Abdulhalim Kirtay, prigioniero politico curdo che aveva trascorso 30 in prigione muore a 51 giorni dalla sua scarcerazione
di Gianni Sartori
A 51 giorni dalla sua “liberazione” (il 22 marzo, dopo trent’anni di carcere e quando ormai da tempo era da considerare un malato in fase terminale) Abdulhalim Kırtay è deceduto a causa delle numerose patologie contratte in prigione (nel corso degli anni aveva subito anche numerosi interventi operatori).
Arrestato a Silvan nel 1993 per “attività separatista”, veniva rinchiuso nella prigione Farqîn di Amed (Diyarbakır). Giudicato dalla Corte di sicurezza dello Stato per aver “minacciato l’unità e l’integrità dello Stato” e in quanto esponente del PKK, era stato condannato all’ergastolo aggravato, ossia senza prospettiva di liberazione. Una forma di punizione in contrasto con le convenzioni internazionali sui diritti umani in quanto nega il “diritto alla speranza” e che in Turchia viene emessa soprattutto contro i prigionieri politici curdi e della sinistra rivoluzionaria turca.
Da molto tempo il suo nome era inserito nella lista dei prigionieri gravemente ammalati dell’Associazione dei diritti dell’uomo (IHD).
Al momento della sua tardiva (e per certi aspetti ormai inutile) rimessa in libertà si trovava rinchiuso nel carcere di Balıkesir Burhaniye.
Ad accoglierlo all’uscita alcuni familiari provenienti da Yalova. Date le gravi condizioni di salute, nel novembre del 2022 era stato ricoverato per quattro giorni all’ospedale di Stato Menemen di İzmir. Ma nonostante il suo stato (non era nemmeno in grado di alzarsi), qui veniva maltrattato e ammanettato al letto per tutto il tempo della permanenza ospedaliera.
E’ stato seppellito nel cimitero di Yeniköy, in Amed / Bağlar.
Con un comunicato il PKK gli ha reso onore.
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