Il migrante, di origine pakistana, si è suicidato nel Cpr di Gradisca d’Isonza un’ora dopo essere entrato in stato di detenzione. Sale a cinque il numero di persone che hanno perso la vita all’interno della struttura da quando ha riaperto, nel 2019. Le associazioni che si occupano dei diritti delle persone in movimento sul territorio chiedono “l’avvio di un’adeguata e approfondita indagine”. Sul caso e sul centro, la “peggiore vergogna” della Regione Friuli-Venezia Giulia
Mercoledì 31 agosto un giovane di origine pakistana di 28 anni si è tolto la vita all’interno del Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Gradisca d’Isonzo (GO), appena un’ora dopo il suo arrivo nel centro. Non sono state fornite le generalità del giovane che, secondo quanto ricostruito, dopo aver effettuato la visita medica si sarebbe suicidato all’interno della camerata a cui era stato assegnato dopo aver atteso che le persone con cui divideva quegli spazi fossero uscite per fumare una sigaretta.
“Il Friuli-Venezia Giulia, la sua politica, le sue istituzioni e tutta la sua società, sembrano oramai assuefatte a quanto sistematicamente avviene nel Cpr di Gradisca d’Isonzo, da tempo noto per essere il più degradato e problematico d’Italia, al cui interno le persone vivono 24 ore su 24 nelle gabbie senza alcuna attività. E dove non entra quasi mai nessuno, né associazioni esterne alla gestione (il cui accesso è sistematicamente ostacolato), né esponenti politici, sociali e sindacali per effettuare monitoraggi indipendenti”, hanno dichiarato il Centro Ernesto Balducci di Zugliano (UD), la comunità di San Martino al Campo di Trieste, l’Ics-Consorzio italiano solidarietà di Trieste, la rete Dasi Friuli-Venezia Giulia e la rete nazionale RiVolti ai Balcani, evidenziando come la morte del giovane cittadino pakistano sia solo l’ultima di un’allarmante sequenza. Dal 2020 a oggi, infatti, sono quattro le persone che hanno perso la vita all’interno della struttura che era stata aperta nel dicembre 2019.
Sulla vicenda è intervenuto anche il Garante nazionale delle persone private della libertà, che in un tweet ha commentato la vicenda evidenziando come il giovane pakistano sia “la 59esima persona che si toglie la vita mentre era affidata allo Stato nel 2022, le altre 58 erano in carcere. Un mattanza che impone una riflessione a tutti i livelli, politici e istituzionali”.
“Il Cpr di Gradisca è il buco nero del Friuli-Venezia Giulia, la sua peggiore vergogna -continua il comunicato delle associazioni impegnate nella tutela dei diritti dei migranti-. A poco serve sostenere che la tragica scelta del giovane che si è suicidato all’ingresso nel centro è stata imprevedibile o che la brevità della permanenza non consente di legare il gesto alle condizioni della struttura, poiché questa ennesima tragedia, anche per la sua dinamica, solleva, al pari delle molte altre morti che sono avvenute nel Cpr, interrogativi inquietanti sull’esistenza e il concreto funzionamento di questa ‘istituzione totale’ sopravvissuta a ogni riforma ed evoluzione sociale e destinata a persone che vengono trattenute in condizioni di gran lunga peggiori di quelle carcerarie senza tuttavia che debbano espiare alcuna pena”.
Le associazioni chiedono quindi “l’avvio di un’adeguata e approfondita indagine, anche in sede giudiziaria” che non riguardi solo questa tragedia “ma anche e soprattutto quanto quotidianamente accade all’interno di quel centro nel suo complesso e da troppo tempo e sulle ragioni di tanta sistemica situazione di violenza e degrado. Parimenti è necessario chiedersi se la prefettura di Gorizia, responsabile diretta della gestione del luogo, l’Azienda sanitaria locale, la questura di Gorizia, la Regione, ognuna per i propri ruoli e competenze, insieme a tutta la società regionale, intendano riflettere seriamente sullo stato in cui versa questo buco nero della nostra società”.
Attualmente sono dieci i Cpr attivi in Italia (Milano, Torino, Gradisca d’Isonzo, Roma, Palazzo San Gervasio, Macomer, Brindisi-Restinco, Bari-Palese, Trapani-Milo, Caltanissetta-Pian del Lago) censiti nello studio “Buchi neri” della Coalizione italiana libertà e diritti civili (Cild) che calcola una capienza complessiva di 1.100 posti e un costo totale di gestione di 44 milioni di euro tra il 2018 e il 2021. Tra giugno 2019 e luglio 2021 sono sei i cittadini stranieri che hanno perso la vita mentre scontavano la detenzione amministrativa.
da altreconomia