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9 settembre 1971: La strage nel penitenziario di Attica

La rivolta di Attica ebbe inizio la mattina di giovedì 9 settembre 1971 e si concluse quattro giorni dopo, sotto i colpi delle armi da fuoco delle forze di polizia che uccisero 29 detenuti e 10 ostaggi e ferirono 89 persone.

Dopo la fine della rivolta e per i giorni che seguirono, i detenuti furono malmenati e terrorizzati dalla polizia dello Stato, dalle guardie e dai funzionari della prigione.

La Corte federale e quella dello stato di New York, la polizia dello Stato, l’FBI e le numerose commissioni istituite, tutti concorsero a far calare una coltre di silenzio e di falsità sulle violenze compiute dalle forze dello Stato nella prigione di Attica quel piovoso lunedì mattina.

*Le terribili condizioni di vita ad Attica.

Nel 1971, era concesso un rotolo di carta igienica per persona al mese. Potevano fare una doccia alla settimana. Ai musulmani neri non era permessa alcuna cerimonia religiosa e qualsiasi tipo di riunione nel cortile della prigione con più di tre musulmani era punibile con l’isolamento. Il vitto del carcere sia a pranzo sia a cena includeva carne di maiale. La biblioteca della prigione non possedeva quotidiani, ma alcuni prigionieri si erano abbonati a proprie spese ad alcune riviste, da cui le guardie sistematicamente ritagliavano qualsiasi articolo che trattasse questioni legate ai prigionieri e ai loro diritti.

*Il 2 luglio 1971, i detenuti di Attica richiesero al commissario alle carceri Russell G. Oswald di impegnarsi a risolvere questi problemi, cioè di garantire il rispetto dei diritti e delle garanzie riconosciuti dai tribunali ma illegalmente negati dalle guardie carcerarie della prigione. Pur essendosi impegnato a incontrare i carcerati per discutere delle loro lamentele, Oswald non lo fece.

*Il 22 agosto, i prigionieri fecero un digiuno silenzioso in memoria di George Jackson, il rivoluzionario nero ucciso il giorno prima a San Quentin, in California, dalle guardie carcerarie. Non ci fu violenza nella manifestazione di Attica, ma il silenzio e le fasce nere a lutto alle braccia dei detenuti irritarono il sovrintendente Mancusi e il suo staff. Il commissario Oswald arrivò ad Attica la mattina del 2 settembre. Incontrò i funzionari della prigione, ma fece ritorno ad Albany, garantendo che sarebbe tornato in un’altra occasione per l’incontro promesso ai carcerati.

*Alle 8,50 di giovedì mattina, 9 settembre, i prigionieri che stavano uscendo dal “blocco A” si aprirono a forza un varco attraverso un cancello chiuso. Il sistema di congegni atto a mantenere isolate una dall’altra le quattro parti della prigione, collassò. I detenuti si riversarono nei cortili, occuparono i “blocchi”, (i reparti, cioè gli edifici delle celle), invasero la chiesa e le officine. Catturarono 38 ostaggi tra le guardie e i civili impiegati nella prigione. Il centro della vita dei carcerati si spostò dalle celle al cortile D. Il tutto accadde in un attimo; non fu mai provato che la rivolta fosse stata premeditata. Nelle fasi concitate dell’inizio della rivolta alcune guardie subirono percosse, ma poco dopo i detenuti organizzati, i musulmani neri, sistemarono le guardie in circolo nel cortile D, proteggendole con una catena umana intorno a loro. Nessun ostaggio fu più toccato, a eccezione di due che furono feriti negli ultimi minuti della rivolta.

Durante i quattro giorni della rivolta, i prigionieri controllarono il cortile D e due blocchi. Tre prigionieri furono assassinati.

I carcerati costituirono un consiglio per negoziare un accordo con la direzione; alcuni vi furono inclusi per acclamazione, altri furono eletti dai blocchi.

Erano giovani: la maggior parte dei membri del consiglio aveva meno di 22 anni e assomigliavano molto agli altri giovani di allora che, fuori della prigione, popolavano ii movimenti di protesta contro la guerra nel Vietnam. I carcerati non si fidavano di Oswald, che non aveva mantenuto la promessa di incontrarli.

*Qualche mese prima, nel novembre precedente nel vicino penitenziario di Auburn, i detenuti avevano chiesto il permesso di celebrare la giornata della solidarietà nera, ma il sovrintendente aveva negato il permesso. Allora essi fecero un sit-in nel cortile del carcere, nel corso del quale catturarono alcune guardie, impossessandosi delle loro chiavi, dei manganelli e dei megafoni. Tennero la loro commemorazione e quando l’amministrazione carceraria promise che non ci sarebbe stata rappresaglia, rilasciarono le guardie e tornarono pacificamente nelle celle. Ma i detenuti furono picchiati e messi in isolamento e molti furono trasferiti ad altre prigioni senza gran parte dei propri averi. Quelli che da Auburn erano stati trasferiti ad Attica furono tenuti in isolamento, finché un giudice federale non costrinse il sovrintendente Vincent Mancusi a spostarli nelle celle ordinarie. Furono questi a mettere in guardia i loro compagni dal prendere per buone le promesse degli amministratori carcerari.

Nella tarda mattinata di domenica, dopo due giorni di estenuanti trattative tra i detenuti e il commissario Oswald, il governatore Nelson Rockefeller ordinò che la prigione fosse ripresa con la forza. A quel punto, i detenuti avevano sottoposto una lista di 31 richieste, 28 delle quali erano state accettate da Oswald. Una richiesta – l’espatrio in un paese non imperialista per chiunque nel cortile D ne avesse fatto richiesta – molto probabilmente non era presa seriamente in considerazione da nessuna delle due parti. Due altre erano problematiche: l’amnistia per tutti i detenuti del cortile D e l’immediata sostituzione del sovrintendente Mancusi. I carcerati sapevano che Mancusi non poteva essere licenziato o trasferito immediatamente, ma molti ritenevano che essi avrebbero comunque accettato l’impegno di Oswald a prendere seriamente in considerazione questa eventualità. L’amnistia era il problema chiave, dato che la guardia carceraria William Quinn, seriamente ferito nei primi minuti della rivolta, era morto il sabato mattina, rendendo così tutti i detenuti del cortile D perseguibili per omicidio e quindi soggetti alla pena di morte. (Secondo la legge, chiunque partecipi in un crimine conclusosi con un omicidio è colpevole della morte tanto quanto colui che preme il grilletto o brandisce il coltello o la mazza: l’autista dell’auto di una rapina può ricevere la medesima pena di colui che ha sparato contro i cassieri della banca). I carcerati sapevano che qualcuno avrebbe dovuto pagare per la morte di Quinn ma volevano porre limiti alla potenziale punizione. La domenica I mediatori pregarono Rockefeller di recarsi ad Attica per incontrarli. I mediatori erano convinti che la presenza di Rockefeller avrebbe convinto i prigionieri a limitare le loro richieste alle 28 già discusse. Rockefeller replicò di non avere alcuna intenzione di concedere amnistie, sospendere Mancusi o traghettare detenuti criminali fuori del paese; per cui non c’era motivo di raggiungere Attica . In realtà la vera ragione era che in quell’anno Nelson Rockefeller si preparava al suo terzo tentativo di strappare a Richard Nixon la nomination repubblicana alle elezioni presidenziali e stava combattendo contro l’accusa di essere un inguaribile liberale mossagli dalla destra del partito. Gli avvenimenti di Attica erano seguiti dai giornali e dalle televisioni di tutto il paese. Rockefeller non aveva alcuna intenzione di mostrarsi tenero con i detenuti in rivolta. La riconquista di Attica, pianificata e comandata dal maggiore John Monahan della polizia di Stato, cominciò alle 9,46 di lunedì 13 settembre 1971. In quel momento, Rockefeller era nella sua tenuta a Pocantico Hills e William Kirwin, capo della polizia dello Stato, era in un motel sul lago George. La polizia eseguì il piano preparato prima che gli ostaggi fossero spostati sui camminamenti della prigione, fino a quel momento occupati solo dai carcerati. Il piano prevedeva di uccidere chiunque si trovasse nei camminamenti sulle mura. Le fotografie e le registrazioni della polizia mostrano come gli ostaggi fossero chiaramente visibili al momento dell’attacco. Un elicottero della Guardia nazionale lanciò sulla prigione una grande quantità di gas CN e CS (oggi, 2011, vietati negli Usa e in molti paesi europei ma usati dalla polizia italiana). Sono gas molto potenti, per cui non vi fu alcuna resistenza all’attacco. Non appena i gas neutralizzarono detenuti e ostaggi, le truppe dello Stato, le guardie carcerarie, la polizia locale e le guardie dei parchi aprirono il fuoco con fucili da caccia, pistole, mitragliatori Thompson e fucili calibro 270 caricati con pallottole esplosive. Le guardie carcerarie, gli agenti della polizia locale e dei parchi sparavano senza direttive e senza autorizzazione: non dovevano neppure essere presenti durante l’attacco.

*Poco dopo l’inizio degli spari, un secondo elicottero si portò sopra il cortile intimando attraverso i suoi altoparlanti: “Arrendetevi. Non toccate gli ostaggi. Mani sopra la testa e muovetevi verso il cancello più vicino. Non sarete colpiti”. Gli spari continuarono mentre l’annuncio veniva ripetuto e sporadicamente anche dopo che l’elicottero si era allontanato. Se non fosse stato per il sangue e i morti, sarebbe sembrato qualcosa di surreale.

*Due ostaggi furono accoltellati al collo; entrambi richiesero dei punti di sutura, anche se le ferite non erano serie. Le ferite potevano essere state intenzionali oppure dovute a spasmi involontari di chi teneva il coltello ed era colpito dai proiettili, ma non si saprà mai perché entrambi furono uccisi. Kenneth Malloy, un detenuto già gravemente ferito, morì quando un soldato gli sparò negli occhi cinque proiettili della sua magnum calibro 357 da trenta centimetri di distanza. James Robinson era immobile e già morente per un proiettile calibro 270 nel petto; un soldato gli sparò a bruciapelo un colpo di fucile nel collo. Non è chiaro quanto durò la sparatoria, poiché la videoregistrazione fatta dalla polizia dello Stato fu tagliata e montata prima di arrivare agli inquirenti e gli originali scomparvero. Nelle ventiquattr’ore che seguirono, centinaia di prigionieri furono feriti dalle guardie e dai soldati con mazze, catene, cacciaviti e altre armi del genere. Durante il processo del 1991, testimoni raccontarono che diversi uomini morirono dissanguati perché il personale della prigione impedì l’intervento dei medici.

*Quando fu tutto finito, Rockefeller si complimentò pubblicamente con la polizia dello Stato per avere compiuto un “lavoro superbo”. Lo stesso lunedì dell’attacco, e ancora il martedì, i responsabili del Dipartimento delle carceri annunciarono alla stampa che gli ostaggi morti erano stati tutti uccisi dai detenuti, che avevano tagliato loro la gola e, in alcuni casi, i genitali. Il rapporto del martedì diceva che alcuni ostaggi avevano anche ferite da proiettile, tutte provocate dai prigionieri con pistole rudimentali. Questi rapporti furono pubblicati dai giornali dello stato di New York e dal “New York Times” e diffusi dalle agenzie di stampa. Ma i carcerati non avevano nessuna pistola rudimentale e gli agenti lo sapevano. Sapevano anche qualcos’altro, molto più serio, che non fu rivelato fino al martedì quando John F. Edland, patologo della contea di Monroe, annunciò che tutti gli ostaggi morti erano stati uccisi dalle armi usate dalla polizia e dalle guardie carcerarie. Vi fu un tentativo immediato di screditare Edland. Fu descritto dalla polizia dello Stato come un “radicale di sinistra”. Invece il dottor Edland era un elettore registrato per il Partito repubblicano, che descrisse se stesso come un entusiasta ex tenente della marina americana. Dichiarò di avere votato per Barry Goldwater nelle elezioni presidenziali del 1964 e per Richard Nixon in altre tre occasioni. Nel corso dell’anno seguente, la polizia dello Stato fermò l’auto di Edland quaranta volte, sempre per supposte violazioni del codice stradale. Le vessazioni continuarono in misura tale da fargli decidere di lasciare lo stato. La polizia dello stato aveva investigato su se stessa fin dall’inizio: manipolò prove, raccolse le testimonianze dei tiratori, prese e fece sparire gran parte delle fotografie autoptiche degli ostaggi, fece la maggior parte delle ricerche per conto del ministro della Giustizia. Le prove del massacro – bossoli, identificazione delle armi, posizione dei corpi, fotografie dei poliziotti che sparano e così via – furono sistematicamente distrutte.

A sessantadue prigionieri furono imputati 1289 capi d’accusa in 42 procedimenti diversi. Non ne venne fuori quasi nulla. Due detenuti furono condannati per la morte della guardia William Quinn; gli altri quattro processi si conclusero con altrettanti proscioglimenti. Tutte le altre imputazioni furono fatte cadere. Malcolm Bell, il pubblico ministero che si occupò dei crimini commessi dalla polizia e dagli altri tutori della legge, dichiarò che “almeno sessantacinque o settanta tra i tiratori potevano essere accusati di omicidio, tentato omicidio, comportamento irresponsabile e altri gravi reati”. Ma non un soldato, una guardia carceraria, un agente locale o dei parchi fu mai perseguito per omicidio o tortura ad Attica. Anzi, nessun tutore della legge o guardia carceraria fu mai accusato di alcunché in connessione con le violenze di Attica.

*Il 31 dicembre 1976, il governatore Carey mise una pietra sopra tutto quanto. Concesse l’amnistia ai carcerati che si erano dichiarati colpevoli. Commutò la sentenza del nativo americano condannato per l’omicidio di William Quinn. Sospese tutte le sanzioni disciplinari a carico dei dipendenti statali coinvolti nella vicenda Attica.

Sciolse il gran giurì che stava giudicando i crimini della polizia e delle guardie carcerarie. Mise termine a tutti i procedimenti penali. I detenuti, eccetto due, se l’erano cavata. Così anche la polizia, eccetto in un caso, che non fu mai chiamata a rispondere alle accuse nei suoi confronti. L’ordine di Carey garantì persino che nessun poliziotto avrebbe mai subito sanzioni disciplinari. Altri imputati negoziarono l’archiviazione del procedimento a loro carico o ne uscirono grazie a cavilli giudiziari. Il vice di Oswald, Walter Dunbar, che subito dopo l’attacco aveva messo in giro la falsa storia che i prigionieri avevano ucciso e castrato gli ostaggi non fu perseguito perché i carcerati non poterono produrre in tempo i documenti necessari al caso.

Attica non va dimenticata!!! Attica è stata una radiografia del sistema della giustizia statunitense! Attica è stato un check up sulla salute della democrazie negli Usa, e nel mondo. (da InfoAut)