Nella notte tra il primo e il 2 aprile è naufragata un’imbarcazione con a bordo 90 persone: solo quattro i sopravvissuti, che sono stati riportati in Liba. Nei primi tre mesi del 2022 sono sbarcati in Italia 6.670 profughi, di cui più di 800 minori. Fuggono da guerre, conflitti e violenze. Come chi arriva dall’Ucraina
di Eleana Elefante
Mentre è in corso il nuovo flusso migratorio proveniente dall’Ucraina, invasa e martoriata dalle forze armate russe, continuano a registrarsi morti e dispersi nel Mediterraneo centrale. Dal 24 febbraio al 31 marzo 2022, i cittadini ucraini accolti in Italia sono stati 75.155: in maggioranza donne (38.735) e minori (29.222), mentre gli uomini sono 7.158. A confronto, in tutto il 2021, dalla rotta del Mediterraneo centrale sono giunte poco più di 67mila persone. Donne, uomini e bambini per le quali la sensibilità pubblica e istituzionale ha però invocato quel richiamo all’invasione che, nei fatti, ha generato una discriminazione tra profughi di “serie A” e di “serie B”.
Tra gennaio e marzo 2022 sono state 6.670 le persone che sono riuscite a raggiungere le coste italiane dopo aver attraversato il Mediterraneo centrale. Fra loro 842 minori non accompagnati (erano stati 10.053 in tutto il 2021). A marzo gli arrivi sono stati 1.296 contro i 2.395 del marzo 2021. I Paesi di origine maggiormente coinvolte in questo flusso sono Egitto, con 1.621 persone, Bangladesh (1.276 persone), Tunisia (918 persone), Afghanistan (469 persone). Molti coloro che dopo la partenza dalla Libia sono stati intercettati in mare e riportati sulle spiagge del Paese nordafricano: oltre 3.094 persone, secondo i dati forniti dall’Organizzazione mondiale per le migrazioni. I corpi restituiti dal mare sono 56 e 243 persone risultano scomparse. Nel 2021, su questa rotta, sono state respinte in Libia 32.425 persone; 662 sono i corpi ritrovati e 891 le persone scomparse.
Circa 359 persone sono già morte quest’anno sulla rotta del Mediterraneo centrale: solo nel mese di marzo si sono registrati almeno quattro naufragi evitabili. Il primo marzo, la Guardia costiera tunisina ha recuperato 15 corpi, tra cui quello di un bambino, mentre 35 persone restano ancora disperse. Erano partiti da Sabratha, città a Ovest di Tripoli, il 27 febbraio a bordo di una barca in vetroresina che si è capovolta poche ore dopo a causa delle cattive condizioni del mare. Il 12 marzo un’altra imbarcazione con 25 persone a bordo si è capovolta a poca distanza dalla costa libica nei presso di Tobruk (nella Libia orientale). Le autorità hanno soccorso sei persone e recuperato sette corpi mentre altre 12 persone risultano ancora disperse. Il 18 marzo almeno 17 persone partite dalla Tunisia sono annegate in silenzio: erano per lo più cittadini siriani. La Guardia costiera tunisina ha ritrovato prima 12 corpi al largo della costa di Nabeul (città nel Nord del Paese) e altri cinque il giorno dopo. Il 23 marzo una barca partita dal Sfax, in Tunisia, si è rovesciata: sono solo tre i sopravvissuti e i sei i corpi recuperati dalle autorità locali.
Il mese di aprile si è aperto con un ulteriore, imponente, naufragio. Nella notte tra l’1 e il 2 aprile al largo della Libia, in acque internazionali, è naufragata infatti una barca con a bordo almeno 90 persone. L’Ong Alarm Phone aveva diramato diverse richieste di soccorso alle autorità italiane e maltesi, tutte disattese, già nei quattro giorni precedenti il drammatico epilogo. Sono solo quattro i sopravvissuti soccorsi dalla petroliera commerciale “Alegria 1” che li ha però riportati in Libia. Medici Senza Frontiere ha denunciato questo ennesimo pushback dichiarando che la petroliera ha ignorato sia le ripetute offerte di assistenza medica, sia l’invito a non riportare i sopravvissuti in un Paese dove, quasi certamente, dovranno affrontare detenzioni, abusi e maltrattamenti. In attesa di ricevere la conferma sul numero esatto delle perdite, quest’ultimo rappresenta il più grave naufragio avvenuto da inizio anno davanti alle coste della Libia.
Nonostante l’assenza istituzionale, i salvataggi in mare continuano. Il 5 marzo gli operatori della nave Geo Barents di Medici Senza Frontiere hanno salvato 80 persone a bordo di un gommone alla deriva. Tra loro tante donne e sei bambini di età inferiore ai quattro anni. Nella notte del 6 marzo gli stessi hanno salvato altre 31 persone terrorizzate dall’oscurità e dalle condizioni meteo-marine talmente avverse da aver rovesciato il barchino su cui viaggiavano: 111 vite messe in salvo in meno di 24 ore, tra cui 52 minori (il più piccolo di soli quattro mesi e ben 45 non accompagnati) oltre a dieci donne tra cui due incinte.
Molte delle persone ritrovate avevano lacerazioni sulla pelle da ustione da carburante misto all’acqua salata. Il 14 marzo, dopo varie richieste disattese, la nave umanitaria è stata autorizzata ad attraccare nel porto di Augusta (SR) per effettuare lo sbarco dei 111 naufraghi. Il 24 marzo gli operatori della Ocean Viking di SOS Méditerranée hanno soccorso 30 persone da un gommone in avaria in acque internazionali, al largo della Libia. Il 26, in un’operazione di soccorso durata oltre cinque ore per via delle condizioni avverse, hanno salvato altre 128 persone. Purtroppo tra loro anche due corpi senza vita. Ne verrà recuperato solo uno. Le 157 persone salvate sono sbarcate ad Augusta. Il 27 marzo 32 persone a largo di Bengasi (nell’Est del Paese) su una barca in avaria hanno lanciato diverse richieste di aiuto ad Alarm Phone che ha allertato le autorità. Sono state salvate il giorno dopo dalla portacontainer “Karina”. Il comandante ucraino, Vasyl Maksymenko, insieme al suo equipaggio non ha esitato a intervenire in soccorso dei naufraghi. Il 29 marzo la Sea Watch 4 ha offerto supporto alla nave mercantile per effettuare il trasbordo dei 32 naufraghi sulla propria nave umanitaria. Il giorno dopo altre 113 persone sono state messe in salvo dalla Geo Barents di Medici Senza Frontiere. Alcuni dei naufraghi, esausti dopo ore in mare, erano caduti in acqua. A fine mese Alarm Phone ha lanciato una richiesta di soccorso per 145 persone su un gommone sovraffollato con il motore in avaria al largo della Libia. A bordo presenti molte donne e bambini.
Si tratta di una breve rassegna di persone e storie ignorate e respinte alle frontiere. In nome di chi scompare senza più un nome, senza più un volto, aiutare non dovrebbe più essere un’iniziativa discrezionale ma un diritto alla vita e alla dignità riconosciuto universalmente a tutti coloro che fuggono dalle stesse guerre, dagli stessi conflitti, dalle stesse violenze. Che arrivino dall’Ucraina o dalla Libia.
da altreconomia