Caccia ai migranti in Friuli, ritornano le deportazioni: la direttiva segreta del governo
L’autorizzazione alle riammissioni illegali
di Gianfranco Schiavone
Non sembra esserci pace al confine terrestre tra Italia e Slovenia, un tempo un pezzo della cortina di ferro ma dal 2007 solo un confine interno all’Unione Europea. Su quel confine, lontano dal clamore mediatico, ma dove entrano i rifugiati che attraversano la rotta balcanica, da alcuni anni un’Italia in profonda crisi politica e morale ha scelto di attuare scelte illegittime di eccezionale gravità: tra maggio 2020 e gennaio 2021 (vedasi l’analisi su queste pagine del 6 agosto 21) il Governo di allora, con Lamorgese ministro dell’Interno e Piantedosi capo del suo Gabinetto, rispolverò un accordo del lontano 1996 tra l’Italia e la Slovenia relativo alle cosiddette riammissioni immediate degli stranieri intercettati lungo la linea confinaria che si trovino in condizioni di irregolarità di soggiorno.
Dovremmo parlare, a stretto rigore, di un accordo solo presunto, dal momento che esso, pur avendo una chiara natura politica, non è mai stato ratificato dal Parlamento italiano come previsto, quale condizione vincolante, dall’art. 80 della Costituzione. In cosa consisteva, in breve, quel maldestro tentativo del 2020? Nell’assoggettare alle già dubbie procedure di riammissione anche coloro che, alla frontiera, o rintracciati nelle sue vicinanze, volevano chiedere asilo all’Italia impedendo loro di accedere alla procedura e procedendo a una immediata restituzione alla polizia slovena delle persone, trattate alla stregua di semplici irregolari. Per rinforzarne l’efficacia l’intera operazione veniva attuata in modo “informale”, ovvero senza notificare agli sventurati alcun provvedimento, in modo che non potessero agire in giudizio a loro tutela, in spregio ai principi basilari di uno stato di diritto.
Sulla base di tale scaltra strategia, il diritto di chiedere asilo al confine terrestre italiano che guarda a Est sarebbe divenuto solo un lontano ricordo, con buona pace del diritto internazionale, di quello europeo, nonché anche del nostro diritto interno. Tra maggio 2020 e gennaio 2021 seguirono dalla sola Italia oltre mille riammissioni, quasi tutte proseguite con un ben rodato meccanismo “a catena” che in poche ore produceva il trasporto forzato dei malcapitati attraverso la Slovenia e la Croazia e che si concludeva rigettando il carico dei deportati a suon di botte, sprangate, scosse elettriche e ogni altro genere di sevizie oltre il confine esterno dell’Unione tra Croazia e Bosnia.
Nel gennaio 2021 un’ordinanza del Tribunale di Roma pronunciata in sede cautelare (R.G. 56420/2020) riscontrò la sussistenza di innumerevoli e gravissime violazioni della legalità da parte delle autorità italiane; le riammissioni dei richiedenti asilo cessarono e a metà ottobre dello stesso anno il Ministero dell’Interno, rispondendo alla Camera a una interrogazione di Riccardo Magi, ammise, con burocratico linguaggio affinché poco si capisse oltre la cerchia ristretta degli addetti ai lavori, che almeno la riammissione dei richiedenti asilo è senza dubbio illegale. A riprova del fatto che le riammissioni fossero servite quasi esclusivamente per impedire l’accesso al diritto di asilo, il numero di riammissioni degli “irregolari” effettuato dall’Italia alla Slovenia, in tutto il 2021, come nel 2022, crollò a qualche decina. A lungo sembrò che quella delle riammissioni fosse una delle tante brutte pagine occorse in questo Paese, ma comunque una pagina chiusa.
Non è stato così: il 6 dicembre scorso, a margine di una visita al consiglio regionale del Fvg il novello sottosegretario agli Interni Prisco dichiarò che «Il ministro Piantedosi ha diramato [ndr, il 28.11.22] una direttiva alla Polizia di frontiera e ai Prefetti per riutilizzare i meccanismi di riammissione già considerati dagli accordi italo-sloveni» in modo da consentire «all’Italia di poter riconsegnare chi non ha titolo per restare». Dichiarazioni talmente vaghe che non permettono di dare una risposta alla domanda cruciale ovvero se il governo abbia ripristinato o meno le riammissioni dei richiedenti asilo pur essendo consapevole che ciò sarebbe illegittimo. Inutile cercare una risposta nelle dichiarazioni di alcuni giorni dopo dell’uscente prefetto di Trieste Vardè che al giornale online TriestePrima ha dichiarato che «ci sono state alcune riammissioni, ma non posso entrare nel merito». Poco male, si potrebbe dire dal momento che in uno Stato che rispetti il principio di trasparenza della pubblica amministrazione, la voluta vacuità delle dichiarazioni politiche viene superata dalla diretta conoscenza degli atti.
Così Duccio Facchini, direttore del noto mensile Altreconomia, ha chiesto (come può fare chiunque) sulla base delle vigenti previsioni di legge, di conoscere il contenuto della succitata direttiva (la cui firma viene attribuita nel frattempo non più all’attuale ministro dell’Interno ma alla sua Capo di Gabinetto, Sempreviva) ricevendone però un secco rifiuto «in ragione del concreto pregiudizio che dall’ostensione dell’atto deriverebbe alla integrità dei rapporti internazionali del nostro Paese con la Slovenia e con l’Austria, anche in tema di cooperazione di polizia ed inoltre, alla tutela, in sede locale, della sicurezza pubblica, con specifico riferimento all’attività di prevenzione e contrasto all’immigrazione illegale». Immagino che il lettore non crederà ai propri occhi; come può la pubblica conoscibilità di una semplice direttiva indicante le modalità di attuazione di procedure di riammissione ritenute legali dal Governo compromettere nientemeno che i rapporti internazionali dell’Italia con gli stati confinanti? Cosa si sta nascondendo e cosa sta effettivamente avvenendo al confine terrestre con la Slovenia dal quale arrivano in Italia rifugiati che fuggono dalle persecuzioni e conflitti in Afghanistan, in Iraq, in Iran, in Siria e da altri paesi del Medio oriente e dell’Asia centrale?
Innanzitutto ciò che è certo è che le riammissioni continuano ad avvenire sempre in modo “informale”, una parola gentile che nasconde l’incredibile mancanza di un provvedimento motivato in fatto e in diritto, notificato e quindi impugnabile in giudizio. A ben guardare in questa storia di giochi linguistici, omissioni e silenzi, anche l’altra parola gentile, ovvero riammissione, nasconde quella di respingimento, o, con maggior precisazione nasconde quella reale, ovvero deportazione, giacché il respingimento, quale istituto giuridico legittimo, consiste sempre in un atto motivato e notificato. Per comprendere quali sono i parametri di legalità da applicare, alle frontiere dell’Unione Europea nei confronti di chi intende chiedere asilo, va richiamata la Direttiva 32/2013/Ue sulle procedure d’asilo la quale dispone che «qualora vi siano indicazioni che cittadini di paesi terzi o apolidi […] presenti ai valichi di frontiera […] desiderino presentare una domanda di protezione internazionale, gli Stati membri forniscono loro informazioni sulla possibilità di farlo» (art. 8 paragrafo 1).
Inoltre il “Manuale pratico per le guardie di frontiera” edito dalla Commissione Europea (Bruxelles, 8.10.2019 C(2019) 7131 final) impartisce le seguenti disposizioni: «Un cittadino di paese terzo deve essere considerato un richiedente asilo/protezione internazionale se esprime in un qualsiasi modo il timore di subire persecuzioni o danni gravi facendo ritorno al proprio paese di origine o nel paese in cui aveva precedentemente la dimora abituale. L’intenzione di chiedere protezione internazionale non deve essere manifestata in una forma particolare. Non occorre che la parola “asilo” sia pronunciata espressamente; l’elemento determinante è l’espressione del timore di quanto potrebbe accadere in caso di ritorno. In caso di incertezza sul fatto che una determinata dichiarazione possa essere intesa come l’intenzione di chiedere asilo o un’altra forma di protezione internazionale, le guardie di frontiera devono consultare le autorità nazionali a cui spetta esaminare le domande di protezione internazionale. […] le autorità di frontiera devono informare i richiedenti, in una lingua che possa essere da loro sufficientemente compresa, delle procedure da seguire (come e dove presentare la domanda), nonché dei loro diritti e doveri, incluse le conseguenze possibili dell’inosservanza dei loro obblighi e di una mancata collaborazione con le autorità».
L’esistenza di un’attività informativa da parte della polizia di frontiera sul diritto e le modalità per chiedere asilo e sulle conseguenze della eventuale scelta di non farlo, è dunque condizione preliminare per garantire il rispetto della legalità. Ad esempio un rifugiato afgano può di primo impatto indugiare nel chiedere asilo in Italia perché intende, con buone ragioni, raggiungere al più presto il fratello in Germania. Ma ciò non lo rende di per sè una persona che può essere respinta. Parimenti colui che di fronte alla domanda posta dall’agente di frontiera “sei venuto per lavorare?” risponde “sì” non vuol dire che possa essere disinvoltamente classificato quale migrante che non è in cerca di protezione. Il diritto di chiedere asilo è uno dei diritti fondamentali che sono tutelati dall’ordinamento giuridico nazionale e sovranazionale e non già un gioco di società dove vale la risposta giusta e veloce, altrimenti passi il giro.
Le frontiere italiane sono note non solo per la frequente mancanza di interpreti ma anche per l’uso costante di prassi distorcenti quali l’uso del cosiddetto “foglio notizie” da far compilare agli stranieri in pochi istanti. Eppure sull’illegittimità dell’uso del foglio notizie quale strumento di selezione e determinazione della condizione giuridica delle persone si è già pronunciata la Corte di Cassazione, con due successive pronunce (n. 18189/2020 e n. 18322/2020). Risulta che presso la polizia di frontiera a Trieste, come altrove, sia in uso un foglio notizie che alla voce “venuto in Italia per” riporta, nell’ordine, le seguenti caselle da sbarrare: a) per migliorare le condizioni economiche; b) lavoro; c) raggiungere famigliari; c) altro; d) asilo. Domande quanto mai ambigue e scivolose.
Alla luce dei gravi fatti avvenuti nel 2020 , nonché dell’opacità della situazione attuale, sospettare che si possano verificare nuovamente estesi abusi non è solo lecito ma è doveroso. La fitta nebbia che continua ad avvolgere quanto avviene al confine terrestre italiano con la Slovenia, va infatti dissolta; farlo è un compito, nei rispettivi diversi ruoli, di tutte le forze politiche democratiche, della magistratura e dell’Unhcr. (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) quale agenzia internazionale posta a tutela del diritto d’asilo.
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