La Francia intensifica la repressione della solidarietà verso la Palestina
Le autorità francesi hanno vietato le manifestazioni a sostegno di Gaza, arrestato i dimostranti e proceduto allo scioglimento di molti gruppi a sostegno della Palestina. I dimostranti che hanno osato opporsi al divieto si sono scontrati con la violenza delle forze di polizia, con idranti, lacrimogeni e diversi arresti. Un approfondimento su quanto avvenuto nello scorso mese di ottobre in Francia
Il clima politico in Francia è piuttosto teso dal 7 ottobre, giorno dell’attacco di Hamas a sud di Israele e della guerra di Israele su Gaza che ne è scaturita. Il 12 ottobre, il ministro dell’interno Gérald Darmanin ha ordinato il divieto assoluto delle manifestazioni a favore della Palestina, sostenendo che «avrebbero potuto generare disordine pubblico». Ciò nonostante, applicando un doppio standard abbastanza comune in Francia, sono stati autorizzati raduni a favore di Israele, inclusa una grande marcia organizzata dal Consiglio delle istituzioni ebraiche in Francia (CRIF) a Parigi tre giorni dopo l’attacco di Hamas; l’evento ha coinvolto circa 20.000 partecipanti, tra i quali diverse figure appartenenti a tutto lo spettro politico.
Benché il movimento di solidarietà nei confronti della Palestina fosse pronto all’entrata in vigore del divieto senza che le autorità giudiziare ne respingessero la validità, in data 18 ottobre il Consiglio di Stato, che svolge attività consultiva in materia legale ed è la corte più alta per la giustizia amministrativa, ha rigettato l’ordine di Darmanin. Il Consiglio di Stato ha dichiarato che la decisione di vietare o meno le proteste dovrebbe essere affidata esclusivamente ai prefetti (rappresentanti dello Stato nei dipartimenti francesi, responsabili dell’applicazione della legge a livello locale), anziché essere imposta a livello nazionale.
Eppure la dichiarazione del Consiglio di Stato contiene un tacito sostegno alla posizione di Darmanin. Infatti, pur sostenendo che «i prefetti non possono legittimamente sancire un divieto… per il solo fatto che la manifestazione in questione è finalizzata al sostegno della popolazione palestinese», statuisce che «nel contesto attuale, caratterizzato da forti tensioni internazionali e dalla recrudescenza di atti antisemiti in Francia, le manifestazioni a sostegno di Hamas… o che valorizzano o giustificano gli attacchi terroristici… sono suscettibili di provocare disturbi dell’ordine pubblico».
Benché espressa in modo indiretto, l’equazione tra “sostegno alla popolazione palestinese” e giustificazione di “attacchi terroristici” in questa dichiarazione è chiara. I prefetti incaricati di autorizzare le proteste saranno indubbiamente influenzati dall’ambiente politico generale, in cui l’accusa di “apologia del terrorismo” viene genericamente scagliata contro organizzazioni, partiti o figure politiche che esprimono sostegno alla liberazione della Palestina o non usano specificamente il termine “terrorismo” per descrivere Hamas.
Ciò è avvenuto nel caso di due partiti di estrema sinistra: il Nuovo Partito Anticapitalista (NPA) e La France Insoumise (LFI). Il 10 ottobre, Darmanin ha annunciato che l’NPA è attualmente sotto inchiesta per “apologia del terrorismo” a causa di una dichiarazione rilasciata il 7 ottobre in cui esprimeva il suo “sostegno ai palestinesi e ai mezzi che hanno scelto per resistere” e condivideva informazioni sul blocco e sulla situazione umanitaria a Gaza. La condanna immediata della dichiarazione dell’NPA da parte del Ministro degli Interni e l’incertezza generale sui prossimi passi dell’inchiesta (non ci sono state ulteriori informazioni sul caso nelle ultime tre settimane) contribuiscono a creare un clima di repressione in cui qualsiasi organizzazione che legittimi o contestualizzi la resistenza palestinese potrebbe rischiare di subire un’indagine giudiziaria.
In un discorso all’Assemblea Nazionale, camera bassa del parlamento francese, la deputata dell’LFI Mathilde Panot ha condannato tutti i crimini di guerra commessi da Hamas e Israele dal 7 ottobre e ha chiesto il cessate il fuoco, il rispetto del diritto internazionale e la fine della colonizzazione, cosa che ha spinto i deputati centristi, di destra e di estrema destra ad abbandonare l’aula durante il discorso. L’estrema sinistra, in particolare LFI, è stata attaccata più volte negli ultimi anni, anche dalle istituzioni ebraiche francesi, per la sua presunta incapacità di affrontare i problemi strutturali percepiti di antisemitismo.
«Se ti rivediamo a una protesta, ti spezziamo le gambe»
Il divieto di manifestare in solidarietà alla Palestina non è cosa nuova in Francia. Nel maggio 2021, a Parigi fu vietata una manifestazione durante un bombardamento israeliano su Gaza; le autorità dichiararono che la decisione venne presa per evitare che si ripetessero le violenze registrate durante le proteste contro l’operazione “Protective Edge” nel luglio 2014, che si erano svolte senza permesso e avevano portato a scontri tra manifestanti e polizia. Il timore di potenziali insulti antisemiti e atti di violenza contro istituzioni ebraiche è stato il motore principale del divieto di tali proteste.
Ma ad essere diversa, in questo caso, è l’enfasi particolarmente forte sull’”incitamento al terrorismo”, che si aggiunge al bollino di antisemiti comunemente affibbiato ai movimenti di solidarietà con la Palestina. Darmanin, ad esempio, ha definito le proteste pro-palestinesi come «volte a provocare o legittimare azioni di natura terroristica».
I dimostranti che hanno osato opporsi al divieto si sono scontrati con la violenza delle forze di polizia, con idranti, lacrimogeni e diversi arresti. Il giornalista Taha Bouhafs è stato arrestato mentre copriva una protesta a Parigi, il 14 ottobre. «Ci sono stati arresti molto violenti, le persone venivano quasi strangolate dalla polizia», ha raccontato Bouhafs a +972. «Stavo filmando e a un certo punto la polizia è venuta verso di me e mi ha arrestato. Ho mostrato il mio tesserino da giornalista, ma mi hanno detto che non stavo facendo un lavoro da giornalista e che non avevo attrezzature da giornalista, anche se stavo usando il mio telefono».
«Mi hanno multato per aver partecipato a una manifestazione illegale, anche se ho mostrato il mio tesserino da giornalista», ha proseguito. «Mi hanno detto: “Se ti rivediamo a una protesta, ti spezziamo le gambe”». Bouhafs ha visto la polizia fermare soprattutto manifestanti arabi che portavano simboli palestinesi come bandiere o kefiah.
In occasione di un’altra protesta non autorizzata, svoltasi a Parigi il 12 ottobre e alla quale hanno partecipato circa 3.000 persone, la polizia ha arrestato 10 manifestanti e ne ha multati altri 24.
Diverse proteste non autorizzate hanno avuto luogo in altre città francesi, tra cui Grenoble, Strasburgo, Marsiglia, Lione e Lille; ogni volta ci sono stati arresti.
A Strasburgo, due attivisti ebrei antisionisti, membri dell’Unione degli ebrei francesi per la pace (UJFP), si sono ritrovati tra le persone arrestate dopo lo svolgimento di una manifestazione non autorizzata, il 31 ottobre. Uno di loro, il settantenne Perrine Olff, è stato tenuto in stato di fermo dalla polizia per 48 ore e verrà trascinato in tribunale a gennaio con l’accusa di aver organizzato una protesta illegale.
«La nostra protesta era stata inizialmente autorizzata. Quella settimana avevo incontrato la polizia per discuterne di persona» ha raccontato Olff a +972. «Ma la notte precedente la protesta è stata vietata, dunque ho ufficialmente cancellato la manifestazione. Ciò nonostante, è arrivata della gente a esprimere solidarietà per Gaza. Avevo paura ad andare, sapevo che avrei rischiato l’arresto. Anche se non ho partecipato, gli agenti di polizia sono venuti a cercarmi e mi hanno arrestato mentre mi trovavo in un luogo non lontano dalla protesta con altre persone».
Per Olff, l’esistenza di tali divieti contro le manifestazioni e il suo arresto (benché non abbia partecipato all’evento e lo abbia annullato ufficialmente), rappresentano uno sviluppo allarmante. «Sono molto preoccupato per le libertà civili in Francia. Trovo assurdo che i prefetti possano vietare le proteste da un giorno all’altro in questo modo», ci ha detto.
Nel corso di alcune manifestazioni svoltesi nella settimana seguente l’attacco del 7 ottobre, ci sono stati diversi racconti di manifestanti che hanno pagato una multa di 135 euro per aver portato una bandiera palestinese alla manifestazione. Questo fenomeno si è esteso in modo significativo durante l’ultima protesta a Parigi il 28 ottobre, vietata soltanto due ore prima dell’orario di inizio stabilito. Delle 3.000-4.000 persone che si sono presentate, 1.359 hanno dovuto pagare la multa di 135 euro per “partecipazione a una manifestazione illegale”. Quel giorno, centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza in tutto il mondo per chiedere un cessate il fuoco ed esprimere solidarietà a Gaza (dopo una notte di blackout, bombardamenti e ampliamento delle operazioni di terra israeliane). I manifestanti francesi, per aver tentato di fare lo stesso, sono stati bersagliati con gas lacrimogeni, multati e picchiati dalla polizia.
Per Rima Hassan, attivista franco-palestinese e fondatrice dell’ Observatory of Refugee Camps, questo divieto è il risultato diretto dell’insuccesso della copertura mediatica e del dibattito politico francesi sulla Palestina e su Israele. «In Francia, la questione palestinese è stata a lungo dimenticata», ha dichiarato Hassan a +972. «In questo momento l’argomento è al centro della scena, ma se ne parla sull’onda del sentimento. Le nostre identità sono state essenzializzate. Questa essenzializzazione ha fatto sì che le voci palestinesi siano associate ad Hamas e viste come una minaccia per l’ordine pubblico, il che è servito a giustificare il loro divieto».
Hassan ha inoltre fatto riferimento all’impossibilità di piangere le vittime mantenendo una prospettiva storica e ancorata al diritto internazionale sulla situazione attuale. «Come gli ebrei, anch’io sto vivendo gli eventi di questi giorni in modo traumatico. In quanto palestinese, mi manca uno spazio dove poter esprimere la mia empatia per gli israeliani, ma anche continuare a impegnarmi nell’attivismo per il mio popolo», ha dichiarato Hassan.
Sostegno incondizionato a Israele
L’attuale giro di vite dello stato francese riguardo le espressioni di solidarietà alla Palestina non si limita al divieto di protesta. Darmanin ha anche annunciato lo scioglimento di diverse organizzazioni filopalestinesi e antirazziste decoloniali (finora riunite nel Collectif Palestine vaincra, nel Comité action Palestine e nel Parti des indigènes de la République) per aver «fatto commenti antisemiti, legittimato il terrorismo e sostenuto il movimento terroristico Hamas».
Il Collectif Palestine vaincra è già stato oggetto di una procedura di scioglimento nel febbraio 2022, insieme al Comité action Palestine. Darmanin ha accusato entrambi i gruppi di «incitamento all’odio, alla discriminazione e alla violenza». Tuttavia, sancendo una vittoria per il movimento di solidarietà alla Palestina in Francia, il Consiglio di Stato ha sospeso questo scioglimento nell’aprile 2022, descrivendo la misura come una minaccia « grave e illegale» alla «libertà di associazione e alla libertà di espressione».
Tom Martin, portavoce del Collectif Palestine vaincra, ha spiegato a +972 che, benché sospesa, la procedura di scioglimento del 2022 non è mai stata annullata e il gruppo corre ancora questo rischio. Martin ha denunciato «la radicalizzazione della repressione delle autorità francesi verso le espressioni di solidarietà alla Palestina».
«La novità, in questo caso, è rappresentata dall’uso dell’articolo 40 [del codice di procedura penale francese] sull’apologia del terrorismo», ha detto Martin. «Questo è particolarmente oltraggioso perché equipara la nostra solidarietà con il popolo palestinese a una forma di sostegno al “terrorismo”, cosa che noi rifiutiamo».
Martin ha dichiarato che questo è l’esito naturale del sostegno incondizionato del governo francese a Israele. Tale sostegno è stato espresso ripetutamente negli ultimi giorni, in particolare da Yaël Braun-Pivet, presidente dell’Assemblea Nazionale e membro della maggioranza presidenziale. Durante un breve viaggio in Israele, il 22 ottobre, avrebbe rilasciato la seguente dichiarazione: «La Francia sostiene pienamente Israele, l’unica democrazia del Medio Oriente, che è stata attaccata in modo terribile». Ha poi aggiunto: «È ovvio che la popolazione civile di Gaza deve essere preservata, ma nulla deve impedire a Israele di difendersi… C’è chi attacca e chi viene attaccato».
Durante un dibattito piuttosto acceso all’Assemblea Nazionale, avvenuto il 23 ottobre, la prima ministra Elisabeth Borne ha ricordato al suo pubblico la dedizione del governo francese alla lotta contro il “terrorismo”: «Minimizzare, giustificare o addirittura assolvere il terrorismo significa accettare che domani colpirà di nuovo, in Israele, in Francia o altrove. Non dobbiamo mostrare alcuna ambiguità di fronte a questi crimini».
Dichiarazioni di questo tenore mettono in luce la costruzione di un nemico comune condiviso dalla Francia e da Israele: il terrorismo. Questo inquadramento, che è servito come motore principale per censurare le organizzazioni e le proteste solidali alla causa della Palestina, contribuisce a creare un legame tra la Francia e Israele nella lotta al terrorismo, vissuto come una minaccia tanto per la sicurezza degli ebrei in Israele, quanto per l’ideale di una nazione francese giudaico-cristiana, in cui arab3 e musulman3 sono sempre più marginalizzat3.
Articolo pubblicato il 31 ottobre, 2023 su 972mag, da Deborah Leter dottoranda franco-americana in antropologia culturale presso la City University of New York – Graduate Center. Vive a Parigi. Traduzione in italiano di Benedetta Rossi per Dinampress.
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