Le tasse sul commercio del carbone contribuirono a finanziare la ricostruzione di Londra dopo il Grande Incendio del 1666, ed esso rappresentò una risorsa energetica di grande importanza nel corso della rivoluzione industriale. Il cammino trionfale del carbone, fonte di energia e di materie chimiche, motore della rivoluzione industriale nel corso di due secoli, portò ad un rapido sfruttamento delle riserve minerarie; nelle miniere non solo venne consumata la vita di innumerevoli adulti e ragazzi, esposti a respirare polveri nocive, sepolti dalle frane, uccisi dalle esplosioni dovute al gas metano (il famigerato “grisou”), ma si consumarono anche le riserve stesse della futura ricchezza. La produzione di carbone a livello mondiale passò da 10 milioni di tonnellate nel 1700 a 800 milioni nel 1900.
A spodestare il carbone dalla sua posizione dominante fu il petrolio, sia perché più facilmente trasportabile, sia perché trovandosi nei paesi sottosviluppati, paesi abbastanza facilmente controllabili politicamente, aveva un prezzo decisamente inferiore al carbone, soprattutto dopo il 1980, quando varie guerre locali nel Golfo Persico, hanno rotta la solidarietà fra i paesi petroliferi. Questo, aggiungendo la crisi capitalistica che colpì tutto il mondo nel 1971-1973, fece sì che il governo conservatore di Heath cercasse, come tutti i bravi servi del capitale, di far pagare il costo della crisi alla classe lavoratrice, tagliando i salari attraverso l’inflazione, riducendo i posti di lavoro ed iniziando un processo di privatizzazione.
La risposta forte dei lavoratori, ed in particolare dei minatori, che nel 1972 utilizzarono anche la tattica del “picchetto volante”, riuscirono in parte a fermare l’offensiva padronale. Le elezioni del 1974 portarono al governo i Laburisti (altri servitori del capitale), ed il tentativo di privatizzare continuò; ossessionato dal pareggio di bilancio, il nuovo governo chiese nel 1976 un prestito al FMI, che comportò, come condizione dei prestiti concessi, tagli alla spesa per la sanità e la sicurezza sociale, oltre che ai posti di lavoro, raggiungendo una disoccupazione di un milione e mezzo di persone.
Insomma la musica non cambia, e nelle elezioni del 1979 vinsero di nuovo i conservatori, e la loro leader divenne Primo Ministro: era Margaret Thatcher (1925-2013), ovvero la “Lady di Ferro”, prima donna a ricoprire tale incarico per tre mandati consecutivi, dal 1979 al 1990. La Thatcer fu una dei principali esponenti del neoliberismo, che caratterizzò gli anni ottanta. Applicò un documento compilato dal partito conservatore, il cosiddetto “rapporto Ridley”, e la strategia delineata dal suo governo fu quella di intraprendere un vasto programma di chiusura di unità produttive in taluni settori, come la siderurgia, le ferrovie e il carbone, di privatizzare ed intaccare il monopolio statale nei settori in espansione, come le telecomunicazioni, e di stabilire un sistema pubblico-privato nella sanità, tra ospedali, municipalità e ditte private. Tutte misure che aumentarono la già preoccupante disoccupazione; inoltre impose la Poll Tax, un’imposta a tappeto, che trovava giustamente il dissenso delle classi inferiori.
La Thatcher sapeva benissimo che, se voleva passare, doveva mettere i lavoratori in gabbia, ridurre il potere dei sindacati, mettere freni agli scioperi ed alle forme di mobilitazione che vanno dagli scioperi spontanei e “selvaggi” ai picchetti volanti, rafforzare le forze dell’ordine, equipaggiandole e preparandole contro i picchettaggi, e, per le miniere, formare squadre di camionisti non sindacalizzati, che trasportassero il carbone dove necessario.
I primi lavoratori a muoversi furono i metalmeccanici nell’ottobre del 1979, che chiesero aumenti salariali e vennero sostenuti, anche con la presenza ai picchettaggi, dai minatori. L’accordo raggiunto dal loro sindacato, che molto debolmente li aveva sostenuti, aumentò i salari del 16%, ma a condizione di tagliare migliaia di posti di lavoro. Il Governo, dopo avere ridimensionato i metalmeccanici, si sentì più forte, e quindi nel 1981 si rivolse ai minatori, minacciando la chiusura di ben 23 miniere. Ciò provocò la reazione dei minatori, che iniziarono scioperi spontanei e, dopo una settimana, la Thatcher fu costretta a cedere e ritirare la chiusura delle miniere.
Il suo governo andò in difficoltà quando scoppiò la Guerra delle Isole Falkland (Aprile 1982 – Giugno 1982) tra l’Argentina e l’Inghilterra, che permise alla Thatcher di approfittare della occasione per rispolverare i fasti di un Impero coloniale ormai in disfacimento, ma capace ancora di un grande orgoglio nazionale. La guerra fu vinta dall’Inghilterra, e la incapacità della classe operaia di opporsi ad essa ricompattò e rivitalizzò la classe dirigente, che si preparava a sferrare un nuovo attacco ai lavoratori.
Furono ancora nel mirino i minatori e le chiusure di miniere, ma questa volta la Lady di Ferro preparò meglio le cose, e quando partì all’attacco, il 1 Marzo 1984, aveva preparato con cura ogni mossa. Prima si era accordata con la Polonia di Jaruzelski per l’acquisto di scorte di carbone provenienti della Slesia, e poi annunciò la chiusura di 20 pozzi ed il taglio di 20mila posti di lavoro, partendo da Cortnwood, nello Yorkshire del Sud, vista la storica moderazione degli operai di quel bacino.
Nel 1984, ad inizio delle lotte, l’Ente Pubblico del carbone, che gestiva l’industria estrattiva britannica, pressoché completamente nazionalizzata, amministrava 176 pozzi, dove lavoravano 120mila dei 183mila occupati nel settore, e produceva 120 milioni di carbone all’anno (nel 2014 ne produrrà 17 milioni, impiegando 6000 persone). Una grande potenziale forza operaia entrava in scena, ed il 5 Marzo 1984, esattamente 35 anni fa, iniziava lo sciopero nello Yorkshire; il giorno dopo si unirono i minatori di altre regioni ed il 12 Marzo manifestanti, provenienti dalle regioni già in sciopero, spinsero altre zone a partecipare alla lotta, e il 15 Marzo morì il primo minatore ucciso dalla polizia, che si era organizzata inviando 8000 agenti nei luoghi caldi.
I lavoratori comunque continuarono la loro lotta, e in poche settimane furono bloccati tutti i pozzi del Paese, escluso il Nottinghamshire, dove si costituì un sindacato giallo. I picchetti “volarono” da un sito ad un altro, provando ad aggirare i presidi stradali di una polizia da stato di assedio. Le macchine dei lavoratori venivano fermate agli svincoli stradali e minacciati di arresto se non tornavano indietro. I lavoratori venivano pestati, arrestati, fotografati, e prese impronte; l’intero patrimonio del NUM (il sindacato dei minatori) venne sequestrato con la scusa che il Sindacato non aveva pagato la multa di 200mila sterline per “oltraggio”. Una mossa per porre fine al sostegno finanziario del sindacato allo sciopero, parte della guerra di logoramento, volta ad affamare i lavoratori per costringerli a tornare al lavoro.
I media erano scatenati, e c’era persino chi raccoglieva fondi per quanti volevano tornare al lavoro. Venne peggiorata la legislazione sugli scioperi ed applicato alle famiglie un taglio di 15 sterline di benefit alla settimana. Intorno alla lotta si coagulò un imponente movimento di solidarietà anche nel resto d’Europa; delle donne che organizzavano le mense comunali, dei negozianti di zona, che facevano credito e sconti, dei sindacati di altri Paesi (Francia, Spagna, Belgio, Germania, Polonia, ed altri), dei giovani del movimento operaio, sino al movimento gay, che ospiterà una delegazione dei minatori alla parade di Londra.
Intere comunità si sono unite nella battaglia per la loro sopravvivenza; si sono creati comitati di appoggio in tutta la Gran Bretagna, raccolti milioni di sterline per sostenere la lotta. Interi gruppi di attivisti in ogni sindacato hanno riempito il vuoto lasciato dai loro dirigenti. Le donne “Women against pit closures” (Donne contro la chiusura delle miniere) svolsero durante tutto lo sciopero un ruolo molto importante. Non si limitarono solo ad organizzare fondi o distribuire viveri, ma convinsero molti minatori a partecipare allo sciopero ed organizzarono molte iniziative. Il primo raduno di donne avvenne a Barnsley il 12 Maggio 1984, con la partecipazione di 10mila persone, seguita dalla manifestazione di Londra dell’11 Agosto 1984, dove parteciparono almeno 20mila persone. Furono appoggiate dalle donne del Partito Laburista, e dalle altre organizzazioni femministe. Contemporaneamente ai minatori scesero in sciopero i ferrovieri e i portuali, per cercare di evitare che il carbone provenisse dall’estero, costringendo allo stop la produzione di altri settori chiave dell’economia britannica, come le acciaierie. Mentre proseguivano le lotte, aumentavano gli scontri tra polizia e minatori, tra minatori e crumiri, con feriti e anche morti; celebri quelli del 18 Giugno 1984 a Orgreave, passati alla Storia come la “La battaglia di Orgreave”, dove venne immortalata una fotografia che ritrae un poliziotto a cavallo, intento a picchiare una donna caduta a terra, con la sua lunga lancia.
Il Governo, per fermare la lotta, aumentò la repressione, intensificando i processi e le cariche ai cortei dei lavoratori, per disperdere i picchetti; iniziò ad intaccare gli stessi diritti sindacali, con alcuni tribunali che dichiararono illegali gli scioperi, e pensò anche di dichiarare lo Stato di emergenza, arrivando ad ordinare ai militari di fare irruzione nelle miniere per prelevare il carbone necessario al Paese sull’orlo della crisi energetica. Il 1 Ottobre 1984 il Segretario del Num (Scargill) venne citato in giudizio per aver difeso la pratica dei picchetti.
I laburisti si dissociarono dalle pratiche messe in campo dai lavoratori in lotta, arrivando a condannare lo sciopero che durava da mesi. Anche la Confederazione dei sindacati britannici (Trade Unions, TUC) mantenne un atteggiamento attendista, approvando mozioni insignificanti, apparentemente a sostegno dei minatori, ma, in realtà, pensate per lasciarli isolati. Lo ISTC sostenne l’uso di camion in funzione antisciopero. Lo EEPTU (sindacato degli elettricisti) invitò i suoi lavoratori a continuare a lavorare per poter sconfiggere i minatori.
Il 19 Febbraio 1985 la Confederazione dei sindacati e la Thatcher si incontrarono e negoziarono un accordo per mettere fino allo sciopero. Il 22 Febbraio il Congresso straordinario del NUM respinse all’unanimità l’accordo, ma, dopo un anno senza paga e senza aver ottenuto niente, il 3 Marzo 1985 il sindacato decise, con 98 voti contro 91, la fine di uno sciopero durato un anno, che comunque vide ancora per alcuni giorni, specialmente in Scozia e nel Kent, il suo proseguimento.
Margaret Thatcher aveva vinto, una resa senza condizioni. Due morti, 1750 feriti ufficiali, 11312 arresti, 5653 processi per direttissima, un migliaio di licenziamenti per rappresaglia, furono le ceneri lasciate sul campo. La sconfitta dei minatori portò negli anni successivi ad un dissesto nei villaggi, la disoccupazione raggiunse il 70% nel 1990 ed aumentò in maniera esponenziale sia il commercio della droga, che la criminalità, E la povertà nei villaggi fu una delle più alte d’Europa.
Si dice che la Thatcher ha vinto, ma in realtà il vincitore è il capitale che, per ristrutturare, aveva bisogno di una pedina forte, che usasse tutti i mezzi pur di passare sul corpo dei lavoratori, aumentandone lo sfruttamento. La classe operaia ha pagato lo scotto per non avere avuto un’organizzazione forte con contenuti di classe, che superasse la visione che la vertenza fosse solo economica, invece che soprattutto politica, dove era in gioco il futuro della classe lavoratrice, che si opponesse alla guerra imperialistica nelle Isole Falkland, e che riuscisse a coinvolgere nella lotta gli altri settori produttivi, perché era chiaro che l’attacco non si rivolgeva solo ad un settore, ma a tutto il lavoro dipendente.
Lo sciopero dei minatori è stato il più lungo sciopero di massa dell’Occidente, e, se anche fu sconfitto, fu una grossa mobilitazione di massa da portare come esempio, cercando di analizzare e capire gli eventuali errori, per non ripeterli nelle future lotte.
Fonte: Il pane e le rose