Misure cautelari in Italia. In carcere per una manifestazione studentesca
- maggio 15, 2022
- in lotte sociali
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Il comunicato nazionale del Fronte della Gioventù Comunista che, dopo i fatti di Torino, invita alla mobilitazione “in tutte le scuole e luoghi di studio, nella direzione di tornare in piazza il prima possibile, a partire dallo Sciopero Generale del 20 maggio indetto dal sindacalismo di base e conflittuale”
Giovedì 12 maggio, a Torino la Questura ha effettuato un’operazione repressiva che ha portato all’attuazione di varie misure cautelari per 11 persone – di cui 3 arrestati, 4 ai domiciliari e 4 con l’obbligo di firma – per aver manifestato e protestato davanti alla sede di Confindustria durante il corteo che il 18 febbraio ha portato in piazza più 10.000 studenti.
È gravissimo che in Italia si finisca in carcere per una manifestazione studentesca. A maggior ragione se questo accade dopo mesi di silenzio da parte delle istituzioni riguardo alle rivendicazioni che centinaia di migliaia di studenti hanno portato nelle mobilitazioni e nelle occupazioni di questo inverno: salute e sicurezza nei luoghi di lavoro per fermare la strage che avviene quotidianamente tra le fila della nostra classe, salario e tutele orarie in alternanza con la possibilità della sindacalizzazione e di potere decisionale sui progetti, abolizione della seconda prova per l’anno scolastico in corso. Alle rivendicazioni degli studenti per un modello di scuola alternativo, nel paese in cui si sbandiera la natura democratica delle istituzioni, si assiste sempre più spesso a episodi come quelli di ieri mattina.
Questa operazione repressiva non ci stupisce, infatti Stato e Governo stanno dalla parte degli industriali responsabili del sistema di sfruttamento che ha portato alla morte di Lorenzo e Giuseppe. Gli studenti, con lucidità, hanno individuato come diretto responsabile Confindustria, l’associazione dei padroni, che è la più grande sostenitrice dell’alternanza scuola-lavoro e rappresenta questo sistema basato sui profitti degli industriali fatti sulle spalle dei lavoratori. Oggi, la Questura colpisce il movimento studentesco con impeto, non tanto per un’azione in particolare, ma per aver contestato direttamente gli interessi dei padroni, a dimostrazione di questo il GIP che ha emesso le misure cautelari ha giustificato alcuni arresti sulla base di una semplice megafonata. Questo dimostra il ruolo dello Stato che con celerità si è mosso a difesa degli industriali e segnala la giustezza delle rivendicazioni degli studenti che hanno toccato una corda sensibile di questo sistema basato sullo sfruttamento. Non potendo accettare una così vasta contestazione a Confindustria da parte di oltre 10 mila studenti, lo Stato attiva la macchina del fango e colpisce i settori militanti, cercando di ricondurre la contestazione ai settori politici, negando l’evidente partecipazione di massa alla mobilitazione.
La stessa Questura di Torino che il 28 gennaio ha fatto mangnellare centinaia di studenti e studentesse che si erano concentrati in piazza Arbarello nell’intento di protestare contro la morte di Lorenzo Parelli, avvenuta in alternanza scuola-lavoro, è la stessa che esegue le misure cautelari cercando di criminalizzare la giusta lotta degli studenti. I primi e unici responsabili delle violenze sono la polizia e più in generale le istituzioni che impediscono l’esercizio della libertà di manifestazione e di protesta: è grave il fatto che da ormai anni si assiste ad un incremento significativo del livello di repressione da parte dello Stato, che colpisce chi alza la testa contro questo sistema.
Questo incremento della repressione risponde ad una logica molto chiara. Complessivamente, le lotte degli studenti sono pericolose per il Governo Draghi perché spezzano la retorica dell’unità nazionale che ci dovrebbe essere tra capitalisti e proletari. La riconoscibilità di queste proteste, il fatto che si possano legare a quelle dei lavoratori e dei segmenti più avanzati di lotta in questo paese, rende necessaria una risposta da parte di un sistema in profonda crisi.
Il Governo, attraverso una repressione sempre più feroce, che si articola anche nel tentativo di dividere gli studenti in buoni e cattivi, prova a ridurre il problema politico ad una mera questione di ordine pubblico. Questo segnala ulteriormente come il Governo non abbia nessuna risposta reale e nessuna intenzione di affrontare i problemi degli studenti e delle studentesse.
In questo momento, la risposta migliore che possiamo dare è la massima mobilitazione, come dimostrato dopo la repressione subita il 28 gennaio. Le manganellate e la repressione non hanno fermato la nostra lotta: non nutriamo nessuna illusione circa la natura delle istituzioni e del loro ruolo nei confronti di chi contesta questo sistema. Sappiamo bene che compito dello Stato in questa società è quello di tutelare gli interessi della classe dominante: quello che è successo a Torino, ma anche nei mesi scorsi a Roma, Napoli, etc., esprime plasticamente qual è il ruolo delle istituzioni nei confronti di chi pretende un mondo diverso. Anzi, la dimensione di massa acquisita dalle proteste, dalle occupazioni e dalla mobilitazione nelle settimane successive, dimostrano come si deve parlare apertamente delle problematiche che come studenti si vivono, che certe problematiche sono endemiche e non possono essere liquidate come mere questioni generazionali. Sono problemi inerenti alla condizione di classe che viviamo e che ci lega sempre di più ai lavoratori e ai disoccupati. In questi mesi abbiamo dimostrato che si può ingaggiare una lotta per soddisfare i nostri bisogni e ottenere un sistema scolastico diverso: sta a noi in questo senso non arretrare se decidono di colpirci.
La lotta e chi lotta non si processano: solidarietà agli arrestati. Rilanciamo la mobilitazione in tutte le scuole e luoghi di studio, nella direzione di tornare in piazza il prima possibile, a partire dallo Sciopero Generale del 20 maggio indetto dal sindacalismo di base e conflittuale.
Un nemico, un fronte, una lotta!
Fronte della Gioventù Comunista
Ed hanno anche il coraggio di arrestarci. Vogliamo risposte e vogliamo vivere, bene