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Prima pestati e poi arrestati: lo Stato si accanisce sui ragazzi

A febbraio gli studenti che protestavano contro le morti nell’alternanza scuola-lavoro hanno preso manganellate tra ferite e traumi. Ora l’accanimento con perquisizioni e indagini sulle vittime, non sui picchiatori.

di Selvaggia Lucarelli

Giovedì mattina, ore 8,00. Sono sveglia da poco, sto rifacendo il letto. Mio figlio Leon è in gita da due giorni in Val Seriana, la prima gita dopo due anni, un ritaglio di leggerezza. Suona il citofono, non succede mai a quell’ora. Il mio fidanzato esce dal bagno e va a rispondere. Lo sento dire “Leon” e “sono i carabinieri”. Ho pensato a una disgrazia in gita, credo di aver detto “Leon è morto”.

Salgono, sono sei persone gentili, una in divisa. Deve essere qualcosa di gravissimo. No, Leon non è morto, anzi, lo stanno cercando. Hanno un mandato di perquisizione. É quel momento in cui si pensa di non conoscere i propri figli, di aver sottovalutato qualcosa. Chiedo di spiegarmi cosa ha combinato, ma questa cosa che lui non sia in casa è un problema, dovranno andare a prenderlo in gita per perquisirlo.

Dico che mi sembra una misura molto invasiva, che sarà un evento traumatico, chiedo di nuovo che mi spieghino per quali fatti sono lì. Il capitano esce dalla porta per riferire la situazione al magistrato del Tribunale dei minori (Leon ha 17 anni). Rientra e comunica che il magistrato ha compreso la delicatezza della situazione, per cui procederanno alla perquisizione della casa e poi il resto si vedrà al suo ritorno. Finalmente mi spiegano per quale grave crimine è indagato.

La manifestazione degli studenti – Il 18 febbraio, durante la seconda manifestazione degli studenti contro l’alternanza scuola/ lavoro (la prima, venti giorni prima, era stata repressa a colpi di manganello), Leon avrebbe tirato un palloncino di vernice (lavabile, pare) sulla vetrina di una banca assieme ad altri studenti che come lui indossavano una tuta bianca.

Cercavano dunque le prove per inchiodarlo: un paio di Nike, dei pantaloni grigi, una felpa nera. Ho spiegato che essendo in gita aveva alcune scarpe e vestiti con sé ma che comunque a quella manifestazione era andato e possedeva i vestiti che cercavano. Hanno frugato un po’ in giro, mi hanno domandato se ci fossero volantini sulle sue idee politiche (quali?) e alla fine gli hanno sequestrato un tablet con cui disegna. Il reato che gli viene contestato è quello di deturpamento e imbruttimento di cose altrui, punito dall’articolo 639 del codice penale che prevede una multa e, nei casi più gravi, da uno a sei mesi di reclusione.

La perquisizione – Dunque, una perquisizione, sei esponenti delle forze dell’ordine, la procura dei minori e, udite udite, il dipartimento Antiterrorismo che ha coordinato il tutto, per un uovo di vernice lanciato, forse, da un minorenne. Anzi, da più minorenni e maggiorenni, suppongo, che quel giorno hanno imbrattato la vetrina di una banca con la motivazione “Investe nelle armi e nei combustibili fossili” e che non hanno spaccato macchine, vetrine, non hanno fatto male a nessuno.

Pochi giorni prima erano stati manganellati ferocemente nelle piazze di Milano, Torino, Napoli, Roma per aver gridato che nessun ragazzo deve più morire per colpa dell’alternanza scuola-lavoro. Mio figlio era stato colpito da una manganellata in testa senza che avesse toccato nessuno o lanciato oggetti. Vista la violenza del colpo, l’ematoma dopo quattro mesi non è ancora riassorbito.

Ora, non sta a me ma a un giudice stabilire quale sia la giusta punizione (le cose altrui non si imbrattano, siamo d’accordo) ma la sproporzione tra un’azione così invasiva e traumatica e i fatti contestati è abnorme e preoccupante. Preoccupante perché quello che è accaduto a mio figlio – l’ho scoperto dopo – è solo una piccola ma significativa parte di quello che sta accadendo in questi giorni agli studenti che hanno manifestato negli ultimi mesi e che hanno portato nelle piazze il dissenso per questioni politiche, sociali, ambientali.

E i manganellatori? Senza che nessuno ci stia facendo troppo caso, infatti, a quattro mesi da quelle manganellate che hanno mandato ragazzi neo maggiorenni e minorenni all’ospedale con arti rotti e traumi cranici, non c’è stato alcun accertamento di responsabilità nei confronti dei manganellatori, nessun provvedimento disciplinare, nessuna sospensione del servizio.

In compenso, si sta provvedendo a punire tantissimi ragazzi tra i manganellati di Roma, Torino, Napoli e Milano. “L’intera documentazione visiva è stata messa immediatamente a disposizione dell’autorità giudiziaria come accade in tutti i casi per individuare ogni responsabilità, comprese quelle eventualmente riconducibili agli operatori di polizia”, aveva dichiarato la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese. Evidentemente i filmati hanno mostrato ragazzini che, in modalità Tafazzi, si picchiavano da soli e poi compivano atti così criminosi – lancio di uova di vernice e fumogeni – da meritare l’intervento dell’antiterrorismo.

Negli ultimi dieci giorni, decine di ragazzi in tutta Italia hanno subito perquisizioni e perfino arresti. I fatti contestati sono diversi, apparentemente neppure tutti in correlazione tra loro, se la correlazione non si chiamasse dissenso. A Roma, dove la manifestazione contro l’alternanza scuola-lavoro era stata tra le più pacifiche, diversi ragazzi sono stati perquisiti e denunciati per reati bizzarri che vanno dal travisamento all’istigazione su minore.

A Milano sono stati denunciati e perquisiti ragazzi per i fatti già descritti (compreso mio figlio) ma anche tre attivisti di Fridays for future, rei di aver scritto con una bomboletta “Il gas fossile uccide” e “Basta affari con i dittatori” il 19 marzo fuori dalla sede di Centrex, una controllata dell’azienda russa Gazprom.

Insomma, da una parte inviamo armi all’Ucraina, dall’altra trattiamo come delinquenti ragazzi che chiedono di smettere di fare affari con la Russia e di inquinare il pianeta. Ragazzi a cui, durante le perquisizioni, è stato chiesto di spogliarsi e fare flessioni, per umiliarli.

E poi c’è Torino, dove la situazione è più complicata, perché sono state perquisite le case di numerosi studenti (anche di una ragazza che, per le manganellate, era stata ricoverata in ospedale), è ai domiciliari una neo-diciottenne che aveva parlato al megafono, ci sono tre neo-maggiorenni incensurati in carcere da una settimana accusati di aver colpito degli agenti davanti alla sede di Confindustria con le aste delle bandiere.

“Mio figlio è stato arrestato il 12 maggio, ha il Covid, per una settimana non ho potuto neppure parlargli al telefono”, mi spiega Irene, la madre. Uno dei tre era stato operato al cuore un mese fa. Non hanno avuto neppure l’udienza di conferma dell’arresto con il gip. Nel frattempo, proprio due giorni fa, un altro ragazzo a Merano ha avuto un gravissimo incidente sul lavoro (sempre per via dell’alternanza). Ora rischia la vita.

Ah, dimenticavo. Il “bottino” delle perquisizioni a Milano: telefonini, tablet, bandiere della pace, libri, magliette con su scritto no war. La ministra Lamorgese può dirsi soddisfatta.

da il Domani