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Decreto anti rave: prosegue lo stato di emergenza con leggi eccezionali. Ma rischia già lo stop della Consulta

Oggi “il fatto emergenziale” e la straordinarietà e l’urgenza di intervento del legislatore sono le classiche scappatoie per restringere ulteriormente gli spazi di democrazia creando il nemico di turno. Ma il decreto rischia già lo stop della Consulta. Un giudice di Siena solleva il giudizio alla Corte Costituzionale

di Federico Giusti

Il Consiglio dei Ministri dello scorso 31 ottobre scorso ha approvato il decreto legge n. 162, il cosiddetto decreto anti rave che prevede pesanti pene detentive per chi organizzi raduni illegali e occupazioni abusive.

Ci siamo già soffermati sul decreto legge che invoca la difesa dell’ordine pubblico e della incolumità pubblica che sarebbero minacciati dall’invasione di terreni e edifici privati da parte di almeno 50 persone.

Il decreto in oggetto è in perfetta continuità con i pacchetti sicurezza e sembra evidente che siano proprio i reati di occupazione ad essere nel mirino del Governo tanto da prevedere anni di carcere per questa tipologia di reati.

Ma un aspetto sul quale non ci siamo soffermati è il carattere di urgenza che ha spinto il Governo ad emanare un decreto per un evento di per sè insignificante visto che la pubblica incolumità dovrebbe essere tutelata in ben altri modi e casi, ad esempio ponendo fine alle interminabili liste di attesa negli ospedali pubblici che impediscono l’esercizio di un diritto sancito anche dalla Costituzione come quello della salute

La natura di urgenza stride a nostro avviso con l’art. 77 della Costituzione che prevede per altro casi “straordinari di necessità ed urgenza”. Non ci sono nella fattispecie i presupposti previsti dalla norma Costituzionale ed è evidente l’utilizzo improprio di quel carattere di urgenza che ha portato nel corso degli anni a innumerevoli interventi legislativi di carattere eccezionale che ricordano come in democrazia lo stato di emergenza non possa che rappresentare un caso veramente eccezionale. Ora entro la fine di dicembre questo decreto dovrà essere convertito in legge dal Parlamento dove è scontata la approvazione vista la maggioranza del centro destra.

Resta inspiegabile come il decreto rave possa avere quella “urgente necessità” se non rapportata in contesti emergenziali che potrebbero essere determinati dalla presenza quotidiana di raduni rave cosa che invece non accade. Il ricorso reiterato allo stato di emergenza ci sembra un esempio lampante di come le legislazioni eccezionali abbiano via via preso il sopravvento esautorando il Parlamento e la tradizionale dialettica democratica prevedendo l’intervento delle forze d’ordine in chiave repressiva.

Non esistono i presupposti di urgenza e da qui ipotizziamo la incostituzionalità del decreto anche alla luce di alcuni pareri della Corte Costituzionale.

Non sappiamo quali siano le argomentazioni per giustificare  straordinarietà e urgenza, pensiamo invece che determinati interventi del legislatore prefigurino una sorta di normalità dello stato di eccezione a discapito della democrazia.

Per altro esistono già nel codice penale dei reati che puniscono articoli che puniscono i reati di occupazione di immobili, reati che nel corso degli anni sono stati oggetto di continui interventi per aumentarne le pene.

 E’ avvenuto con le occupazioni di casa e i picchetti ai cancelli delle aziende, siamo in presenza di reati  che negli anni sono stati giudicati una sorta di grave minaccia alla sicurezza e alla incolumità pubblica stravolgendo i codici e costruendo un sistema punitivo contro azioni di carattere politico e sociale.

Oggi “il fatto emergenziale” e la straordinarietà e l’urgenza di intervento del legislatore sono le classiche scappatoie per restringere ulteriormente gli spazi di democrazia creando il nemico di turno, ieri l’occupante di casa o l’operaio che organizza picchetti con il blocco della produzione per poi passare agli organizzatori dei  rave e magari, prima di quanto si pensi, agli studenti che occuperanno le scuole o agli organizzatori e partecipanti di scioperi o a quanti si opporranno alla militarizzazione dei territori.

Applicare leggi eccezionali con pene severe e spropositate è la scelta intrapresa dai governi degli ultimi anni per la criminalizzazione del dissenso e della opposizione sociale, i rave sono solo un pretesto  in  assenza per altro dei presupposti giuridici che dovrebbero determinare il carattere  d’urgenza che mira ancora una volta ad esautorare il Parlamento.

Ma per il governo Meloni: il suo primo decreto a dieci giorni dall’entrata in vigore è già all’esame della Consulta per incostituzionalità.

A sollevare la questione alla Corte costituzionale è stato il giudice Simone Spina di Siena. L’oggetto è l’articolo 6 del decreto che ha prorogato l’entrata in vigore della riforma Cartabia dal primo novembre al 31 dicembre. Ma in questo modo sono state rimandate tutta una serie di norme di garanzia (favor rei). Fra queste anche quella che prevede come per molti reati minori si possa procedere solo dopo querela di parte e non d’ufficio. Il tutto dopo l’eccezione dell’avvocato Paolo Lorenzini, difensore di un imputato di violenza privata e danneggiamento dopo un incidente del 2019: la querela è stata ritirata e dunque il caso sarebbe stato improcedibile.

La proroga dell’entrata in vigore della riforma Cartabia è stata decisa dal governo Meloni con la motivazione che gli uffici giudiziari non erano pronti per tale cambiamento. Nell’ordinanza il giudice contesta anche «l’irragionevolezza» dell’uso di un decreto così eterogeneo dove assieme alla riforma Cartabia si è intervenuto sul carcere ostativo e contro i rave. Ora, sebbene si contesti solo l’articolo 6, la Corte costituzionale potrebbe considerare l’«incostituzionalità consequenziale» per tutto il decreto, bocciandolo in toto.

Per ovviare, il governo potrebbe intervenire nella conversione del decreto con una norma retroattiva per riportare al 1° novembre l’entrata in vigore del pacchetto favor rei ma comunque sarebbe costretto a una sanatoria