L’ 8 febbraio con l’udienza preliminare è iniziato il processo per l’omicidio di Ugo Russo dopo tre lunghi anni dalla notte in cui perse la vita a soli 15 anni.
di Riccardo Rosa da Napoli Monitor
Assume sempre più i contorni di una partita a scacchi l’infinita udienza preliminare che si sta svolgendo al tribunale di Napoli per il processo che vede imputato Christian Brescia, carabiniere all’epoca ventitreenne, che la notte del 29 febbraio 2020, in borghese, dopo un tentativo di rapina fallito per opera del quindicenne Ugo Russo, ammazzò il giovane sparandogli al corpo e alla testa, in via Generale Orsini, quartiere Santa Lucia, Napoli.
Qualcosa di insolito è infatti accaduto nell’udienza del 9 marzo, quando il pubblico ministero De Roxas ha chiesto al giudice un’attività di integrazione probatoria per una ricostruzione ancor più precisa degli eventi che hanno portato alla morte di Ugo Russo. La richiesta è arrivata dopo la deposizione del perito Paniz, che aveva redatto la relazione decisiva per richiedere un rinvio a giudizio per il carabiniere con l’accusa di omicidio volontario aggravato.
Una richiesta che ha stupito tanto la difesa del carabiniere quanto la parte civile (i legali della famiglia Russo: gli avvocati Fusco, Di Donato e Mormile), considerando le lunghe indagini – durate più di due anni – svolte dalla Procura, nonché l’assenza di criticità emerse dall’ascolto del teste. Il giudice Tommaso Perrella ha rinviato l’udienza al 27 aprile per decidere se procedere con nuovi approfondimenti sulla perizia balistica, rinviare a giudizio l’imputato o pronunciare una sentenza di non luogo a procedere, che potrebbe addirittura chiudere la vicenda con un nulla di fatto.
Da un punto di vista processuale ci troviamo quindi a un passaggio delicato, che merita di essere analizzato nel dettaglio.
Il primo dato è l’opposizione da parte della difesa (respinta) a questo supplemento probatorio chiesto dal pm. Gli avvocati Guida e Floccher mettono in discussione l’accusa di omicidio volontario, sostenendo che il colpo alla testa del quindicenne sia stato sparato da Brescia durante e non dopo il tentativo di rapina. Hanno ritenuto pertanto inutile l’acquisizione di altri dati, considerando il quadro già sufficientemente chiaro. È verosimile, da parte loro, il timore di iniziare un processo con un incidente probatorio ancora più completo rispetto a quello che già evidenzia le modalità da “esecuzione” utilizzate dal carabiniere per uccidere Russo, raggiunto secondo l’accusa da un colpo alla testa quando era in fuga, dopo essere stato attinto da un primo colpo al corpo. D’altro canto, è lecito chiedersi come mai De Roxas abbia chiesto al giudice questi approfondimenti, non avendo l’ascolto di Paniz fatto emergere dubbi rilevanti. Entrambe le possibili risposte a questa domanda non sono incoraggianti.
La prima implicherebbe un sostanziale passo indietro da parte del pubblico ministero (elaborato prima dell’ascolto di Paniz, dal momento che la richiesta è stata consegnata in forma scritta, ed era stata quindi preparata in precedenza). In tal caso, il rischio sarebbe quello di una rivalutazione dell’intero materiale probatorio. Mettendo in dubbio la dinamica dell’omicidio, infatti, non si mette in dubbio solo la perizia balistica, ma anche quelle mediche, che evidenziano come il colpo sparato alla testa del ragazzo sia stato fatale, e lo abbia lasciato a terra nel luogo in cui è stato trovato, distante diversi metri da quello della rapina (quindi durante la fuga e non durante l’azione). Si metterebbe in dubbio in questo modo anche che il proiettile ritrovato nella porta blindata di uno degli edifici di via Generale Orsini sia lo stesso che aveva attraversato il casco del ragazzo (a dispetto di rilievi chiarissimi in questo senso). Si metterebbe in dubbio, in fin dei conti, la richiesta stessa di omicidio aggravato emessa dal pubblico ministero.
L’altra possibilità è che De Roxas abbia chiesto precisazioni sulla perizia per rafforzare ancora di più la propria accusa, a cui gli avvocati del carabiniere avevano fatto opposizioni troppo poco efficaci. Una mossa molto rischiosa: il giudice si è infatti riservato di accogliere la richiesta, ma lo ha fatto sulla base di un articolo (il 422 del codice di procedura penale) che prevede la possibilità di disporre integrazioni potenzialmente decisive addirittura per una sentenza di non luogo a procedere, in una prospettiva di favore per l’imputato.
Inizia a questo punto un ennesimo difficilissimo periodo di attesa per la famiglia Russo e per il comitato che la affianca chiedendo verità e giustizia per la morte del ragazzo. Gli sforzi fatti per mantenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica sono stati enormi, e hanno visto nelle ultime settimane lo svolgimento di presidi e conferenze stampa, nonché l’auto-cancellazione del murale che ritraeva il volto del ragazzo, censurato dal comune di Napoli, che pur di eliminare lo spiacevole memento si è aggrappato a una serie di norme applicate in maniera fantasiosa rispetto al caso specifico.
La stampa cittadina si è schierata compatta dalla solita parte. Gli ipocriti articoli usciti in questi giorni mostrano la preoccupazione della borghesia cittadina per la carica simbolica che l’ennesimo omicidio di un proletario adolescente da parte di un poliziotto potrebbe generare. Per contrastare questa vulgata ci sono solo due modi: da un lato sperare che la giustizia dei tribunali faccia il suo corso, e che qualcuno, al di là delle sentenze e le condanne, metta su carta la verità riguardo quella notte; il secondo è non smettere di raccontare cosa è accaduto a Ugo Russo e cosa sta accadendo in questo processo, in piazza, nelle università, sui giornali indipendenti. Da questo punto di vista non esiste un momento più importante o propizio di altri.
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