Come la scuola diventa laboratorio sperimentale dei processi di militarizzazione
di Antonio Mazzeo
Crescita dei giovani cittadini, del cluster marittimo, della cultura del mare, dello sport, della sicurezza marittima, della tutela dell’ambiente, della biodiversità e della salvaguardia del patrimonio marino. Sono gli obiettivi di «carattere educativo e formativo» del protocollo d’intesa firmato il 7 agosto dal Ministero dell’Istruzione e del merito e dallo Stato Maggiore della Marina Militare.
«La Marina si impegna ad offrire agli studenti opportunità formative di alto e qualificato profilo, per l’acquisizione di competenze trasversali e titoli di studio spendibili nel mercato del lavoro in continua evoluzione», riporta il protocollo. «La Marina si impegna inoltre a promuovere la formazione del personale docente e amministrativo, favorendo forme di partenariato con enti pubblici e imprese, anche con l’apporto di esperti esterni per l’acquisizione di competenze specialistiche».
La Scuola diventa laboratorio sperimentale dei dirompenti e dilaganti processi di militarizzazione, privatizzazione e precarizzazione della società, dell’economia e della ricerca. La cultura della guerra globale e permanente che pervade le coscienze individuali e collettive, le inter-relazioni didattiche, la pedagogia, gli istituti scolastici di ogni ordine e grado.
In Italia accade da tanto tempo, ma pochi ne hanno colto le dimensioni e la pericolosità: la progressiva trasformazione delle scuole in caserme per formare lo studente-soldato votato all’obbedienza e alla difesa del modello imperante di iniqua distribuzione delle risorse e della ricchezza.
Dal Sud Tirolo alla Sicilia non c’è giorno che gli studenti non vengano chiamati ad assistere a cerimonie e parate militari, alzabandiera, conferimenti di onorificenze a presunti eroi di guerra. Si moltiplicano le visite guidate agli aeroporti e ai porti militari, alle installazioni radar, alle industrie belliche e alle basi Usa e Nato «ospitate» in barba alla Costituzione.
Generali e ammiragli salgono in cattedra per molteplici attività didattico-culturali, dalla lettura e interpretazione della Storia e della Costituzione, all’educazione ambientale e alla salute, alla lotta alla droga e alla prevenzione dei comportamenti classificati come «devianti». Proliferano gli stage e i progetti di alternanza scuola-lavoro a fianco dei reparti d’élite delle forze armate o nelle aziende produttrici di armi.
Contemporaneamente si assiste alla conversione delle stesse strutture scolastiche a fini securitari con l’installazione di videocamere e dispositivi elettronici identificativi e di controllo sociale. In un vero e proprio clima di caccia alle streghe, questori e prefetti ordinano le incursioni delle forze di polizia all’interno delle aule con perquisizioni a tappeto e cani antidroga; si impongono i divieti di riunione e delle attività autogestite degli studenti e i locali scolastici vengono dichiarati off-limits in orario pomeridiano, mentre viene minacciata l’azione penale e civile contro ogni forma di occupazione. Leggi e decreti hanno conferito poteri illimitati ai presidi, hanno istituzionalizzato gerarchizzazioni e discriminazioni tra gli insegnanti ed esautorato progressivamente gli organi collegiali.
Al processo di militarizzazione della sfera educativa-scolastica hanno concorso tutti i governi alternatisi alla guida del paese negli ultimi vent’anni.
Innumerevoli sono state le intese tra il Ministero dell’Istruzione e la Difesa, come ad esempio l’Accordo quadro del settembre 2014 per favorire l’approfondimento della Costituzione italiana, o quello del dicembre 2017 per la promozione dei Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento (la nuova denominazione dell’alternanza scuola-industria-caserma).
Con il governo Meloni-Crosetto-Valditara si punta ad approvare la legge che istituisce la Giornata dell’Unità nazionale e delle Forze armate per il 4 novembre (la data della «vittoria» delle truppe italiane nella Prima guerra mondiale).
«Per celebrare la Giornata, gli organi competenti possono promuovere e organizzare cerimonie, eventi, incontri, conferenze storiche e mostre fotografiche, nonché testimonianze sull’importanza dell’Unità nazionale, delle identità culturali e storiche, della tradizione e dei valori etici di solidarietà e di partecipazione civile incarnati dalle Forze armate», recita l’art. 2 della proposta di legge.
E saranno proprio gli istituti scolastici di ogni ordine e grado ad essere chiamati a promuovere le iniziative chiave della rinata festa nazionale, «in considerazione dell’alto valore educativo, sociale e culturale della Giornata» (art. 3). Una macabra riproposizione della cultura bellico-nazionalista e dei disvalori dell’istruzione del Ventennio fascista (Patria, bandiera, eroismo, sacrificio, ecc.) e l’imposizione alle nuove generazioni dell’omaggio al tricolore e della difesa dell’identità nazionale dopo aver negato lo ius soli e i diritti di cittadinanza a decine di migliaia di studenti in Italia.
L’economia di guerra necessita di giovani votati alla precarietà e alla rinuncia ai diritti individuali e sociali, imprenditori-competitori in lotta l’uno contro l’altro per la mera sopravvivenza. Ma l’educazione militare è anche essenziale per poter creare e alimentare la carne da cannone delle offensive e controffensive nei prossimi conflitti mondiali.
Anche per questo si è fatto sempre più asfissiante il pressing dell’apparato militare sul mondo scolastico e accademico: forze armate moderne, ipertecnologizzate e informatizzate, necessitano di quadri istruiti, cinici e rapidissimi nell’assumere decisioni vitali, meglio ancora se esenti da dubbi e ripensamenti morali. C’è sempre più bisogno di giovani e forti per i reparti di pronto intervento o deputati al controllo dei sistemi di guerra automatizzati, digitalizzati e disumanizzati.
Fortunatamente sta crescendo tra gli insegnanti la consapevolezza sull’occupazione armata dell’istruzione e dell’educazione. Grazie all’iniziativa di Cesp, Cobas scuola e Mosaico di Pace è stato lanciato un appello per la costituzione dell’Osservatorio nazionale contro la militarizzazione delle scuole e delle università.
Obiettivo centrale dell’Osservatorio è la smilitarizzazione del sistema scolastico, delle metodologie, delle narrazioni interpretative e dei modelli comunicativi utilizzati nelle attività didattiche. «Smilitarizzare le scuole e l’educazione vuol dire rendere gli spazi scolastici veri luoghi di pace e di accoglienza, opporsi al razzismo e al sessismo di cui sono portatori i linguaggi e le pratiche belliche, allontanare dai processi educativi le derive nazionaliste, i modelli di forza e di violenza, l’irrazionale paura di un nemico (interno ed esterno ai confini nazionali) creato ad hoc come capro espiatorio», spiega l’Osservatorio.
Flashmob, sit-in e volantinaggi sono stati organizzati in occasione di meeting scuole-forze armate mentre a inizio anno scolastico è già stato diffuso un vademecum che raccoglie proposte di mozioni di boicottaggio del processo di militarizzazione, diffide ai dirigenti contro l’alternanza nelle basi militari e nelle industrie belliche, ecc.
Studenti, genitori e insegnanti sono chiamati a scegliere da che parte stare e per chi operare: a fianco dei signori della guerra e dei mercanti di morte, come chiedono con sempre più forza generali e ministri; ripudiando la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, nel rispetto dell’art. 11 della Costituzione, rivendicando le libertà di espressione e insegnamento (artt. 21 e 33), a difesa della scuola pubblica e dei valori fondamentali di uguaglianza formale e sostanziale e di giustizia sociale.
da il manifesto
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