Il 25 ottobre in Palestina sei palestinesi sono rimasti uccisi e una ventina feriti a causa dei raid dei soldati israeliani in Cisgiordania, la maggior parte a Nablus.
di Gianni Sartori
Premessa. A volte sembra che le ben note – e altre meno note – traversie subite dal popolo palestinese lo abbiano collocato (anche se non c’è mai niente di definitivo) in un campo se non opposto perlomeno diverso da quello in cui versa il popolo curdo. Per fare due esempi evidenti, Turchia e Iran appoggiano (più o meno in buona fede, più o meno strumentalmente) i palestinesi mentre reprimono duramente i curdi. Così, sempre provvisoriamente, i curdi in qualche modo, talvolta sembrano schierati con alcune potenze imperialiste occidentali (USA, Francia…).
E tuttavia, a mio modesto avviso, al di là di queste contingenze storiche, entrambi erano e sono prima di tutto popoli oppressi, martoriati, talora quasi sterminati.
Quale che sia il boia di turno.
Come mi spiegava una militante del MOVE (Ramona Africa) “quando ti trovi davanti a un’ingiustizia, l’importante non è la vittima (intendendo forse che non tutte e non sempre le vittime sono “perfette” in quel ruolo nda), ma l’ingiustizia”.
A cui in qualche modo bisogna opporsi, perlomeno denunciandola. Schierarsi insomma. Sia con i curdi che con i palestinesi.
Il 25 ottobre in Palestina è stato un giorno di ordinaria amministrazione, forse soltanto con qualche morto in più, oltre la media. Sei palestinesi sono rimasti uccisi e una ventina feriti a causa dei raid dei soldati israeliani in Cisgiordania, la maggior parte a Nablus.
In un primo tempo il Ministero palestinese della Sanità aveva parlato di “tre morti e 19 feriti, di cui tre gravemente”.
A questi si erano poi aggiunti altri tre, di cui uno sempre a Nablus, un altro a Ramallah e l’ultimo nel villaggio di Nabi Saleh.
Al momento l’esercito israeliano non ha né confermato né smentito il tragico bilancio (solo l’uccisione di un esponente palestinese, Wadih Al Houh, sarebbe stata riportata dal Primo ministro Yaïr Lapid) confermando comunque di aver condotto una vasta operazione in collaborazione con la polizia. Stando a quanto dichiarato “contro alcuni laboratori in cui venivano fabbricate armi”. Laboratori gestiti, pare, da una organizzazione palestinese finora sconosciuta: Areen al-Oussoud (“La fossa dei leoni”), in memoria di un giovane militante palestinese, Ibrahim al-Nabulsi, soprannominato il “Leone diNablus” e ucciso dagli israeliani in agosto.
Nel mese di ottobre gli scontri (i “disordini”) erano andati intensificandosi sia a Nablus che a Jénin e un po’ in tutta la Cisgiordania e in questo periodo – secondo l’Autorità Palestinese – una trentina di palestinesi e due soldati israeliani sono stati uccisi.
Niente di particolarmente inedito comunque se si considera che quest’anno, da marzo, i raid israeliani avrebbero già causato un centinaio di morti. Stando a fonti onusiane, il bilancio più pesante da sette anni a questa parte.
Va anche ricordato che proprio da Nablus in queste ultime settimane si erano registrati diversi attacchi anti-israeliani.
I responsabili sarebbero alcuni raggruppamenti di giovani palestinesi solo in parte legati ai gruppi storici (Fatah, Hamas, FPLP,Jihad islamique…). In particolare la nuova organizzazione Areen al-Oussoud aveva rivendicato quindici giorni fa l’uccisione di un militare israeliano in Cisgiordania.
Da parte del presidente palestinese, Mahmoud Abbas, è partita la richiesta di contatti urgenti con la controparte per “porre fine a questa aggressione”.
Invece in un comunicato del 25 ottobre la Jihad islamica informava che violenti combattimenti si stavano svolgendo a Nablus tra suoi militanti e i soldati israeliani minacciando Israele di “rappresaglie contro questi crimini”.
Al momento Nablus sarebbe interamente sotto controllo (anche con i droni) da parte delle forze israeliane che controllano e identificano chiunque esca dalla città e il coprifuoco è in vigore dall’11 ottobre.
Sempre il 25 ottobre Amnesty International ha rivolto un appello alla CPI (Corte penale internazionale) affinché avvii un’inchiesta su possibili “crimini di guerra” commessi sia da Israele che dai combattenti palestinesi nella Striscia di Gaza nei mesi scorsi.
In particolare tra il 5 e il 7 agosto quando, negli scontri tra esercito israeliano e Jihad che si erano svolti nell’enclave, almeno una cinquantina di palestinesi avevano perso la vita. E – come avviene sempre più spesso – non solo combattenti, ma anche civili tra cui alcuni bambini.