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Cpr come basi militari

I nuovi Cpr, hotspot e Cas per detenzione e accoglienza saranno costruiti dal ministero della difesa. A cui vanno 20 milioni. Gli «irregolari» detenuti fino a 18 mesi, ma la vera partita riguarda i richiedenti asilo

di Giansandro Merli

La presidente del consiglio Giorgia Meloni ripete che l’Italia non sarà il campo profughi d’Europa, ma fa di tutto per trasformarla in una grande prigione a cielo aperto. Intanto per chi sbarca. La svolta militare contro il fenomeno migratorio arriva con un decreto legge intitolato al Sud e pubblicato ieri in Gazzetta ufficiale.

I Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) ma anche gli hotspot e i Centri di accoglienza straordinaria (Cas) diventano «opere destinate alla difesa e sicurezza nazionale». Equiparati, cioè, a caserme, arsenali, basi navali e missilistiche. Per farlo il governo modifica il codice dell’ordinamento militare.

Nello stesso provvedimento viene innalzato a 18 mesi il periodo massimo di detenzione amministrativa dei migranti irregolari e sono destinati 45 milioni a Lampedusa per compensare l’aumento degli sbarchi.

UNA SETTIMANA FA il vicepremier e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini (Lega) aveva definito «atto di guerra» l’arrivo via mare delle persone in fuga da Tunisia e Libia. Ieri l’esecutivo ha confermato tale interpretazione: la costruzione dei nuovi centri, di accoglienza e detenzione, passa alla Difesa che li realizzerà attraverso il Genio militare. In cambio di 20 milioni iniziali e poi uno ogni anno.

«Il piano straordinario per l’individuazione delle aree interessate» sarà contenuto in un decreto di Palazzo Chigi. Il ministro della Difesa Guido Crosetto (FdI) ha chiarito che il controllo all’interno dei centri spetterà alle forze dell’ordine, rimanendo in capo al Viminale. Che non esclude ne nascano anche su isole desrte.

LA LORO GESTIONE sarà affidata ai privati, attraverso procedure ordinarie. Straordinarie saranno quelle dei lavori di costruzione, secondo quanto prevede il nuovo codice degli appalti in caso di «pregiudizio alla pubblica e privata incolumità». Si potrà quindi disporre l’immediata acquisizione di servizi e forniture in forma diretta e in deroga alle procedure, come nei casi di terremoto o inondazione. Il numero di centri da utilizzare in questa guerra ibrida dichiarata dal governo dovrà essere ritenuto «idoneo» e potrà aumentare nel tempo. Saranno riconvertiti anche edifici già esistenti, probabilmente ex caserme.

Con il mandato alla Difesa e la riclassificazione delle strutture il governo bypassa regioni e comuni. E tra gli amministratori locali continuano i malumori, a volte trasversali. In tema Cpr, il governatore dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini (Pd) dice che «non se ne parla» e accusa l’esecutivo di centralismo. Contrario anche il vicepresidente delle Marche Filippo Saltamartini, che però è della Lega. Per Renzo Testolin, che guida la Valle d’Aosta, un centro di detenzione regionale è «difficilmente attuabile». Secondo il presidente della provincia autonoma di Bolzano Arno Kompatscher, invece, il Cpr si può fare ma «solo per esigenze locali». Il dem Vincenzo De Luca, governatore della Campania, dice che «non si capisce cosa vuole il governo» e dunque non si può esprimere una posizione. Favorevole a una struttura di trattenimento in Liguria il governatore di centrodestra Giovanni Toti.

NELLA SUA REGIONE il sindaco leghista di Ventimiglia Flavio Di Muro invoca un Cpr vicino al suo comune. «È un luogo in cui portare fuori dalle nostre città gli irregolari, chi delinque, chi commette reati, chi non ha intenzione di integrarsi e chi non può accedere ai sistemi di accoglienza», dichiara. Forse credendo di parlare di una struttura per il confino degli indesiderati, invece che di un centro in cui le persone dovrebbero essere private della libertà personale solo ai fini del rimpatrio, in caso sia possibile.

La partita, comunque, va oltre i Cpr per come li abbiamo conosciuti finora e al di là dei soli migranti irregolari: si gioca anche intorno al destino dei richiedenti asilo. Finora dopo lo sbarco e l’identificazione sono generalmente trasferiti nei centri di accoglienza in attesa dell’esito della procedura sulla protezione internazionale, che può tardare anche due anni. Mettendo insieme il decreto Cutro, le recenti dichiarazioni di Meloni e l’accelerata sulla costruzione di nuove strutture, però, appare evidente che il governo sta lavorando per espandere le possibilità di trattenimento anche a queste persone.

DIFFICILE CREDERE che possa farlo con «chiunque sbarca», come promesso dalla premier venerdì scorso. Più probabile che almeno una parte dei richiedenti, esclusi i vulnerabili e dopo la convalida del giudice, sia sottoposta alle procedure d’asilo accelerate in luoghi chiusi.

Magari i cittadini degli 11 paesi che l’Italia «ritiene sicuri», cioè gli unici dove teoricamente potrebbe effettuare i rimpatri (i più rilevanti rispetto agli sbarchi sono Tunisia e Costa d’Avorio, da cui quest’anno sono arrivate 26.500 persone sulle 132mila totali). Delle strutture dedicate a questo scopo si capiranno presto i contorni. A partire da quella in via di apertura in Sicilia, a pochi chilometri da Pozzallo.

da il manifesto

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