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Francia: Dai quartieri popolari alle manifestazioni, la continuità delle violenze poliziesche

La violenza della polizia fa molto rumore ai tempi di Sainte-Soline e del movimento contro la riforma delle pensioni. Il collettivo Pride des Banlieues fa il punto sull’istituzione di polizia, sulla sua storia e sulle sue pratiche

di Pride des Banlieues

La violenza della polizia in tutte le sue forme e oppressioni

Pugni, manganelli, insulti, colpi di LBD, arresti sommari. Molte scene di violenza perpetrate dalla polizia e riprese dai giornalisti hanno fatto notizia a margine del Movimento contro la riforma delle pensioni.

Scene che scioccano, scene che commuovono, scene che fanno reagire il mondo politico.

Tuttavia, lontano dalle telecamere e dall’attenzione dei media, come abitanti dei quartieri popolari, abbiamo imparato molto presto a diffidare della polizia. Questo, tanto più in quanto siamo razzializzati.

Razzismo, LGBTQI+fobie, controlli d’identità abusivi, molestie, umiliazioni, violenze sessiste e sessuali, mutilazioni e persino omicidi …

Tanta violenza impunita proveniente dall’istituto di polizia, non ci sorprende più da tempo.

Se le cronache recenti ravvivano il dibattito, i delitti di polizia non sono una novità. In effetti, storicamente, questa istituzione è stata costruita di pari passo con il progetto coloniale.

Per dimostrarlo, possiamo citare l’esempio del trattamento specifico degli algerini nella Francia continentale da parte dell’istituzione di polizia.

Dal 1925 fino all’indipendenza dell’Algeria, la Prefettura di Polizia di Parigi disponeva di strutture permanenti dedicate alla sorveglianza degli algerini. La stragrande maggioranza dei loro membri proveniva dalle amministrazioni coloniali del Nord Africa.

L’archiviazione e la mappatura delle popolazioni, la criminalizzazione delle loro attività politiche nei discorsi, le percosse, la privazione del cibo, del sonno o la distruzione dei beni personali durante gli interrogatori erano le loro pratiche classiche di “polizia”.

Sempre nella Francia continentale, questa violenza raggiunse il culmine durante la guerra d’Algeria. Ricordiamo le massicce incursioni che portarono a più di 67.000 incarcerazioni illegali, nella regione parigina solo per l’anno 1960.

Praticarono torture, esecuzioni sommarie. La strage del 17 ottobre 1961 con l’assassinio di 98 manifestanti algerini da parte di poliziotti in divisa è l’esempio più eclatante di queste pratiche.

Dopo la guerra d’Algeria e le violenze che abbiamo descritto, la polizia non ha subito alcuna epurazione, nemmeno simbolica.

Dopo la guerra d’Algeria, se le pratiche si sono evolute, possiamo anche testimoniare le forti continuità vissute dall’istituzione.

La logica è semplice, non avendo subito epurazioni massicce, gli agenti di polizia – che hanno attuato le pratiche di violenza razzista coloniale applicate in Francia – hanno formato e integrato i nuovi arrivati, che hanno anche formato quelli successivi. E così via.

Ancora oggi si possono osservare chiare espressioni di pratiche razziste diffuse da parte della polizia. È il caso, ad esempio, del controllo per il facies (per i tratti somatici).

Questa logica continua anche quando osserviamo il voto della polizia.

Infatti, durante le elezioni regionali del 2021, secondo Cévipof il 67% degli agenti di polizia attivi ha affermato di aver votato per il partito della sig.ra Le Pen.

Tanti sono gli eventi ingiustificatamente violenti orchestrati da agenti di polizia sulle popolazioni razzializzate dello stato francese.

Che si svolgano nella Francia continentale – si può citare il recente esempio di un vigile municipale filmato mentre urinava su due giovani minorenni nel commissariato di Saint-Ouen – o nel DROM-COM, ad esempio con l’Operazione Wuambushu a Mayotte che mira alla distruzione di alloggi di fortuna e la massiccia espulsione dei comoriani in “situazione irregolare”.

Ma, la violenza della polizia spesso fatica a essere condannata in quanto tale, soprattutto quando la vittima è razzializzata.

Quindi, se la repressione degli attuali movimenti sociali è così violenta, è perché questi metodi sono stati sperimentati per la prima volta nei quartieri popolari e nei dipartimenti, nelle regioni e nelle comunità d’oltremare. Oggi servono ad annientare la protesta.

La BRAV-M, la brigata ultraviolenta creata in occasione del movimento dei Gilet Gialli per “mantenere l’ordine” tra i manifestanti, ne è l’esempio perfetto.

In effetti, tante voci suggeriscono che la BRAV-M sia composta da molti ex membri delle BAC (NT: le famigerate brigate esperte nelle brutalità contro i giovani delle banlieues). La reputazione delle BAC è ben consolidata quali unità ultra-violente contro le popolazioni dei quartieri popolari.

Oggi sembra che questa violenza sia diventata impossibile da ignorare, poiché colpisce anche i bianchi e/o la classe media.

Purtroppo, la mutua protezione della polizia e del governo ci nega qualsiasi voce in capitolo su come sarà organizzata la nostra protezione, e ci impedisce persino di aprire un dibattito politico sulla polizia, un dibattito di cui abbiamo assolutamente bisogno e che qualsiasi democrazia dovrebbe garantire.

E se è già un gravissimo problema democratico, la situazione diventa ancora più preoccupante in questo periodo di (ri)ascesa del fascismo.

Se un giorno Marine Le Pen salirà al potere, cosa farà con queste truppe addestrate alla violenza e super equipaggiate?

Se un presunto governo repubblicano permette tale violenza, fino a che punto andrebbe un presidente di estrema destra?

E come possiamo proteggerci da coloro che pretendono di proteggerci?

da mediapart.fr

traduzione di Salvatore Palidda

 

 

Riferimenti bibliografici: