Decine di feriti, arresti e persecuzioni: una sollevazione popolare guidata da docenti e popoli indigeni contro la riforma costituzionale della provincia andina che rafforza l’estrattivismo, criminalizza la protesta sociale ed intensifica l’impoverimento
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Nel pieno di una durissima crisi economica e politica, e a pochi mesi dalla elezioni presidenziali che il prossimo mese di ottobre indicheranno quale prossimo governo dovrà affrontare il pagamento del debito al Fondo Monetario Internazionale – e nel pieno delle definizioni delle prossime formule presidenziali ancora in discussione nelle due princilai coalizioni – una sollevazione popolare nella provincia andina di Jujuy sta ridefinendo dal punto di vista delle lotte l’agenda politica del paese. Contro impoverimento ed estrattivismo, in difesa dei salari e dei territori, una rivolta è esplosa nel nord occidente del paese, al confine con la Bolivia.
Al centro delle proteste l’operazione politica che favorisce le politiche estrattiviste e costituzionalizza la repressione contro chi reclama salari, diritti e dignità, portata avanti dal governatore Gerardo Morales, con il consenso trasversale dei radicali e del partito giustizialista.
Gerardo Mortales è stato protagonista dell’offensiva politica repressiva contro i movimenti sociali nella provincia fin dalla persecuzione contro Milagro Sala, detenuta politica da ormai otto anni, perseguitata per il suo ruolo di donna indigena leader della Tupac Amaru, una delle più grandi organizzazioni sociali popolari del nord del paese. Una prova generale di quanto potrebbe accadere con un prossimo eventuale governo di destra, dicono diversi analisti; ma anche del consenso che dalla destra a livello nazionale fino al peronismo locale sostiene il colpo di mano del governatore Morales.
Da diversi mesi i docenti e i sindacati dei lavoratori statali della provincia di Jujuy stanno protestando per rivendicare aumenti salariali, date le indegne retribuzioni che per il mondo della scuola sono tra le più basse del paese, sotto il livello di povertà data la situazione inflazionaria e la svalutazione della moneta argentina. La protesta sociale si è estesa con la mobilitazione dei popoli indigeni della provincia contro le misure che nella riforma costituzionale prevedono una mano pesante dell’avanzata privata sui territori indigeni, con l’obiettivo di intensificare l’estrazione mineraria, ed una intensificazione della criminalizzazione della protesta sociale.
Come segnala il CELS – Centro di Studi Legali e Sociali, importante organizzazione per i Diritti Umani in Argentina, il processo di dibattito politico sulle proposte di riforma costituzionale di 66 dei 212 articoli che la compongono, sarebbe dovuto durare 90 giorni, ma l’Assemblea Legislativa di Jujuy ha ridotto il processo a sole tre settimane. Il CELS denuncia anche che la repressione scatenata contro le diverse proteste in corso nella provincia ha causato decine di feriti con proiettili di gomma e detenzioni arbitrarie.
La settimana scorsa la mobilitazione indigena era cresciuta fino alla repressione che ha causato 29 arresti e decine di feriti a Purmamarca, paese della comarca andina, famosa località turistica della Quebrada de Humahuaca, la valle più grande e conosciuta della provincia. Intanto anche a La Quiaca, Abra Pampa e Humahuaca crescevano le mobilitazioni, fino a quando, pochi giorni dopo diventavano 22 i blocchi stradali delle comunità indigene nella provincia.
Così finalmente il 20 giugno fin dalla mattina nella capitale, San Salvador, migliaia di docenti, lavoratori e lavoratrici della coalizione intersindacale, e delegazioni indigene, sono scesi in piazza contro le politiche del governatore Morales, arrivando pacificamente fino alla piazza centrale cantando slogan contro la riforma e “Siamo docenti non siamo delinquenti”.
“Somos docentes, no somos delincuentes”, el grito en #Jujuy. #represion #morales #protesta #reforma #jujuyresiste #urgente #jujuydepie pic.twitter.com/4Bt4BYk2wX
— lavaca tuitera (@Lavacatuitera) June 20, 2023
Come racconta Natalia Aramayo su La Vaca, la manifestazione pacifica si è convocata dopo le parole del governatore che aveva dichiarato di rimettere in discussione alcuni aspetti controversi della riforma, ed appena arrivata davanti ai cancelli del palazzo presidenziale hanno spinto sulle transenne arrivando davanti agli squadroni di Infanteria con le mani alzate, chiedendo l’abrogazione dell’intero pacchetto di riforme costituazionali. Ma mentre i manifestanti con le mani alzate che attorno alle 11 continuavano a cantare slogan contro le riforme si avvicinavano al palazzo del governo, arriva la notizia dell’approvazione express delle misure al centro delle contestazioni. Pochi minuti dopo, cominciano gli spari contro la manifestazione e si scatena una durissima repressione, con proiettili di gomma sparati agli occhi e al viso dei manifestanti ed una lunga lista di arresti arbitrari che si allunga di ora in ora. La battaglia nelle strade continua per lungo tempo.
Il 21 giugno, diciassettesimo giorno della protesta docente, si sono tenute grandi mobilitazioni serali per chiedere il ritiro delle misure approvate in modo illeggittimo, la liberazione di tutti gli arrestati e le dimissioni del governatore autoritario della provincia. Intanto, anche a Buenos Aires e nel resto del paese i sindacati dei docenti e i movimenti sociali sono scesi in piazza, con moltitudinarie manifestazioni che mostravano la loro solidarietà con le proteste di Jujuy.
Una mobilitazione contro il consenso estrattivista e le politiche di impoverimento e repressione che a pochi mesi dalle elezioni possono anche significare, come vari analisti della Rivista Crisis sottolineano, la costruzione di un consenso trasversale ai partiti politici in nome del sacrificio dei diritti e delle terre per l’estrattivismo e la finanza; una sorta di prova generale per l’Argentina che verrà, così come sta facendo il popolo di Jujuy in queste settimane nelle strade e nelle piazze.
da DINAMOpress
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