Il racconto del naufragio “fantasma” del 3 ottobre. L’odissea di 75 migranti eritrei che hanno perso la vita al largo della Libia: la fuga dal Tigrai, l’incontro con i trafficanti di esseri umani, le violenze e gli stupri
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Ancora il maledetto 3 ottobre, stavolta quello del 2022. E il mare non è quello di Lampedusa, ma quello al largo della Libia, in cui hanno perso la vita almeno 75 profughi eritrei. Una seconda tragedia costata la vita a 5 cittadini eritrei è avvenuta a inizio ottobre mentre emergono nuovi particolari sul viaggio della morte di Wegihu, il 20enne eritreo trovato cadavere un mese fa su un barchino da Open arms.
Un filo rosso lega i fatti, il ritorno sulla scena di tre inafferrabili superboss eritrei del traffico di esseri umani: Abdul Razak, Abu Salam e Medhane Yedego, “il Generale”.
I signori dei “viaggi della speranza” tra Etiopia, Sudan e Libia, ricercati da tutte le procure europee e dall’Interpol, hanno fiutato il lezzo di denaro e morte tornato a spirare da coste e oasi libiche, di nuovo meta dei profughi dal Corno d’Africa sconvolto dalla guerra in Tigrai, dai rastrellamenti del regime asmarino in cerca di reclute e dalla carestia. Lo confermano gli attivisti di Eritrea democratica che hanno raccolto le testimonianze di parenti e sopravvissuti.
Per capire l’orrore bisogna spostarsi nelle case dei rifugiati urbani di Addis Abeba, la capitale etiope cardine della rotta orientale africana del traffico di esseri umani. Lo scorso febbraio inizia qui la tragica odissea di un gruppo di circa 50 ventenni eritrei fuggiti dai campi profughi Onu nel Tigrai e disertori dell’esercito asmarino che partono a bordo di un camion per la Libia. L’organizzatore è Abdul Razak, sparito da Tripoli nel 2018 alla volta di Dubai. Secondo le testimonianze, il super trafficante si è riaffacciato sulla scena e vivrebbe in Sudan. Ciascun profugo lo ha pagato 6.500 dollari per raggiungere le coste libiche e da lì quelle italiane. Ma tre persone, tra cui una donna, muoiono soffocate appena prima del confine sudanese. E, poco dopo, le donne vengono separate dai compagni e violentate. Quando si riuniscono al gruppo quattro mancano all’appello, sparite nel nulla. I trafficanti aggregano altre 40 persone in fuga dall’Eritrea che hanno pattuito il pagamento di 4.500 euro. Dopo due giorni di viaggio raggiungono Agedabian, città costiera della Cirenaica dove vengono consegnati al trafficante libico Mahdi. La sosta è compresa nel prezzo, ma Mahdi sostiene di non aver ricevuto i soldi da Abdul Razak e pretende dai prigionieri un altro pagamento. I carcerieri chadiani per convincerli iniziano a torturarli, poi a stuprare le ragazze davanti ai compagni in un crescendo che va avanti finché i parenti sborsano 3.000 dollari a testa per liberarli.
Il 19 settembre Mahdi li carica su un gommone condotto da due egiziani, ma l’imbarcazione si ribalta dopo due ore e quattro persone annegano. Cellulari e satellitare finiscono in mare, impossibile lanciare Sos. Il relitto va alla deriva, i passeggeri che muoiono lentamente di fame e sete vengono gettati ai pesci.
Il fatidico 3 ottobre le onde ributtano il relitto sulla costa libica. I soccorritori vi trovano 15 cadaveri e sette sopravvissuti in fin di vita, tra cui una donna che spira poco dopo. Invece Aman, Habtom, Brhane, Binyam, Alex e Dejen, i superstiti, vengono imprigionanti a Sifra e si teme che vengano rivenduti.Per uscire dall’inferno libico altri 60 profughi eritrei si sono invece affidati al numero uno.
Dall’Uganda, dove si era rifugiato, è tornato a dirigere il traffico in Libia Medhane, il Generale, al centro anni fa di un clamoroso errore giudiziario perché i magistrati palermitani imprigionarono al suo posto un falegname. Attraverso la sua rete agli inizi di ottobre ha fatto partire da Qoms per 4.500 dollari il gruppo. Ma il barcone è intercettato dalla parte della Guardia costiera libica che non ha fatto accordi con il Generale. Cinque persone cercano di sfuggire alla cattura tuffandosi per raggiungere la costa a nuoto, ma annegano. Tra di loro c’è il medico Meari Haile, 35 anni, che curava a Tripoli le vittime dei raid di miliziani e polizia.
Infine il viaggio della morte di Wehigu, il 20 enne eritreo trovato cadavere sul barchino su cui viaggiava da Open Arms lo scorso 20 settembre. In due anni era stato in quattro galere libiche, era asmatico. Picchiato all’imbarco, ha respirato carburante sul barcone sovraffollato fino a morire. La famiglia aveva pagato per il suo viaggio 4mila dollari ad Abusalam, fuggito a Dubai 4 anni fa e tornato a organizzare buona parte delle partenze dalla Libia. Wegihu aveva una sorella, morta 10 anni fa per le torture dei predoni beduini nel Sinai dove si facevano le ossa i tre signori della morte eritrei, che con le loro protezioni altolocate sono tornati in azione al momento giusto. Sui social l’unica memoria che resta di queste tragedie è l’ennesimo mosaico di volti dei morti nel deserto e in mare.
da Avvenire