Menu

Il rientro

Adesso viene avanti un’altra dimensione, più cruda, meno consolatoria, l’idea che la guerra, la barbarie, i razionamenti, un nuovo terribile tecno-dispotismo davanti a cui le vecchie dittature faranno ridere, sta incombendo sul futuro loro e dei loro figli. La percezione diffusa che un vecchio ordine si sta disgregando, con i suoi totem traballanti e suoi tabù che non rispetta più nessuno. Dietro i fondali di cartapesta, c’è la realtà, in agguato

di Giovanni Iozzoli

E’ la più carogna, l’ultima settimana di agosto. Quest’anno poi, non ne parliamo. Quasi tutti sono tornati dalle ferie, ma pochi hanno ricominciato a lavorare. Quindi la gente si è buttata tutta per strada, vagamente disorientata; nell’aria padana, prontamente reinquinata, le auto vanno avanti e indietro, parcheggiando sui marciapiedi; si prova a sistemare frettolosamente le ultime incombenze prima del rientro al lavoro – acquisti, riparazioni, visite ai parenti anziani. Si vedono in movimento facce per niente rilassate – e del resto queste ferie non è che siano state particolarmente rilassanti. Portare un paio di bambini al mare per una decina di giorni, sarà costato un paio di stipendi. Appena torni hai le scadenze di settembre che incombono, penose, su conti correnti estenuati. E allora si corre di qua e di là, come mosche impazzite, tra sportelli bancari, uffici postali, asili, tamponi e visite e mediche da prenotare. Vedo poche abbronzature pesanti, in giro, molti sembrano addirittura tornati dalle vacanze palliducci ed esangui. Chiaro, se ti puoi permettere nel carnaio della riviera solo otto giorni di mare – e un paio li becchi pure nuvolosi –, cosa ti vuoi abbronzare? Quelli abbronzati lo erano già da maggio, tra centri benessere, palestre e rituali urbani di rafforzamento di un Io traballante.

Molti approfittano per mettere a posto i giardini, lasciati all’incuria per un po’ di giorni. Siepi bruciate dal sole, erbacce dovunque – bisogna lavorare duro per rimettere in sesto quei pochi metri di preziosissimo verde che le tipiche bifamiliari locali ancora conservano. Il mio è un vecchio quartiere operaio, in cui già negli anni ’70, gli eroi stacanovisti dell’industrializzazione emiliana ebbero accesso a mutui agevolati e antichi risparmi rurali, provvedendo all’edificazione di una moltitudine omogenea di piccole unità a due o tre piani, tipico paesaggio suburbano padano. Molte oggi sono ristrutturate come bomboniere – cappottini termici, vecchie facciate tirate a lucido; il bonus 110 qua sta continuando a tenere in piedi l’edilizia, soprattutto le piccole dittarelle artigiane in subappalto. Quando il rubinetto si chiuderà, saranno guai grossi. Quel mondo passa presto dall’euforia da super lavoro alla disperazione del fallimento. All’odio disperato contro qualsiasi vincolo collettivo – dal fisco al welfare.

Se esci presto la mattina incontri sempre le stesse persone: il giro dei cani, quello della nettezza urbana, i negozianti che tirano su le serrande pigri e perplessi – micro mercerie, immobiliari di periferia, fruttivendoli, Testimoni di Geova con poca voglia di testimoniare. Stamattina ho rivisto anche i due amanti della Cartolibreria-Edicola Bar di Cavazzuti Luciano. Si danno un fugace appuntamento tutte le mattine, verso le 7,40 all’angolo del negozio di Cavazzuti. Fanno colazione insieme, poi escono a fumarsi una sigaretta; lui, col muso sporco di bombolone, dice qualcosa di carino a lei nell’orecchio, che ridacchia vezzosa. Lui indossa il completino da Maserati, una tuta post-moderna color panna acida. Lei, normale, in borghese – magari lavora all’ufficio contabilità di Modena Autospurghi Civili e Industriali, poco lontano. Dopo dieci minuti di caste effusioni, si infilano in macchina e spariscono. Lui in direzione del vicino stabilimento, pensando che a settembre mancheranno i microchip e ricomincerà la Cassa. Lei rimuginando sulla famiglia scassata, sul bimbo piccolo parcheggiato chissà dove – centro estivo o nonni –, sulle maledette fatture elettroniche da controllare ed archiviare. Per il lavoro non ha inquietudini; crisi o non crisi, gli spurghi fognari non fermano mai l’attività, come le pompe funebri; fosse biologiche e fosse cimiteriali: la solidità dei beni rifugio.

Alcuni segmenti industriali hanno lavorato anche ad agosto. Sono quelli che avevano molte commesse in pancia e avendo paura che a settembre i prezzi sarebbero peggiorati, hanno cercato di evadere gli ordini il prima possibile. Per il resto del panorama aziendale – a partire dai 15.000 addetti del settore ceramico, energivoro per definizione – l’aria è pesante. Tutti si aspettano che i padroni comincino a sparare cassa integrazione a manetta, tanto per spaventare il governo e chiedere “interventi più incisivi”. Gli annunci padronali sono quotidiani, incombenti, come le minacce di un gruppo guerrillero arroccato sulle colline. Qualcuno ha già posticipato la riapertura di un paio di settimane. Sarà una serrata sottaciuta, un inedito sciopero dei padroni. Vogliono che la bolletta energetica gliela paghiamo noi, ma non hanno il coraggio di dire che le sanzioni alla Russia stanno sanzionando noi stessi e che la rottura dell’interscambio con Mosca è stata una catastrofe scellerata, di cui il loro amato Draghi è stato eroico alfiere. Come certa ipocrisia cattolica, i dogmi atlantisti vanno sostenuti in pubblico, ma in privato si cerca ogni via per aggirarli, in nome del principio di realtà che i politici pare abbiano smarrito e i padroni, adesso, reclamano piagnucolando.

I cinquantenni che senti parlare in giro, nei bar, dentro i supermercati, sono esperti di ammortizzatori sociali. È il retaggio della crisi del 2008. Li senti discettare con competenza della differenza tra Cassa e Solidarietà. – “Ma che causale useranno, gli eventi straordinari? O il calo delle commesse? Quante settimane nel biennio mobile? Ma maturano i ratei?”. I ragazzi giovani non capiscono niente di questo contorto lessico burocratico. Molti di loro, appena usciti dalla DAD sono entrati in produzione pieni di aspettative – non solo operai, ma anche tecnici, manutentori, addetti alle macchine, impiegati, disegnatori e programmatori. Ognuno con una fantasiosa collocazione contrattuale, che va dai tirocini formativi al contratto a tempo determinato classico; in mezzo, di tutto: finti stagisti, finte partite IVA, finte cooperative, subappalti di subappalti, interinali e staff leasing. Tutti loro sono appesi ad un filo sottile. Saranno i primi a saltare. Possono perdere il lavoro ad ogni stormir di foglia. I governi italiani, negli anni, hanno eretto una recinzione fortificata tra il lavoro regolare e i giovani. Li avessero completamente ignorati, i giovani, invece di dedicargli ministeri e leggi: quanto starebbero meglio, oggi. Molti miti sulla competitività del Made in Italy, hanno le radici dentro questo humus marcio, in cui gli unici margini possibili vengono dalla spremitura sottopagata del lavoro vivo. Possiamo elargire anche un po’ di Ius Scholae a ‘sti ragazzi – l’importante è che non chiedano contratti a tempo indeterminato.

L’aria in giro, quindi, è tesa e preoccupata, totalmente sconnessa da ogni idea di relax post-vacanze. Il mare è lontanissimo. Sono tutti in attesa di capire di che morte dovremo morire, in autunno. Girano profezie infauste e voci sussurranti che rivelano segreti di Pulcinella. La gente dice che i piani di razionamento sono già pronti e non riguardano solo il 15% “volontario” di cui parla Cingolani. Probabilmente è così, ma non sarebbe carino dirlo prima delle elezioni. I piani sono nei cassetti, in attesa che l’incombenza burocratica del 25 settembre venga adempiuta. In Francia hanno già votato e Macron può dirla tutta, anche con un pizzico di sadismo: l’epoca dell’abbondanza è finita, cominciano le quaresime di Stato. Qualcuno dall’alto ci spiegherà paternalisticamente a cosa dobbiamo rinunciare, così come fino a poco fa ci strizzavano l’occhio e ci dicevano a cosa davvero non potevamo rinunciare.

A proposito: nel mio quartiere, dove un tempo il PCI prendeva il 70%, nessuno sembra votare più il Pd; magari lo fanno e non lo dicono, si vergognano, in un paradossale rovesciamento di quello che era il tradizionale riserbo sul voto di protesta. In CGIL idem, fanno finta di non sapere neanche cos’è il PD, nonostante il cognome di una prestigiosa candidata di nome Susanna, che qualche ricordo dovrebbe evocare. La Meloni prenderà una svalangata di voti, anche qui, nelle vecchie periferie rosse. La distanza tra la suggestione dell’Agenda Draghi e la vita delle persone normali, è incolmabile, soprattutto nell’immaginario popolare. Come si fa a non capirlo?

Del resto la furba Giorgia pare più interessata alle nomine pubbliche che alla sua memoria missina: è più utile controllare la Cassa Depositi e Prestiti che dedicare strade ad Almirante. Se c’è una cosa che ai politici italiani non difetta, è la fluidità di genere che oggi va tanto di moda; la capacità di smarrire se stessi nell’oblio e “vivere nel presente”, come recita la pubblicistica motivazionale. Le destre vinceranno e governeranno sulla base di uno spartito unico che è già stato predisposto da anni – di cui il PNRR è solo l’evoluzione finale. Se Giorgia suonasse una nota fuori dal canone, farebbe la fine di Berlusconi nel 2011 – e lei, che era una sua giovane ministra, all’epoca, se ne ricorda bene.

Ciononostante, gli Amanti della Cartolibreria-Edicola Bar Cavazzuti, continueranno a vedersi tutte le mattine e quei dieci minuti saranno magari il momento più memorabile della giornata. I vecchi pensionati che hanno fatto l’autunno caldo nella vicina zona industriale, lungo la via Emilia, tra i grandi capannoni dei riduttori e dell’oleodinamica, ormai hanno 80 anni e continueranno lentamente a tagliare siepi, strappare erbacce e curare vecchi cani da caccia che dormono tutto il giorno. Nei cieli, rombi sinistri accompagnano lo sfrecciare di oggetti misteriosi – aerei da guerra? Inseminatori di nitrato d’argento contro la siccità? Extraterrestri in vacanza nell’ultima settimana di agosto? Tutto sembra tremendamente precario, come l’allestimento di un fondale vacanziero – il “tutto andrà bene”, lo Stellone maledetto che ha rovinato l’Italia, nella sua presunzione di innocenza, con la sensazione furbesca, Franza o Spagna, di sfangarsela sempre.

Fondali di scena, coreografie di cartapesta? Qua nel quartiere ne stanno costruendo uno enorme. Una produzione americana sta girando un film su Enzo Ferrari, con Penelope Cruz e Adam Driver. L’aspetto esterno dell’azienda di Maranello sembrava al regista troppo moderno, poco ispirante, così ne stanno costruendo uno di compensato, fedele al modello originale degli anni 50. Quindi, subito dopo il semaforo della Madonnina, a pochi passi dal Conad, in una laterale della via Emilia, dietro casa mia, Hollywood sta allestendo la riproduzione dello stabilimento del più famoso marchio automobilistico del mondo. E lo vedremo l’anno prossimo in tv. Bello no? Anche un po’ inquietante, se applichiamo il principio ad altre sfere. Possono farci credere qualsiasi cosa. Soprattutto se si parla di guerra, crisi, gas e salari. Manca il mago Copperfield che si mette a volare sulla Polisportiva Madonnina. Realtà, sogni e incubi ormai sono categorie novecentesche. Altro fondale di scena: dall’altra parte della tangenziale ha aperto come ogni anno la Festa dell’Unità, altro retaggio virtuale, scenografico, rievocazione fittizia di un mondo che fu. Non si sa cosa sia più credibile – il finto stabilimento Ferrari o la finta festa del “popolo di sinistra”. Un chilometro in linea d’aria, divide Hollywood da Enrico Letta.

Questa crisi sarà più dura e devastante del 2008. Perchè siamo dentro uno scenario di guerra, perchè ci eravamo illusi e crogiolati dentro un’apparenza di ripresa, perchè alle spalle abbiamo lunghi anni fragili e lacerati, in cui molte risorse familiari e aziendali sono già state erose. Questa crisi potrebbe assumere le forme – terribili e imprevedibili – di una resa dei conti. Le rivoluzioni cominciano così, non è che arriva prima l’angelo del Giudizio con tre squilli di tromba. Quello che poi finisce sui libri di storia, è in realtà un vissuto quotidiano, anonimo, di larghe masse inconsapevoli. La gente inizia a non sentirsi più leale verso l’ordine costituito; i blocchi sociali di consenso cominciano a sfarinarsi, ceti, corporazioni, segmenti di classe, cominciano ad andare ognuno per la sua strada; si moltiplicano le spinte centrifughe, le rivendicazioni grandi o minute; i Moubarak o i Ben Alì fino a poche settimane prima rispettati e temuti, diventano nemici, ostacoli alla felicità, al futuro; la polizia, previdente, prepara la sua ricollocazione iniziando a girare la faccia dall’altra parte et voilà: due passi nel vuoto della storia, dentro scenari non prevedibili. Se in Europa stiamo assistendo disinvoltamente alla crisi e al ricambio delle elite liberali, che pure sembravano senza competitori, ci vuole tanta fantasia per immaginarne il crollo? Dopo anni di furiosa disintermediazione sociale i governi non hanno più nessun cordone di protezione costituzionale – non ci sono più i partiti, i sindacati, la società civile: chi si metterà davanti ai palazzi del potere a difendere questo ceto politico imbelle? I movimenti afroamericani sono accorsi a difendere Capitol Hill, il 6 gennaio del 2021? Perchè avrebbero dovuto?

Quando vedi i bravi distratti cittadini, i miei vicini, i passanti, la gente normale della prima periferia, abbarbicati al loro piccolo benessere, al loro status più o meno precario, non stai vedendo un elemento stabile e acquisito della geografia sociale. Stai vedendo solo un campo di battaglia, che è tutto dentro la loro testa. E se adesso sembrano un po’ rincoglioniti ed istericamente rassegnati al peggio, è solo perchè nessuno, negli ultimi 30 anni, ha posto un alternativa credibile davanti a loro: sul campo di battaglia si è presentato sempre un esercito solo, quello dello status quo. Se non assumiamo le menti del popolo come campo aperto da contendere, non abbiamo capito la dialettica. Questa è la stessa gente che quattro anni fa ha prodotto l’esplosione effimera dei Cinque Stelle, convinti che bastasse una croce su un foglio per mutare il destino di una nazione. Quella della scatoletta di tonno, era una favola ingenua, per bambini, l’idea di un cambiamento sociale incruento grazie all’arrivo di un plotone di “onesti” nelle istituzioni. Adesso viene avanti un’altra dimensione, più cruda, meno consolatoria, l’idea che la guerra, la barbarie, i razionamenti, un nuovo terribile tecno-dispotismo davanti a cui le vecchie dittature faranno ridere, sta incombendo sul futuro loro e dei loro figli. La percezione diffusa che un vecchio ordine si sta disgregando, con i suoi totem traballanti e suoi tabù che non rispetta più nessuno. Dietro i fondali di cartapesta, c’è la realtà, in agguato.

da Carmilla