La Cedu condanna l’Italia. Ma il governo conosce solo l’arma della repressione
Sbarre e torture. Con un Cpr in ogni regione il Viminale si prepara a far fronte a una possibile ondata di sbarchi. Ma la Corte europea dei diritti dell’uomo condanna l’Italia per i maltrattamenti subiti dai migranti a Lampedusa. E Strasburgo accusa: basta torture ai confini Ue. La sentenza è netta: condizioni inumane e respingimenti collettivi. «I fatti risalgono al 2017 ma ancora oggi nell’hotspot dell’isola si registrano trattenimenti informali e sovraffollamento sistematico», dice l’avvocata Lucia Gennari (Asgi). Intanto il governo prepara il piano contro l’aumento degli sbarchi. Il Comitato anti-tortura del Consiglio d’Europa ai paesi membri: basta respingimenti. Amnesty: chi ha sbagliato paghi
di Giansandro Merli
L’impennata degli sbarchi spinge il governo ad adottare contromisure in vista della stagione estiva. Dal Viminale fanno sapere che i provvedimenti concreti sul tavolo, per ora, sono soprattutto due: rafforzamento del sistema di accoglienza, che al momento ospita 115mila migranti, e apertura di nuovi Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), «almeno uno per regione». Occhi puntati su Lampedusa da dove i trasferimenti saranno velocizzati, grazie all’aiuto della marina militare.
A PROPOSITO DEGLI ARRIVI sulla maggiore delle Pelagie, però, ieri è arrivata una nuova tegola sui piani dell’esecutivo. La Corte europea per i diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per il caso di quattro cittadini tunisini trattenuti nell’hotspot dell’isola tra il 15 e il 26 ottobre 2017, poi trasferiti in Sicilia e da lì rimpatriati lo stesso giorno. In quel periodo al governo c’era Paolo Gentiloni, ma le prassi sono rimaste uguali e sono dunque illegittime. Lo Stato dovrà pagare a ogni ricorrente 8.500 euro. La condanna è pesante perché tocca tre punti: condizioni di trattenimento inumane e degradanti, detenzioni arbitrarie e respingimento collettivo. Cioè violazioni degli articoli 3, 4 e 5 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata nel 1950 dal Consiglio d’Europa. È il trattato che tutela i diritti inviolabili nei 47 paesi firmatari (di cui 27 formano l’Ue).
«LA DECISIONE del giudice parla di situazioni del tutto attuali. Ancora oggi nell’hotspot di Lampedusa si registra un sovraffollamento sistematico e le persone sono trattenute in modo informale senza una convalida giudiziaria, né un termine chiaro. Inoltre non hanno accesso sufficiente alle informazioni sul loro status e la procedura d’asilo», spiega l’avvocata Lucia Gennari che ha firmato il ricorso in sede europea insieme alla collega Loredana Leo. Entrambe fanno parte dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi). «La Corte dice anche che le procedure di rimpatrio accelerato cui da anni sono sottoposti i cittadini tunisini non sono valide: le modalità adottate non permettono di garantire il diritto di difesa e l’accertamento delle situazioni individuali», continua.
SI TRATTA DI UNA SENTENZA di primo grado contro cui verosimilmente le autorità italiane faranno opposizione. A quel punto la palla passerà alla Grande camera della Corte per la decisione definitiva. Nel frattempo, però, ogni migrante che finisce nell’hotspot ed è trattenuto in modo illegittimo ha potenzialmente diritto a un risarcimento. Anche perché nel frattempo la situazione è peggiorata. Dal punto di vista quantitativo: nelle ultime settimane si sono registrati picchi di presenze nella struttura di Contrada Imbriacola superiori a 3mila. E questo ha inevitabilmente effetti deleteri sulle condizioni di permanenza, visto che la capienza è di circa 400 posti. Dal punto di vista qualitativo: nel 2017 dall’hotspot si poteva uscire attraverso un buco nella rete in modo informale. Per il giudice europeo non basta a negare che si sia trattato di una forma di detenzione e comunque oggi quel buco non c’è più. Secondo la legislazione nazionale non è possibile trattenere le persone negli hotspot, se non nel caso dei richiedenti asilo per un massimo di 30 giorni ma solo dopo un pronunciamento del tribunale.
IN BALLO, INSOMMA, è proprio il «modello Lampedusa» implementato da tutti gli ultimi governi, dal centro-sinistra alla destra-destra passando per populisti e tecnici. Il modello si basa su una rigida procedura: chi sbarca transita dal molo Favoloro direttamente all’hotspot nascosto nella pancia dell’isola. «Il prefetto ha spiegato che Lampedusa fa affidamento sulle entrate del turismo e la loro [dei migranti, ndr] presenza potrebbe creare dei problemi», si legge nel report sulle visite ai centri di identificazione ed espulsione 2016-2017 del Garante nazionale dei detenuti. Questo tacito accordo tra Stato italiano e popolazione locale, però, secondo la Corte viola i diritti fondamentali dei cittadini stranieri.
SEMPRE IERI un altro organo del Consiglio d’Europa ha richiamato gli Stati membri sulle politiche migratorie: basta respingimenti alle frontiere marittime e terrestri dell’Ue. Molti paesi affrontano sfide complesse, scrive il Comitato anti-tortura (Cpt), «ma questo non significa che possano ignorare i loro obblighi in materia di diritti umani». I risultati delle ispezioni lungo le rotte percorse dai migranti hanno dato esiti terribili: aumentano detenzioni arbitrarie, maltrattamenti, violenze delle polizie, respingimenti illegali per terra e mare. Dall’Egeo alla rotta balcanica, fino ai paesi baltici e dell’Europa orientale. «C’è urgente bisogno che vengano avviate indagini immediate e indipendenti, che i responsabili siano chiamati a risponderne e che siano istituiti forti meccanismi indipendenti di monitoraggio alle frontiere», attacca Eva Geddie, direttrice dell’Ufficio europeo di Amnesty International.
da il manifesto
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