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Alfredo Cospito. L’incostituzionale processo di annientamento dei detenuti

Al 41 bis «non si vive, si mantiene in vita solo un corpo che non ti appartiene più, perchè è diventato di proprietà del Ministero di giustizia».

di Alfredo Facchini

Da un momento all’altro, lo confesso, mi aspetto di leggere il peggio. Per come si sono messe le cose, la sorte di Alfredo Cospito è senza vie d’uscita. Già ora si temono danni irreversibili. Per quanto ancora il suo corpo potrà resistere?

Ma per lo “Stato vendicatore” lo sciopero della fame è strumentale. Così hanno sentenziato i suoi togati. Non ci sono attenuanti. «Chi è causa del suo mal pianga se stesso».

Mentre per Alfredo lo sciopero della fame è l’unico strumento di lotta. Il più virale. «Il corpo è uno strumento potente da utilizzare come megafono, quando la tua voce è ridotta a un soffio».

Per questo va punito e annientato. Lo Stato vuole la sua resa. E se non dovesse arrendersi ha messo in conto la sua morte.

Ma Alfredo non arretra di un centimetro: «Non ce la faccio ad arrendermi a questa non-vita, è più forte di me, forse perché sono un testone anarchico abruzzese. Non sono certo un martire».

E mi vengono in mente le parole angosciate di “Sole”, Maria Soledad Rosas, suicidatasi l’11 luglio del 1998: «La galera è un posto di tortura fisica e psichica, qua non si dispone di assolutamente niente, non si può decidere a che ora alzarsi, che cosa mangiare, con chi parlare, chi incontrare, a che ora vedere il sole».

Tre mesi prima, il 28 marzo, viene ritrovato impiccato nella sua cella del carcere delle Vallette, a Torino, “Baleno”, Edoardo Massari. Sole e Baleno, compagni nella vita e nelle lotte.

Nel 2022 si sono suicidate 84 persone all’interno delle carceri italiane: 78 uomini e 5 donne. Uno ogni cinque giorni. È il numero più alto di suicidi registrato in Italia dal 2000, ovvero da quando questi dati sono stati resi disponibili.

Con cinque suicidi, il carcere di Foggia è quello che ha registrato il maggior numero di episodi.

La situazione nelle carceri, di anno in anno, è andata deteriorando. Una condizione che nel 2013 ha portato l’Italia anche alla condanna della Corte Europea dei Diritti Umani per violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea, per il trattamento inumano e degradante.

La popolazione carceraria è quasi raddoppiata: i detenuti erano 31.053 nel 1991 e sono oggi 56.158. E, gli Istituti di pena possono contenere al massimo 45mila persone. Il 70% della popolazione carceraria è composta da tossicodipendenti. 17.882 sono stranieri.

Gli ergastoli sono più che quadruplicati, passando dai 408 del 1992 agli attuali 1859, due terzi dei quali – precisamente 1.267 –, aggravati quali “ergastoli ostativi”: l’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario, ovvero quella norma che impedisce la concessione di benefici – come permessi premio, libertà condizionale, lavoro all’esterno – fino a quando la persona non collabori con la giustizia.

Condizione, questa collaborazione, contraria al principi di civiltà secondo cui nessuno è tenuto a incolpare se stesso o a collaborare con l’accusa. (Luigi Ferrajoli)i

A fronte dell’alto numero di istituti nel nostro paese, 191, siamo in presenza di un patrimonio edilizio in scarso stato di manutenzione – il 20% degli istituti risalgono a prima del 1900 – con situazioni igieniche spesso al limite della decenza. Con celle talvolta di 10 metri quadrati dove sono recluse 8 persone .

Siamo un Paese civile?

Tornando al “caso Cospito”, lo sciopero di Alfredo ha riportato sotto la luce dei riflettori l’articolo 41 bis, che prevede restrizioni ancora più disumane rispetto agli altri detenuti. Per esempio, un detenuto sotto il “carcere duro” deve stare da solo in una cella, isolato da tutti gli altri detenuti, e non ha la possibilità di accedere a spazi comuni. Al massimo si possono trascorrere due ore al giorno negli spazi all’aperto dell’istituto penitenziario (la cosiddetta “ora d’aria”).

Esistono limitazioni anche per i colloqui: in persona ne è concesso solo uno al mese e solo con i familiari, senza la possibilità di passarsi oggetti, mentre per via telefonica si può fare al massimo una chiamata di dieci minuti al mese, registrata. Tutta la posta viene controllata in entrata e in uscita. Il detenuto è videosorvegliato 24 ore al giorno.

I detenuti sottoposti al 41-bis sono 728, 716 gli uomini, 12 le donne.

Il carcere con il maggior numero di detenuti al 41-bis (143) è quello dell’Aquila, in Abruzzo. Qui è detenuto Matteo Messina Denaro. Nella sezione femminile, è rinchiusa la brigatista Nadia Lioce all’ergastolo per gli omicidi di Biagi e D’Antona.

Non ci sono strutture carcerarie nel Sud che ospitino persone detenute al 41 bis. Si trovano tutte nel centro nord.
242 si trovano al “carcere duro” per legami con la Camorra, 232 con Cosa nostra, 195 con la ‘Ndrangheta.

Altri 55 detenuti al 41-bis sono in carcere per reati legati ad altre associazioni mafiose come la Sacra Corona Unita e la Stidda. Mentre in quattro per reati di terrorismo interno e internazionale, tra questi viene conteggiato anche Cospito.

L’età anagrafica media è di 58 anni; i detenuti di età pari o superiore a 60 anni sono 340 (circa il 46,7 per cento del totale).

Il regime di 41 bis è una trovata tutta italiana. La disposizione venne introdotta dalla cosiddetta legge Gozzini nel 1975, ma era pensata solo per le rivolte carcerarie. La norma aveva quindi una finalità preventiva nei confronti di situazioni di pericolo esclusivamente interne al carcere.

Dopo la strage di Capaci nel 1992, all’articolo si aggiunse un secondo comma che ne estese l’applicazione ai boss. Fu pensata come norma emergenziale e transitoria, per tre anni. Così non fu, nel 2002 la norma divenne definitiva e applicabile a membri di associazioni “criminali, terroristiche ed eversive”.

Lo scopo: impedire la comunicazione tra interno ed esterno, in modo che nessuno potesse, dal carcere, continuare a dirigere le proprie organizzazioni criminali.

Il potere di emettere i decreti di applicazione o proroga sono adottati con decreto motivato del Ministro della Giustizia, dopo aver sentito il parere del pubblico ministero che procede alle indagini.

Il regime in 41 bis – che di norma dura quattro anni – può essere revocato in due casi: scadenza del termine senza che sia disposta la proroga; ordine del tribunale di sorveglianza in caso di reclamo al quale dovesse seguire una decisione di illegittimità del provvedimento.

La Corte Costituzionale che, tra il 1993 e il 2002, è stata più volte chiamata a pronunciarsi sulla sua legittimità non ha mai censurato la legittimità del 41 bis.

Alla faccia della Costituzione italiana che sancisce all’art. 27 co. 3 che «le pene devono tendere alla rieducazione del condannato».

La pena non è vendetta. Si dirà: ma che vuoi rieducare Matteo Messina Denaro? In teoria si. Ma quanto meno non lo si può murare vivo come fa lo “Stato vendicatore” che oltre a sorvegliare, annienta il detenuto.

Bisogna trattarli duramente – si dice – perché non c’è possibilità di recuperarli. Chi pensa il contrario viene ritenuto, nella migliore delle ipotesi, un ingenuo, un ”buonista”.

Gli Stati Uniti nel 2007 negarono l’estradizione in Italia di un boss
mafioso come Gambino proprio perché i giudici americani ritenevano il 41 bis un sistema detentivo che mette in forte discussione il rispetto dei diritti fondamentali.

Tant’è che nel 2019, Nordio, definiva il 41bis «isolamento mortuario e incivile».

Al 41 bis «non si vive, si mantiene in vita solo un corpo che non ti appartiene più, perchè è diventato di proprietà del Ministero di giustizia».

da Diogene

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