Vietato fare ragionamenti sull’Ucraina in Tv: il prof. Orsini finisce alla gogna
- marzo 08, 2022
- in misure repressive
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E’ ancora garantita la libertà di espressione, libera da qualsiasi influenza o preoccupazione esterna, sacra in un Paese democratico??
di Salvatore Toscano
Durante un dibattito a La7, il professore Alessandro Orsini ha fornito un’analisi sulle tensioni attualmente in atto fra Russia e Ucraina. «Possiamo uscire da questo inferno soltanto se riconosciamo i nostri errori» ha affermato il docente, riferendosi all’Unione europea. Dopo aver condannato l’invasione voluta da Putin e attribuitogli la paternità della responsabilità militare, Alessandro Orsini ha fatto poi un’affermazione che, in un contesto di informazione che tende al senso unico, ha fatto scalpore: «La responsabilità politica di questa tragedia è principalmente dell’Unione europea. In primo luogo, perché questa era la guerra più prevedibile del mondo».
L’analisi continua poi su un parallelismo con la crisi missilistica di Cuba, fino a delineare uno schema di comportamenti che «va avanti da centinaia di anni e che accomuna tutte le grandi potenze», quello delle cosiddette “linee rosse” da non valicare. Ed è qui che Orsini pone l’accento per una seconda critica all’Unione europea, colpevole di non aver saputo o potuto imporre alcuna linea rossa all’interno del sistema internazionale. L’ideale, secondo il professore della Luiss, sarebbe stato «rifiutare drasticamente qualunque politica capace di mettere in pericolo la vita degli europei», riferendosi dunque alla possibilità di un’apertura della NATO a est. La reazione in studio è immediata: Federico Fubini (vicedirettore del Corriere della Sera) accusa Orsini di aver detto cose non vere, consigliandogli di «studiare meglio la storia». Il problema è che è Fubini a dire cose che non sono veritiere, come il fatto che gli Usa non abbiano mai attaccato Cuba, dimenticando la baia dei Porci e i numerosi tentati colpi di stato.
Lo scalpore non si ferma lì e la stessa Luiss decide di prendere posizione contro il suo professore attraverso un comunicato, dove si legge che l’istituto “reputa fondamentale che, soprattutto chi ha responsabilità di centri di eccellenza come l’Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale, debba attenersi scrupolosamente al rigore scientifico dei fatti e dell’evidenza storica”, cosa che ha fatto Orsini, condannando sì l’azione di Putin ma allo stesso tempo estendendo l’analisi al ruolo ricoperto dall’Unione europea, fino ad ora un vero e proprio taboo nella comunicazione mainstream. Questa condanna rientra nella serie di prese di posizione di diversi istituti avvenute nei giorni scorsi, a partire dalla Bicocca di Milano che ha deciso di cancellare, tornando poi sui propri passi, il corso patrocinato da Paolo Nori su Fëdor Michajlovič Dostoevskij, evidentemente considerato dall’università come destabilizzante, “a causa del momento di forte tensione attuale”.
Siamo di fronte a tanti piccoli tasselli che, congiungendosi, spingono a riflettere sulla qualità della libertà di espressione nel nostro Paese: non si tratta di condividere, o meno, il punto di vista di chi parla. Si tratta di garantire una certa tranquillità nell’espressione, libera da qualsiasi influenza o preoccupazione esterna, sacra in un Paese democratico. Senza che un esperto, o qualsiasi persona, debba temere ripercussioni sulla propria carriera lavorativa nel momento in cui avanza, supportando con ragionamento logico e dati, analisi diverse da quelle dominanti.