Catania: chiamata al sostegno di fronte alla repressione verso un compagno noborder per azione contro Frontex
Alla fine di agosto del 2022, un compagno ha ricevuto un ordine di allontanamento da Catania, successivo all’emanazione nei suoi confronti di un foglio di via, in seguito ad un’indagine per l’imbrattamento della sede di Frontex, che nel cuore della città ha uno dei suoi suo centri logistici finalizzati al coordinamento delle operazioni nel Mediterraneo centrale.
Il dossier con cui la Digos locale ha argomentato che il nostro compagno è una persona “pericolosa per la sicurezza pubblica”, e quindi l’urgenza del suo allontanamento forzato ed imminente dalla città in cui viveva, rivela l’arbitrarietà con cui vengono sempre più facilmente criminalizzate e mostrificate scelte di vita e lotte politiche. Oltre a un vago e generico accenno ad una sua partecipazione a movimenti definiti “noborder” e “pro-migranti”, si fa riferimento ad una semplice e unica segnalazione di polizia a suo carico, peraltro di lieve entità: aver attaccato con dello scotch (!) alcuni volantini di Abolish Frontex in giro per la città, tra cui sulla sede di Frontex.
Di fronte all’inconsistenza degli elementi per dichiararne la qualità di “soggetto pericoloso”, risulta ancora più chiaro che quello che si è voluto colpire sono i percorsi di autorganizzazione e lotta che negli ultimi anni si sono dati a Catania e in Sicilia nel sostegno alle persone in movimento e contro i confini.
In questi mesi due tribunali amministrativi hanno respinto la richiesta di sospensiva della misura repressiva e a febbraio hanno confermato che il nostro compagno deve rimanere in esilio, fisicamente lontano dalle nostre lotte. I suoi legami sociali, lavorativi e affettivi a Catania sono stati nuovamente resi irrilevanti ed è stato ribadito che è una persona “pericolosa per la sicurezza pubblica”. E’ un tentativo sciatto, anche se purtroppo efficace, di demonizzare e indebolire coloro che lottano contro le frontiere della Fortezza Europa. Ed è anche quanto si produce giornalmente nei confronti di coloro che vengono ritenutx essere “classe pericolosa”, come sex workers, ambulanti, persone senza fissa dimora, chi rende possibile momenti di socialità non mercificata e chiunque con la propria esistenza mina il progetto neoliberista sulle città. Pensiamo che reagire a questi strumenti sia fondamentale per coloro che si mobilitano contro la violenza del razzismo e dei confini, soprattutto in questa zona del regime UE di frontiera.
In Sicilia, così vicina alla Tunisia, il processo di Schengen e il rafforzamento delle frontiere esterne stanno ostacolando gli importanti legami tra persone e attivistx che contraddistinguono la storia di questa zona del mediterraneo. Catania costituisce uno snodo di questo scambio, è un punto di arrivo per molte persone che si imbarcano sulla rotta del Mediterraneo centrale, ma è anche un importante centro operativo del potere necropolitico dei confini: è proprio per questo che negli ultimi anni abbiamo scelto di radicare qui le nostre lotte.
Il porto di Catania è il luogo in cui si sono espressi con più chiarezza i rapporti di forza generati dai tentativi governativi di difendere i confini e criminalizzare anche l’intervento umanitario. Nel 2018 c’è stato il caso Diciotti, quando l’ex ministro dell’Interno Salvini ha impedito a una nave della Guardia Costiera italiana di sbarcare più di 100 persone, costringendole a rimanere a bordo per dieci giorni; in novembre, il caso della nave ONG Humanity 1, quando il nuovo ministro dell’Interno Piantedosi (alleato di Salvini) ha bloccato lo sbarco delle persone a bordo per diversi giorni e ha definito “carico residuale” coloro che non riteneva meritevoli di sbarcare.
E’ al porto di Catania che negli ultimi anni abbiamo assistito allo sbarco di diverse “navi quarantena”, prigioni naviganti dove durante i primi due anni della pandemia sono state confinate le persone appena sopravvissute al viaggio, e abbiamo sostenuto le persone sbarcate e le altre comunità di migranti che vivono in questa città e che ogni giorno si trovano esposte alla violenza della polizia. Per molte persone razzializzate e rese deportabili Catania è uno snodo centrale, essendosi negli anni consolidata come luogo di rifugio e di sosta, tra uscite e fuoriuscite da hotspost, CARA (come quello di Mineo) e i campi di lavoro delle campagne siciliane. Catania è poi resa maledettamente vicina ai due CPR presenti in Sicilia (a Caltanissetta e Trapani) e all’aeroporto di Palermo, che è il luogo di confluenza da tutta Italia dei voli di deportazione verso la Tunisia, che poi da qui partono.
Frontex costituisce il presupposto e l’emblema di tutto questo regime di frontiera che deporta e uccide. Non solo pattuglia il Mediterraneo centrale con droni, aerei, navi e guardie, ma è anche attivamente coinvolta nei processi di selezione di coloro che sono ritenuti degnx di chiedere protezione e quellx che dovrebbero essere deportati, Frontex finanzia anche direttamente le deportazioni. Eppure, il palazzo di Frontex a Catania non ha nemmeno una targa o un segno che possa renderlo visibile allx catanesi. Chi è a conoscenza della sua esistenza lo riconosce immediatamente dalla quantità ridicola di telecamere installate ad ogni angolo per sorvegliare l’edificio. Questo luogo si presenta come una fortezza impenetrabile, simile a quella che le istituzioni europee vorrebbero fosse il Mediterraneo. Questa agenzia vorrebbe silenzio, come quello che lo stato vorrebbe verso le stragi in mare di cui è a causa. Ma alcunx hanno lasciato scritto ben visibile: “Frontex uccide”. Non ci sorprende che questo sia stato preso così male dalle forze di polizia in città e abbia portato a forme di vendetta come quella che ha colpito il nostro compagno.
Vogliono che rimangano intoccati e intoccabili i veri pericoli sociali: Frontex, le leggi italiane ed europee sull’immigrazione, gli accordi tra l’Unione Europea e la Turchia, tra Italia e Libia, tra Italia e Tunisia, i Cpr, le galere. Ma anche i processi di turistificazione e di lotta al “degrado”, che si stanno rafforzando nelle città del mediterraneo e che espellono le persone impoverite dai centri storici, nonché lo sfruttamento nelle campagne di chi è sotto il ricatto del permesso di soggiorno.
Per questo, nel corso degli anni, abbiamo lavorato tuttx insieme per costruire strutture di solidarietà e forme di mutualismo tra vecchi e nuovi abitanti ed attivistx provenienti da diverse parti del mondo. In città abbiamo contribuito ad aprire spazi comuni auto-organizzati: un Infopoint e un dormitorio che per più di un anno ha ospitato persone razzializzate bisognose di sostegno e in transito; un doposcuola e corsi di italiano; uno sportello socio-legale; un collettivo di cucina. Abbiamo portato avanti assemblee di autodifesa da razzismo e repressione, iniziative politiche e numerosi momenti di socialità che hanno coinvolto anche realtà associative e militanti in regione. Siamo collegatx con altri luoghi e lotte contro la violenza delle frontiere e del capitalismo, abbiamo sostenuto chi lavora nelle campagne ed espresso la nostra solidarietà attiva nei confronti di chi è detenuto nei CPR.
E’ il fatto di aver provato a praticare forme alternative di esistenza e a far proliferare percorsi di autodifesa che si è voluto colpire con questo foglio di via. Lo si è fatto tramite il piano amministrativo, da decenni sperimentato in Italia nei confronti delle persone razzializzate in movimento. E’ il piano amministrativo quello che porta a finire dentro un CPR, carcere se possibile ancora peggiore di un carcere. Non solo l’irregolarità dei documenti, ma anche l’arbitraria comminazione di pericolosità sociale sta portando le persone ad essere deportate, come sta succedendo sempre più verso le persone provenienti dal Gambia, i cui fratelli sono quelli con cui abbiamo maggiormente intrecciato le nostre vite a Catania.
Se il rimpatrio con foglio di via viene privilegiato come strumento anche nei confonti di attivistx, perché è efficace nel sottrarre velocemente risorse ai movimenti e nell’individualizzare i costi affettivi ed economici della repressione, quanto successo al nostro compagno non fa che confermarci l’importanza della lotta noborder. Riteniamo fondamentale che sempre più si elabori e sostenga anche una prospettiva antirazzista e decoloniale davanti alla criminalizzazione delle lotte sociali.
Non siamo né spaventatx né intimiditx. Se l’accusa è di aver messo in luce cosa è e dove sta l’agenzia criminale che è Frontex, diciamo che chi l’ha fatto quella notte non era solo e non rimarrà solo. Però ci troviamo a far fronte ai costi economici delle spese legali in un contesto impoverito come la Sicilia, dove il denaro fluisce solo in mega-progetti neocoloniali di tipo militare (NATO in primis), energetico e turistico.
Se voi o il vostro gruppo/collettivo/associazione desidera organizzare un benefit di solidarietà per il nostro compagno per sostenere le spese legali e aprire ulteriori occasioni di analisi e denuncia del regime europeo di frontiera, non esitate a contattarci a catania_noborder@inventati.org .
Se desiderate anche contribuire direttamente, l’IBAN di riferimento è IT09G0501804600000017166307, intestato a: Arci Melquiades APS, e la causale è: sostegno alle Spese Legali.
In solidarietà, con amore e rabbia, antirazzistx da Catania
Cancelliamo Frontex dalla storia!