Iran: condannate le giornaliste Niloofar Hamedi ed Elaheh Mohammadi
Raccontavano le proteste per Mahsa Amini. La sentenza, a 13 e 12 anni di carcere. Per “propaganda e cospirazione contro lo Stato”
Niloofar Hamedi e Elaheh Mohammadi avevano raccontato la morte di Mahsa Amini, il caso che a partire dal settembre 2022 aveva fatto esplodere le proteste più grandi e partecipare e mediatiche dalla rivoluzione che aveva portato alla Repubblica islamica degli ayatollah nel 1979. Sono state entrambe condannate, a 13 e 12 anni di carcere. Succede a due settimane dal Premio Nobel alla Pace all’attivista Narges Mohammadi, dal 2016 imprigionata nel carcere di Evin, e mentre l’agenzia iraniana Borna conferma la morte cerebrale della 16enne Armita Garavand, morta a inizio ottobre in circostanze ancora controverse e simili a quelle di Mahsa Amini.
Niloofar Hamedi ed Elaheh Mohammadi erano state accusate di propaganda contro lo Stato e cospirazione contro la sicurezza nazionale, di aver collaborato con gli Stati Uniti. Avevano rischiato processi a porte chiuse e la pena capitale. L’agenzia di stampa Irna ha citato la sentenza emessa da un Tribunale della Rivoluzione iraniana, in cui si legge come le due reporter abbiano “ricevuto rispettivamente sette e sei anni ciascuna per aver collaborato con il governo ostile degli Stati Uniti. Poi cinque anni ciascuna per aver agito contro la sicurezza nazionale e ciascuna un anno di prigione per propaganda contro il sistema”.
Gli avvocati difensori hanno già avvisato che ricorreranno in appello contro la sentenza. Le giornaliste hanno già trascorso del tempo nel carcere di Evin, quello dei detenuti politici, che verrà sottratto alla pena prevista dalla sentenza. Elaheh Mohammadi del quotidiano Ham Miham era stata arrestata dopo aver seguito il funerale di Amini nella sua città natale curda, Saqez, dove le proteste erano esplose in tutta la loro potenza l’anno scorso. Il giorno dopo era partito l’analogo procedimento per Hamedi. Poco prima di essere arrestata la giornalista aveva pubblicato una foto dei genitori di Mahsa Amini che si abbracciavano in ospedale dove la figlia era in coma.
Il caso che ha sconvolto l’Iran è esploso a metà settembre 2022. Mahsa Amini, 22enne originaria nel Kurdistan iraniano, era a Teheran, in un parco pubblico. Fu fermata dalla Polizia Morale per come indossava l’hijab. Era morta in circostanze ancora controverse sotto la custodia delle autorità, che hanno sempre rilanciato la versione di un malore. Chi manifestava accusava la polizia di violenze che avevano portato alla morte della 22enne. La notizia aveva fatto esplodere le proteste in tutto il Paese. Era nato il movimento “Donna, vita e libertà”, il caso ha avuto risonanza in tutto il mondo, anche ai Mondiali di calcio in Qatar. E ora sembra che il timore delle autorità sia quello di rivedere di nuovo un simile coinvolgimento per il caso di Armita Garavand: le autorità negano aggressioni, sostengono che la ragazza avrebbe sbattuto la testa in seguito a un malore in metropolitana, dall’altra parte chi accusa parla di violenze di una guardia della metro perché l’adolescente si era tolta il velo.
Sia Hamedi che Mohammadi sono state inserite dalla rivista Time tra le persone più influenti al mondo dell’anno 2023, nella categoria per il loro lavoro, si leggeva nella descrizione, “sono state ricompensate con un limbo atroce, arrestate, si trovano nella prigione di Evin. Le accuse di cospirazione con le agenzie di intelligence di potenze straniere per minare la sicurezza nazionale dell’Iran sono tanto false quanto gravi. Il giornalismo sta morendo lentamente in Iran. I coraggiosi giornalisti nazionali sono l’unica ragione per cui la sua luce continua a tremolare. Gli arresti di Hamedi e Mohammadi – e di quasi altri 100 giornalisti dall’inizio delle proteste – mostrano fino a che punto si spingerà il regime per estinguerle”. A Mahsa Amini intanto era andato il Premio Sacharov 2023 per la libertà di pensiero, Amnesty International in un report di agosto 2023 segnalava la morte di “centinaia di manifestanti”, migliaia di arresti, torture e violenze sessuali in stato di detenzione.
da l’Unità
Osservatorio Repressione è un sito indipendente totalmente autofinanziato. Puoi sostenerci donando il tuo 5×1000 .
News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp