di Eleonora Martini
Ci sono due fatti che emergono nettamente dal «Primo Rapporto sulle donne detenute in Italia» realizzato dall’Associazione Antigone e presentato ieri a Roma: il primo, più scontato perché ormai verificato a livello mondiale e non solo italiano, è che le donne delinquono meno e tengono condotte carcerarie migliori degli uomini. Sono perciò più facilmente “trattabili” e riescono meglio nel potenziale reinserimento sociale. Purtroppo però, una volta fuori, quasi mai trovano supporti, cure e opportunità adeguate. Il secondo è che nei confronti del crimine femminile esiste una discriminazione positiva: e questo non solo è un bene ma, ben lungi dal togliere qualcosa allo speculare mondo criminale maschile, dimostra come il sistema dell’esecuzione della pena potrebbe essere molto più efficace se si seguisse il “modello donna”.
VEDIAMOLO CON I NUMERI snocciolati nel rapporto: «La criminalità femminile è pari al 18,3% del totale, mentre le detenute sono solo il 4,2%. Le donne arrestate o denunciate sono 151.860, in base ai dati del 2021. Gli uomini invece 679.277», ossia un rapporto di 1 a 4 circa tra femmine e maschi.
Non che le donne non possano commettere ogni sorta di reati: riguarda il “gentil sesso” «il 20,2% delle denunce totali per furto, il 23,2% delle truffe o frodi informatiche, il 7,5% delle rapine, l’1,9% del totale delle violenze sessuali, il 15,9% di denunce per stalking, il 7,7% delle violazioni della legge sulle droghe, il 6,1% degli omicidi, il 16,8% delle denunce di associazione a delinquere di stampo mafioso e il 25,8% di sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione. Susanna Marietti, coordinatrice nazionale di Antigone, chiarisce quest’ultimo dato: «Le prostitute, soprattutto migranti, vengono spesso accusate di sfruttare e favoreggiare le loro colleghe solo perché condividono spazi comuni per esercitare la professione». Va sottolineato però il calo costante delle imputate e delle detenute straniere.
MA OGNI 100 MILA abitanti vi sono 8 donne detenute, 182 uomini e 17 persone transgender. E negli ultimi 15 anni anche gli ingressi in carcere delle donne sono diminuiti più che quelli degli uomini. Per quanto riguarda le carceri minorili, «al gennaio 2023, sui 385 giovani reclusi solo 10 erano ragazze, pari al 2,6% del totale, una percentuale ancora inferiore a quella delle donne detenute adulte». «Vuol dire che alle donne vengono concesse più facilmente le misure alternative al carcere, soprattutto i domiciliari», spiega Marietti. Dunque il carcere è «tendenzialmente un luogo maschile».
Almeno in Italia, visto che «la media mondiale delle donne detenute è del 6,9%, ossia del 2,7% superiore rispetto a quella italiana», con punta massima ad Hong Kong (19,7%).
Sul nostro territorio ci sono quattro carceri femminili (il romano Rebibbia è il più grande d’Europa), un Istituto a custodia attenuata autonomo per le madri con figli e 44 sezioni femminili in altrettante carceri maschili. Mediamente, le celle che ospitano donne sono più pulite, curate e in condizioni strutturali migliori: «La doccia è presente nel 60% delle celle, contro il 47,5% per gli uomini», per esempio, e così via.
E però il sovraffollamento prodotto dall’eccessiva detenzione degli uomini si ripercuote sulle detenute: Antigone ha potuto verificare che l’affollamento nelle sezioni femminili è del 115%, contro il 113,7% degli uomini. In un carcere su tre manca il servizio di ginecologia. «Le donne con diagnosi psichiatriche gravi sono il 12,4% delle presenti, contro il 9,2% dei presenti in tutti gli istituti visitati nel 2022, e fanno regolarmente uso di psicofarmaci il 63,8% delle presenti, contro il 41,6% del totale».
Scarsissime le attività in comune con gli uomini e per quanto riguarda l’istruzione e la formazione c’è un vero e proprio gap tra i due sessi: nel 2021 erano 1.093 i detenuti iscritti all’Università, le donne solo 36. Una si è laureata, contro 18 uomini.
IN QUESTE CONDIZIONI, permangono ancora in carcere, insieme alle loro madri, 17 bambini di età inferiore a un anno. Mentre «sono solo due in tutta Italia le case famiglia protette previste dalla legge 62/ 2011».
E allora Antigone propone dieci nodi prioritari su cui elaborare riforme normative. Tra le più rilevanti: un ufficio specifico al Dap diretto da esperti in politiche di genere; un approfondito esame volto a verificare se la donna ha subito violenza sessuale o altri abusi prima dell’ammissione in carcere; uno staff adeguatamente formato e specializzato sulla violenza di genere; la continuità di cura per la donna tornata in libertà; attività diurne congiunte di tutti i sessi, «in accordo con il principio per cui la vita in carcere deve approssimarsi il più possibile a quella nella comunità libera». Infine, propone Antigone, «le carceri e le sezioni femminili devono essere improntate il massimo possibile al modello della custodia attenuata». Poi, conclude Marietti, «si parta da questo modello per riformare tutte le carceri».