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La guerra un affare da 400 miliardi di dollari

La situazione ucraina ripropone un copione ben noto. Con la guerra fanno i soldi le industrie belliche e quando la guerra finirà, oltre alle industrie belliche, faranno i soldi le aziende impegnate nella ricostruzione del paese distrutto. Ci sarà lavoro per ingegneri, elettricisti, muratori… Un affare da 400 miliardi di dollari che già fa gola a tanti e anche Giorgia Meloni, nel suo piccolo, comincia ad allungare le mani

di Loris Campetti

Le immagini della kermesse organizzata a Roma da Giorgia Meloni per la ricostruzione dell’Ucraina spianata dalle bombe di Putin – 400 imprese italiane e 100 ucraine sedute alla tavola imbandita dal Governo – mettono in moto pensieri, sentimenti, paragoni. Il primo pensiero va all’Ucraina che combatte, si difende dall’aggressione con le armi messe a disposizione dagli Usa, dalla Gran Bretagna, dalla Nato e dai paesi dell’Unione europea con l’obiettivo di sconfiggere la Russia e affermare l’unicità americana del governo mondiale. Probabilmente gli Usa, la Gran Bretagna, la Nato e l’Europa erano distratte tra il 2014 e il 2022, quando a bombardare il Donbass era il Governo ucraino che sogna uno Stato etnico senza più russi, russofoni e oppositori. Oggi Kiev, il Donbass, la Crimea sono il banco di prova per guerre future, l’Ucraina che incorona i suoi eroi filonazisti è vittima prima di Putin e poi di Biden e dei suoi alleati e immola i suoi militari e i suoi cittadini. Più armi arrivano più la guerra continua, più la guerra continua più povera gente muore. Gli Usa aspettano la fine di questo conflitto che hanno voluto almeno quanto l’ha voluto Putin per iniziare finalmente quello che hanno più a cuore: lo scontro con la Cina, vero competitor mondiale per l’egemonia planetaria.

Con la guerra fanno i soldi le industrie belliche e quando la guerra finirà, se ci sarà ancora vita sulla terra, oltre alle industrie belliche faranno i soldi anche le aziende impegnate nella ricostruzione del paese distrutto. Ci sarà lavoro per ingegneri, elettricisti, muratori… Un affare da 400 miliardi di dollari che già fa gola a tanti e anche Giorgia Meloni, nel suo piccolo, comincia ad allungare le mani. Almeno ci prova, pensa che gli sforzi dell’Italia per rifornire gli arsenali ucraini, decisi contro la volontà della maggioranza della popolazione ma in simbiosi con i mercanti d’armi e i loro rappresentanti insediati nel Governo, dovranno essere ripagati.

Il cinismo delle grandi potenze e anche quello di governi straccioni richiama i versi di Trilussa nella Ninna nanna della guerra: «Ninna nanna, tu nun senti/ li sospiri e li lamenti/ de la gente che se scanna/ per un matto che comanna,/ che se scanna e che s’ammazza/ a vantaggio de la razza,/ o a vantaggio de una fede,/ per un Dio che nun se vede,/ ma che serve da riparo/ ar sovrano macellaro;/ che quer covo d’assassini/ che c’insanguina la tera/ sa benone che la guera/ è un gran giro de quatrini/ che prepara le risorse/ pe li ladri de le borse». E, più ancora, la corsa al business della ricostruzione e del riarmo richiama le parole amare di Bertold Brecht: «La guerra che verrà non è la prima/ Prima ci sono state altre guerre/ Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti/ Fra i vinti la povera gente faceva la fame/ Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente». I costruttori di guerra e i ricostruttori sulle macerie che essi stessi hanno prodotto, no che non fanno la fame bensì quel che oggi si chiama extraprofitti, sono mercanti guerrafondai e sfottono i costruttori di pace etichettandoli come “pacefondai”. Le gru per rimuovere le macerie hanno già il motore acceso, non si sa mai che arrivi l’ora X in cui si potranno ricostruire palazzi, teatri e, magari, caserme, perché del doman non c’è certezza ed è meglio farsi trovare pronti.

Business is business, the show must go on. Più si distrugge oggi più ci sarà da ricostruire domani. Le foto dell’incontro romano tra gli avvoltoi della guerra e del dopoguerra richiamano alla mente un film muto di 102 anni fa. Il monello di Charlie Chaplin racconta magistralmente la storia del neonato lasciato dalla madre sedotta e abbandonata dentro un’auto di lusso nella speranza di dare al bimbo un futuro migliore del suo. Ma a raccogliere il fagottino non sarà un ricco ma un vagabondo, Charlot. Il bimbo cresce nella povertà e nell’amore del suo salvatore, diventa il monello che raccoglie i sassi e li lancia contro i vetri per consentire al vagabondo di presentarsi alle vittime della sassaiola con il vetro nuovo pronto per sostituire quello in frantumi. Cosa non si fa per campare. Mi rendo conto che il paragone regge fino a un certo punto perché il monello e il suo salvatore fanno ridere e anche piangere ma di commozione. Gli aspiranti ricostruttori dell’Ucraina che hanno contribuito a distruggere, invece, fanno solo piangere. Di rabbia, però.

da Volere la Luna

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