Le persone abbandonate in una terra di nessuno senza acqua, cibo o cure mediche. A Sfax nuove violenze contro i subsahariani. Saied torna a prendersela con gli stranieri. Resta in silenzio l’Ue che proprio sul partner nordafricano ha puntato tutto
di Matteo Garavoglia
Da 20 a 100. Da 100 a 220. Da 220 a più di 400 e domani chissà. Mentre a Sfax continuano a registrarsi atti di aggressioni e violenze di ogni tipo, quello che sta succedendo al confine tra Tunisia e Libia rischia di diventare presto un dramma umanitario. In una ricostruzione basata solamente su testimonianze dirette, Human Rights Watch (Hrw) ha stimato in 400 le persone di origine subsahariana che sono state deportate lungo la frontiera sud tra i due paesi senza acqua, cibo o cure mediche, in una zona militarizzata il cui accesso è bloccato a giornalisti, agenzie Onu e società civile.
TRA LORO sono segnalati richiedenti asilo, donne incinte, bambini e neonati di sei mesi. Tuttavia mantenere un contatto telefonico è un’impresa difficile: sono numerosi infatti i casi di pestaggi e violenze da parte delle forze di sicurezza tunisine, impegnate anche a sequestrare cellulari e a distruggere i passaporti delle persone fermate. Le azioni della polizia vanno avanti almeno dal 2 luglio scorso con i primi casi venuti alla luce. Un’operazione che parte da Sfax, dove si concentra la maggior parte della comunità subsahariana, e finisce a più di 300 chilometri di distanza in un lembo di terra letteralmente di nessuno. «Siamo riusciti a verificare la posizione delle persone. Sappiamo che riescono a fare avanti e indietro tra Tunisia e Libia per cercare cibo e acqua», racconta al manifesto Salsabil Chellali di Hrw.
QUANTO STA succedendo in questi giorni nel piccolo Stato nordafricano è qualcosa di mai visto prima. Nei numerosi video arrivati nelle ultime ore si vedono decine di persone denunciare di essere state deportate nel deserto in condizioni di precarietà assoluta. Ci sono anche frammenti da Sfax, epicentro delle tensioni tra popolazione locale e comunità subsahariana, in cui alcuni cittadini tunisini esultano nel vedere i bus pieni di migranti partire verso la Libia o decine di persone distese a terra sono controllate dalle forze di sicurezza. Altre immagini mostrano roghi in diverse abitazioni.
L’IMPRESSIONE È CHE in Tunisia si sia arrivati a un definitivo cortocircuito istituzionale e sociale. Da un lato la sensazione di insicurezza ha raggiunto un livello tale che l’ultimo colpevole rimasto è la comunità subsahariana presente nel paese, in particolar modo a Sfax dove centinaia di persone provenienti da Guinea, Camerun, Costa d’Avorio e Mali hanno cominciato a raggiungere la stazione dei treni per cercare riparo in altri luoghi della Tunisia. Dall’altro il discorso del presidente della Repubblica Kais Saied del 21 febbraio sembra dare frutti altamente avvelenati. «Esiste un piano criminale per cambiare la composizione demografica del paese, ci sono alcuni individui che hanno ricevuto grosse somme di denaro per dare la residenza ai migranti subsahariani. La loro presenza è fonte di violenza, crimini e atti inaccettabili, è il momento di mettere la parola fine a tutto questo», erano state le parole pronunciate. A cui è seguita un’ondata di violenze diffusa in tutto il paese. Sembrava terminata, ma ora pare addirittura diventata di Stato. La corte penale di Sfax ha dichiarato di avere arrestato tre tunisini, rei di aver ospitato migranti subsahariani in posizione irregolare.
IN ATTESA DI comprendere nei dettagli l’orizzonte delle violazioni dei diritti umani contro la comunità subsahariana, nella giornata di martedì Saied è tornato a riprendersi la scena in ambito migratorio. Prima attraverso un colloquio telefonico con il capo di governo di unità nazionale della Libia Abdelhamid Dbeibah. Al centro dei discorsi, l’urgenza di trovare una «soluzione collettiva che impegni tutti i paesi coinvolti dal fenomeno dell’immigrazione irregolare, che siano a sud o a nord del Mediterraneo». Poi con la convocazione di una riunione al ministero dell’Interno con tutti i quadri securitari del paese per ribadire il rifiuto di dare ospitalità o permettere il transito agli irregolari presenti in Tunisia. In un lungo e articolato discorso sulla sovranità della nazione, il presidente ha lasciato i presenti con due domande: chi arriva nel piccolo Stato nordafricano dopo avere percorso migliaia di chilometri è cosciente della situazione che troveraà? Queste persone sono effettivamente migranti o sono manipolate da gruppi criminali che approfittano della loro miseria per minacciare la sicurezza della Tunisia?
IN UN QUADRO altamente frammentato a fare rumore è il silenzio dell’Ue, con la Commissaria europea per gli affari interni Ylva Johansson che nella visita a Lampedusa di martedì scorso con il ministro degli Interni Matteo Piantedosi ha dichiarato: «i migranti sono una sfida europea».
da il manifesto
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