Intervista alla giornalista Orly Noi: è un momento molto difficile e delicato ma dall’oscurità potrebbe emergere una possibilità
di Michele Giorgio
Intimidazioni, avvertimenti minacciosi e persino arresti. Sono 110 le persone, palestinesi in maggioranza con la cittadinanza israeliana, arrestate dopo il 7 ottobre con l’accusa di apologia di Hamas. In realtà, denunciano i difensori dei diritti umani, qualsiasi commento contro la posizione ufficiale rischia di essere punito severamente. E le misure repressive colpiscono in qualche caso anche i cittadini ebrei. Ne abbiamo parlato con la giornalista della rivista +972Orly Noi, nota sostenitrice dei diritti dei palestinesi e degli ebrei sefarditi in Israele.
Quanto è pesante il clima per chi cerca di portare avanti una narrazione diversa dei motivi e delle radici del conflitto dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre e con i bombardamenti su Gaza in corso.
Davvero pesante. Per due motivi. Il primo riguarda lo shock di tutti perché questo è un paese piccolo, dove si conoscono un po’ tutti; quindi, è facile che si abbiano conoscenti se non parenti tra coloro (gli israeliani) uccisi, feriti o sequestrati il 7 ottobre. Il secondo è legato alla possibilità di parlare e di discutere di certi temi. Già in tempi che potremmo definire normali, il discorso sul rispetto dei diritti umani e dei diritti dei palestinesi non interessa alla maggior parte del pubblico israeliano. Dopo l’orribile massacro compiuto da Hamas, quel discorso è del tutto accantonato. In giro si parla solo di vendetta, di eliminare Hamas, di spianare Gaza. C’è un rifiuto di discorsi sul rispetto della vita, qualsiasi vita, e dei diritti umani. La sinistra e i difensori dei diritti umani affrontano un momento estremamente delicato. Gli attivisti ebrei ricevono di continuo messaggi minacciosi, pieni d’odio. I nostri partner palestinesi hanno paura, non postano più nulla sui social, anche la cosa più blanda e generica, nel timore di essere arrestati con accuse molto gravi.
Ci sono notizie di provvedimenti punitivi nelle università e nelle scuole.
I palestinesi (con cittadinanza israeliana) sono le vittime principali di queste azioni. So di decine di studenti che sono stati sospesi dalle loro università per commenti sui social. Ma non mancano casi di attivisti ebrei colpiti allo stesso modo. Un caro amico, insegnante in una scuola superiore, è stato licenziato perché ha scelto di continuare a parlare e a spiegare i crimini commessi da Israele (contro i palestinesi).
Cosa si aspetta nelle prossime settimane?
Non è possibile fare previsioni. Se Israele procederà, come sembra, con l’invasione di terra a Gaza, vedremo una ulteriore escalation del numero delle vittime palestinesi. E si avranno anche perdite tra i militari israeliani. Perciò, sarà possibile qualsiasi scenario. Israele non ha chiarito l’obiettivo della guerra. La distruzione di Hamas di cui parlano governo e comandi militari è uno obiettivo vago, e i rappresentanti dei partiti fascisti, più estremisti, israeliani fantasticano sulla pulizia etnica di Gaza. La ministra dell’intelligence Gila Gamliel ha suggerito il trasferimento di tutta la popolazione di Gaza nel deserto (egiziano). Gli ex coloni israeliani che vivevano a Gaza (prima dell’evacuazione degli insediamenti ebraici ordinata nel 2005 dall’ex premier Ariel Sharon, ndr) propongono la ricostruzione delle colonie distrutte in passato. E non dimentichiamo la situazione in Cisgiordania, che è fuori dai riflettori in questa fase a causa della gravità di quanto accade a Gaza. In Cisgiordania già si registrano atti di pulizia etnica. Intere comunità palestinesi sono scappate dalle loro case per le minacce e le violenze dei coloni. Per questo è difficile immaginare il futuro che ci attende.
Qualcuno pensa che sia andato perduto gran parte del lavoro fatto per diffondere una narrazione diversa, più obiettiva, delle ragioni della questione israelo-palestinese. È d’accordo?
In parte. Sono evidenti i passi indietro avvenuti in questi giorni. Persone che si dicevano fino a qualche settimana fa parte di quello che in Israele chiamano il campo della pace, ora parlano apertamente di colpire senza sosta Gaza. Allo stesso tempo, questo è un momento così cruciale. E dopo di esso potrebbero presentarsi opportunità che facciano comprendere a chi oggi urla vendetta che questo conflitto deve essere risolto sulla base del diritto e della giustizia e non solo con la forza e la violenza come avviene da decenni. Dall’oscurità potrebbe emergere una possibilità.
da il manifesto
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