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Così gli Ezidi preservano le proprie tradizioni e il diritto irrinunciabile all’autodeterminazione

Nonostante il persistente rischio di genocidio e le continue persecuzioni provenienti da vari fronti ostili (oltre a Daesh, Ankara…) anche quest’anno i curdi ezidi celebrano il “mercoledì Rosso”. Fieri di una identità che non si è mai omologata o fatta omologare.

di Gianni Sartori

I Curdi ezidi attualmente non sarebbero più di milione (per altre fonti solo 700mila).

Vivono principalmente nel Kurdistan del Sud (Bashur) oltre che in Siria, Turchia, Armenia, Russia Georgia e – nella diaspora – in Europa (soprattutto in Germania).

Come è noto nel 2014 hanno subito un autentico genocidio da parte dello Stato islamico (Daesh) a Shengal (Irak). E qui, come ricordava in uno dei suoi ultimi lavori Zero Calcare “si è stabilita dal 2017 l’autonomia basata sui principi della rivoluzione curda”. Ossia quelli di “una società che mette al centro la parità tra uomo e donna, la ridistribuzione delle ricchezze, la convivenza pacifica fra tutte le religioni ed etnie”. Il Confederalismo Democratico in sostanza.

Per concludere, forse con un eccesso di ottimismo che “dovremmo imparare anche noi qui”.

Ma intanto, nonostante tutto (oltre alle “pulizie etniche” ricordiamo pure i recenti attacchi con i droni e i bombardamenti da parte della Turchia…) anche quest’anno gli ezidi (i sopravvissuti almeno) di Shengal celebrano il loro nuovo anno, il mercoledì Rosso (Çarşema Serê Nîsanê; in curdo: Çarşema Sor).

La ricorrenza viene celebrata il primo mercoledì di aprile. Per l’occasione gli ezidi raggiungono il tempio di Lalesh (Laleş, Lalish: luogo santo a Bahdinan/Behdînan), nella provincia di Ninive (35 chilometri a nord di Mosul, Iraq settentrionale) dove si trova la tomba di shaykh Adi (Adi bin Musafir al-Hakkari). Deceduto nel 1162 è qui sepolto insieme al successore shaykh Hasan. Accendendo 365 candele per festeggiare la creazione dell’Universo e celebrare la natura e la fertilità.

Ma perché proprio di mercoledì?

Con riferimento alla Genesi, i curdi ezidi ritengono che “Nostro Signore ha cominciato a creare l’universo il venerdì” e avrebbe “terminato il suo lavoro mercoledì”.

Festa sostanzialmente primaverile, coincide con un momento di grande fioritura, in particolare di rose rosse e di anemoni.

Per la mitologia ezida l’Universo sarebbe avvolto dalle ombre e dalla nebbia, mentre la Terra era ricoperta di ghiaccio.

Dio avrebbe inviato, sempre di mercoledì, “il Re Ta’wes” in forma di uccello nella regione di Sheikhan (Sud Kurdistan) facendo sciogliere il ghiaccio e fiorire a migliaia fiori rossi, gialli e verdi (da cui i colori della bandiera curda a cui spesso si aggiunge il bianco – il ghiaccio? – mentre il giallo viene talvolta rappresentato da un sole).

Si ritiene che fino al 612 avanti Cristo tale ricorrenza venisse celebrata dai Curdi esclusivamente come festa religiosa mentre in seguito divenne una vera e propria ricorrenza nazionale.

Ricoperti dai loro abiti migliori, ezidi provenienti da ogni parte si riuniscono nel luogo santo sacrificando montoni e vitelli. E su questo ovviamente, per quanto solidale con questa minoranza oppressa e perseguitata, chi scrive non può che dissentire apertamente (anche se non si può escludere che si tratti di un rituale acquisito successivamente, per “contaminazione” cristiana o islamica).

Comunque, nella circostanza le giovani e i giovani dipingono dodici uova (simbolo della Terra gelata, ma anche della sua sfericità di cui evidentemente gli ezidi erano a conoscenza da tempi immemorabili) con i tre colori canonici della primavera portata da re Ta’wes. Per poi deporli in un piatto al centro della casa.

Nel giorno della vigilia vengono visitate le tombe dei defunti e distribuiti uova e dolciumi. Inoltre nel mese di aprile, per tradizione, non si dovrebbe scavare, zappare la terra e in genere lavorare. Non solo. Nello stesso periodo non avvengono matrimoni per non contrapporsi a quello che viene considerato il matrimonio tra aprile (la “sposa”) e l’anno nuovo.

Fondamentale per chi visita il mausoleo di shaykh Adi (turisti compresi, non solo i pellegrini) è ricordarsi di camminare scalzi. In quanto “gli angeli risiedono sulla soglia di ogni entrata, per questo è importante non calpestare gli scalini d’ingresso”.

Molte abitazioni degli ezidi portano sul cancello l’effige di Melek Taus, raffigurato come un pavone. Stando alla tradizione (con evidenti influenze dello zoroastrismo), dopo aver creato il mondo, Dio ne aveva affidato la tutela a sette angeli, tra cui appunto Melek Taus (conosciuto anche come “l’angelo pavone”). Chiedendo loro di inchinarsi davanti ad Abramo. Essendosi rifiutato di farlo, da quel momento Melek Taus venne emarginato, rifiutato dall’umanità. Tranne che dagli ezidi.

In qualche modo la sua figura si sovrappose a quella di Lucifero (oltre che alla vicenda analoga di Iblis, raccontata nel Corano). Questo antecedente mitico nei secoli successivi fornì il pretesto per le persecuzioni subite dagli ezidi in quanto presunti “adoratori del diavolo”. Soprattutto da parte degli islamici.

In realtà è probabile che l’attuale religione praticata dagli ezidi abbia origini più recenti, ossia dalla predicazione di shaykh Adi (XII secolo).