata per i soccorsi in mare. Le motovedette libiche operano soltanto attività di intercettazione, con numeri record, lo scorso anno oltre 36 mila persone sono state bloccate in acque internazionali e riportate a terra. Nlle mani dei torturatori dai quali erano fuggite, e questo con l’avallo dell’Italia e dell’Unione Europea. In Libia persino i richiedenti asilo sono divetati un target delle diverse milizie che si contendono il territorio.
Il diritto di asilo è stato praticamente azzerato come diritto di accesso ad un territorio per chiedere protezione. Una violazione eclatante delle Convenzioni internazionali, di cui si è avvalsa la politica dei “porti chiusi” inaugurata da Minniti, dopo il Memorandum d’intesa con le autorità di Tripoli, firmato giusto 5 anni fa, il 2 febbraio 2017, e poi proseguita da Salvini con i decreti sicurezza e con i divieti di sbarco. Scelte politiche che hanno portato ad una violazioen sistematica degli obblighi di soccorso imposti agli Stati, ed in particolare all’Italia ed a Malta dalle Convenzioni internazionali e dal diritto interno, ad una rarefazione della presenza di mezzi di soccorso statali nelle acque del Mediterraneo centrale, ed a una violenta campagna mediatica e giudiziaria contro le ONG che soccorrevano persone in acque internazionali. Una campagna che, malgrado le archiviazioni disposte dai tribunali, ha mdificato il sentimento comune degli italiani, ed ancora oggi produce avversione ed odio verso coloro che vengono soccorsi e verso i soccorritori.
Adesso, quasi in contemporanea con l’ennesimo naufragio vicino ai limiti della zona SAR libica,, giunge l’annuncio che la Libia è pronta ad attivare una Centrale di coordinamento dei soccorsi in mare, negli stessi giorni in cui il paese appare tanto diviso da non riuscire neppure a rispettare la scadenza prevista per l’elezione di un presidente e di un parlamento, e il controllo delle città costiere rimane conteso tra milizie che impediscono persino gli spostamenti dei contingenti militari italiani presenti a Misurata. Malgrado l’annuncio di un Coordinmento unificato delle attività di ricerca e soccorso nella cd. zona SAR “libica”, la situazione reale conferma che i naufraghi in difficoltà in quella zona, sono abbandonati al loro destino, se non sono intercettati dalle motovedette donate dall’Italia. O se non vengono soccorsi dalle navi delle ONG che però possono assicurare solo una presenza sporadica.
Questa situazione di abbandono nelle acque del Mediterraneo centrale è anche conseguenza diretta delle politica di chiusura dei porti di Malta, che non ha mai ratificato gli Emendamenti del 2004 alla Convenzione SAR di Amburgo del 1979, che la obbligherebbero a soccorrere tutte le persone individuate in situazione di “distress” nella vastissima zona SAR che si è attribuita, per ragioni economiche, e dell’Italia, che, dopo gli accordi con i libici, delega alle motovedette tripoline i respingimenti collettivi operati persino nella zona SAR maltese. Nessuna collaborazione di polizia è possibile con autorità di un paese che non garantisce neppure le basi minime di legalità che dovrebbero essere verificabili prima e durante gli accordi di cooperazione bilaterale ed i Memorandum d’intesa. Ma deve altrettanto escludersi che la Tunisia possa offrire porti di sbarco sicuri. Vanno richiamate al riguardo le considerazioni contenute in numerose sentenze che hanno trattato la controversa questione dei soccorsi nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale operati dalle ONG.
Intanto una parte delle partenze dei migranti in fuga dalla Libia avvengono dalle coste tunisine, e sono anche numerosi i tunisini che fuggono da un paese che non riesce neppure ad avere un governo realmente rappresentativo, e che deve fare i conti con le devastanti conseguenze economiche della crisi derivante dalla pandemia. E verso coloro che fuggono dalla Tunisia non si fa differenza se sono cittadini tunisini o migranti di altre nazionalità in fuga dagli orrori della Libia. Anche nei confronti della Tunisia l’Italia ha praticato da tempo la politica degli accordi bilaterali per delegare i respingimenti alle autorità di Tunisi, e sono stati forniti mezzi e coordinamento per evitare che i migranti potessero attraversare il Canale di Sicilia e raggiungere le coste italiane. Una politica che vuole nascondere di fatto un numero crscente di vittime, anche perchè il contrasto della presenza delle navi umanitarie delle ONG ha fatto aumentare in modo esponenziale i cd. sbarchi autonomi, e le pesone si imbarcano su mezzi di fortuna che non sono in grado di reggere i repentini cambiamenti di tempo dei mesi invernali.
Malgrado la disumanità delle politiche degli Stati e le ricorrenti violazioni del diritto internazionale del mare, a cui corrisponde un aumento esponenziale delle persone respinte verso paesi terzi non sicuri e di vittime in mare, nel 2021 gli sbarchi sono raddoppiati rispetto al 2020, ed i tentativi di traversata proseguono anche nei mesi invernali, non appena si attenuano le burrasche che spazzano il Mediterraneo. Il centro Hotspot di Lampedusa è di nuovo al collasso, perchè il sistema delle navi quarantena non regge il numero degli arrivi, ed i trasferimenti a terra sono resi difficili dalle norme anticovid e dallo smantellamento del sistema di prima accoglienza, frutto dei decreti Salvini.
A questo fallimento delle politiche di controllo delle frontiere marittime nel Mediterraneo, che si traduce nell’assenza di veri canali legali di ingresso per lavoro o per ragioni umanitarie, corrisponde un atteggiamento omertoso della quasi totalità dell’informazione italiana, che, come si è verificato ancora oggi nel caso dell’ANSA, si limita a riportare ai margini delle cronache le notizie sui respingimenti delegati ai giardiacoste tunisini, in pena ziona SAR maltese, perchè la zona SAR tunisina si limita alle 12 miglia delle acque territoriali, e tace sulla continua perdita di vite che si registra nelle stesse acque internazionali. Dove dovrebbero essere le autorità maltesi ed italiane ad intervenire, e dove non si dovrebbero frapporre ostacoli alle attività di ricerca e salvataggo delle ONG.
Ancora oggi dobbiamo regsistrare un naufragio con decine di dispersi, riferito soltanto dalla Reuters, di cui non sta parlando nessun organo d’informazione in Italia, a parte Radio radicale, che con L’Avvenire, è anche l’unica fonte giornalistica che riporta le testimonianze sulle torture subite dai migranti in Libia, torture ben visibili sui corpi dei naufraghi che, malgrado tutto, vengono ancora soccorsi dalle navi delle ONG quando non sono bloccate in porto da provvedimenti di fermo amministrativo, tanto pretestuosi, quanto privi di basi legali.
Non sappiamo quanto tempo ci vorrà perchè le corti internazionali accertino le responsabilità per quelli che, per il loro carattere sistematico, si possono definire da tempo come crimini contro l’umanità. commessi da autorità di governo di Stati apparentemente democratici. Occorre intanto dare voce agli esclusi, giorno dopo giorno, ed a coloro che sono sommersi, se non dalle acque del mare, dalla disinformazione e dall’odio verso chiunque tenta di fuggire da un paese verso un altro per salvare la vita ed avere una qualsiasi prospettiva di futuro. Per questo continueremo a raccogliere denunce ed a mettere sotto accusa le autorità politiche che sfruttano l’emergenza immigrazione per accrescere i propri consensi elettorali, senza fornire alcuna soluzione, e gli organi di informazione che con il silenzio o con il travisamento delle notizie ne legittimano le scelte. Scelte di morte che potrebbero pesare anche sul destino di quegli stessi cittadini itaiani che oggi, forse, si sentono rasicurati perchè una imbarcazione è affondata in alto mare con il suo carico di migranti diretti verso le coste europee.
da ADIF