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Fortezza Europa sempre più blindata

Il Rapporto di Migrantes: Al 30 ottobre i migranti morti e dispersi nel Mediterraneo centrale dall’inizio dell’anno sono 2.186. A settembre 2023 il numero di migranti forzati ha superato i 114 milioni.

Migrare non è una passione per crocieristi, come direbbe Salvini, ma la necessità di sfuggire alla morte.

Oggi 114 milioni di persone (un abitante della Terra su 71 e, in cifra assoluta, sei milioni in più rispetto al 2022) non sono state libere di scegliere se restare a causa di situazioni di crisi economica o sociale e le difficoltà nel procurarsi cibo ed acqua, mentre si è sempre meno capaci, a livello globale, di gestire processi di pace e non lo si è ancora abbastanza nella salvaguardia del pianeta.

È quanto emerge da Il diritto d’asilo. Report 2023. Liberi di scegliere se migrare o restare? (Tau Editri-ce 2023, p. 400), settima edizione del rapporto che la Fondazione Migrantes dedica al “mondo” dei rifugiati e delle migrazioni forzate.

Dall’1 gennaio al 31 luglio 2023 – racconta il dossier – le navi gestite da organizzazioni della società civile, ricorda il dossier, sono intervenute in eventi Sar che hanno portato in salvo in Italia 3.777 rifugiati e migranti: il dato supera appena il 4% di tutti quelli che nel periodo sono sbarcati in Italia (89.157) fra eventi Sar in mare e sbarchi autonomi; se si guarda ai soli eventi Sar, la percentuale non raggiunge il 6%.

In tutto il 2022 i rifugiati e migranti arrivati in Italia grazie a un soccorso in mare effettuato da Ong erano stati 12.005, l’11% di tutte le persone sbarcate e il 21% di quelle sbarcate dopo eventi Sar. “I battelli di salvataggio delle Ong hanno subito quest’anno ostacoli e direttive senza precedenti”, afferma Fondazione Migrantes.

Eppure, “malgrado queste azioni di dissuasione e deterrenza in mare, le persone continuano a partire da Libia e Tunisia, e a sbarcare in Italia. Perché? Perché i soccorsi delle Ong non sono un pull factor”. Ma intanto, al 30 ottobre i migranti morti e dispersi nel Mediterraneo centrale dall’inizio dell’anno erano ormai 2.186: quasi 800 in più di quelli registrati in tutto il 2022.

Invasione? Niente affatto: di 110 milioni di persone in fuga, circa 35 milioni si trovano nel 2023 fuori dei confini del proprio Paese, alla ricerca di protezione e sicurezza. La maggior parte, circa il 70%, rimane in Paesi confinanti, e solo una piccola parte viaggia verso l’Europa, dove sono stati 500 mila gli ingressi irregolari tra il 2022 e il 2023, a fronte di più di un milione le richieste d’asilo presentate nello stesso periodo.

“Le politiche europee e del nostro Paese – si sottolinea nel rapporto – stanno facendo di tutto per limitare l’ingresso a chi è in cerca di protezione. Benché esso sia tutelato da stringenti convenzioni internazionali, si accumulano le nuove norme che rendono più difficile sia l’accesso al territorio sia la possibilità, per chi ce l’ha fatta ad arrivare, di essere realmente riconosciuto e preso in carico”. Insomma, aumentano i morti, ma l’Europa dei muri è sempre più sorda e blindata.

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Il Report sul diritto d’asilo

Diritto di asilo e profughi senza protezione, così l’Europa li lascia morire

A settembre 2023 il numero di migranti forzati ha superato i 114 milioni. Il 70% resta nei paesi confinanti, a basso reddito e impreparati a garantire accoglienza. Appena l’8%, nel 2022, è stato ricollocato con programmi di protezione.

di Gianfranco Schiavone da l’Unità

Alla fine di settembre 2023 i migranti forzati hanno probabilmente superato la cifra “record” di 114 milioni di persone fra rifugiati in senso stretto, persone in situazione analoga e altre persone con necessità di protezione internazionale (dati UNHCR).

Di questi, circa 35 milioni si trovano fuori dei confini del proprio Paese. La larghissima maggioranza dei rifugiati, circa il 70%, rimane in Paesi confinanti, e solo una piccola parte inizia un lungo e pericoloso viaggio verso l’Europa.

È dunque lo squilibrio geografico ciò che maggiormente caratterizza il contesto mondiale: tre rifugiati su quattro, nonostante la guerra in Ucraina che per ovvie ragioni ha coinvolto principalmente l’Europa, continuano ad essere ospitati (o bloccati) in Paesi a basso o medio reddito che non sono spesso in grado di offrire una protezione adeguata, né sotto il profilo giuridico, né sotto quello dell’inserimento sociale.

Un ipotetico programma internazionale (che non c’è) di protezione dei rifugiati dovrebbe avere come primo obiettivo una redistribuzione parziale dell’accoglienza dei rifugiati alleggerendo il carico, a volte realmente insopportabile, che grava sui paesi più poveri.

Invece nel 2022, i tradizionali programmi di reinsediamento (resettlement) di rifugiati da precari Paesi di primo asilo nel Sud del mondo hanno permesso di trasferire in paesi in grado di fornire una protezione effettiva meno dell’8% di quelli che, in tutto il mondo, ne avevano necessità.

In particolare, il quadro dei reinsediamenti in Europa è particolarmente desolante: poco più di 17.300 i rifugiati reinsediati nel territorio dell’UE nel corso del ’22, contro i 18.500 del ’21.

Sono alcuni dei dati che emergono dalla settimana edizione del rapporto “Il diritto d’asilo. Report 2023. Liberi di scegliere se migrare o restare?” (Tau Editrice 2023), curato da Maria Cristina Molfetta e Chiara Marchetti, che negli anni è divenuto il più autorevole studio su queste tematiche, in grado di fornire una eccezionale mole di dati insieme ad analisi multidisciplinari che permettono sia allo studioso che al comune lettore di comprendere una realtà complessa quasi sempre sconosciuta ed oggetto di spregiudicate strumentalizzazioni politiche.

Non c’è dunque alcuna invasione di rifugiati verso l’UE: fra gennaio e giugno 2023 i richiedenti asilo giunti per la prima volta nel territorio dell’Unione sono stati circa 474 mila, con un aumento del 29% rispetto allo stesso periodo 2022. Un numero modesto sia in termini assoluti, sia se si considera il generale peggioramento della situazione internazionale che caratterizza gli ultimi anni.

Impossibile in poco spazio approfondire la mole di informazioni contenuto nel Rapporto; mi riservo di attingervi anche nei successivi articoli concentrando la mia riflessione per ora solo sul tema degli ingressi protetti di cui tutti a livello politico parlano e che apparentemente tutti, o quasi, vogliono attuare. Nella realtà la situazione è però ben diversa.

Nella proposta di nuovo patto per le migrazioni e l’asilo del 2021 la Commissione europea poneva un accenno, pur assai vago, alla necessità di sviluppare «percorsi complementari per la protezione, quali programmi di ammissione umanitaria» (par.6.6) e si riproponeva di sostenere «gli Stati membri che desiderano istituire programmi di sponsorizzazione da parte di comunità o privati attraverso finanziamenti, lo sviluppo di capacità e la condivisione delle conoscenze, in cooperazione con la società civile, con l’obiettivo di sviluppare un modello europeo di sponsorizzazione da parte di comunità».

Nulla, assolutamente nulla di tutto ciò è però stato realizzato nella grigia legislatura europea che sta per chiudersi, né sotto il profilo più tradizionale del reinsediamento, né per ciò che riguarda lo sviluppo di approcci più innovativi. Il reinsediamento tradizionale è una procedura altamente discrezionale, essendo una selezione delle persone da reinsediare operata dalle agenzie internazionali (OIM, UNHCR), che la propongono a un dato Stato.

In questa forma di selezione l’individuo è un soggetto del tutto passivo privo di alcuna tutela giuridica sulle decisioni che lo riguardano, compresa quella di contestare in giudizio la decisione di essere stato scartato dal programma. Tuttavia, nonostante tali evidenti limiti, ritengo che il reinsediamento non vada gettato via del tutto in quanto rimane uno strumento che può avere efficacia in taluni contesti, quali ad esempio le situazioni crisi acute o contesti di evacuazione umanitaria.

Un Regolamento UE che introduca un obbligo annuale per gli Stati di realizzare programmi di reinsediamento con quote obbligatorie e criteri trasparenti di selezione dei destinatari e una certa trasparenza dei programmi, è un obiettivo che andrebbe ancora perseguito. Una proposta di Regolamento in tal senso (Bruxelles 13.7.2016 -COM(2016) 468 final) era stata invero discussa nel lontano 2016 ma poi era stata abbandonata. Si trattava di un testo, quello del 2026, molto modesto, da ripensare, ma non da gettare via a favore del nulla attuale.

La strada più efficace che andrebbe sviluppata per realizzare delle efficaci forme di ingresso protetto dei rifugiati nella UE (e contrastare realmente in tal modo il traffico di esseri umani) è tuttavia un’altra, ed è quella di sviluppare una nuova normativa a partire da istituti giuridici già esistenti nel diritto dell’Unione quali l’art. 25 reg. n. 810/2009 (cd. codice dei visti) che prevede il rilascio di “visti con validità territoriale limitata” rilasciati per “motivi umanitari o di interesse nazionale”.

Nulla impedisce all’Unione di rinforzare l’applicazione di tali strumenti e a sviluppare altresì nuove normative prevedendo procedure con modalità semplificate di presentazione delle domanda di rilascio del visto da parte delle persone che ritengono essere in pericolo che tenga conto della condizione in cui si trovano (in un Paese terzo, spesso senza un titolo di soggiorno e in condizioni di pericolo) e valutando le istanze sotto il profilo della loro manifesta fondatezza in tempi brevi da un organo competente (in Italia ciò potrebbe essere effettuato da una o più apposite sezioni della Commissione nazionale per il diritto di asilo con il supporto del personale delle rappresentanze diplomatiche italiane nei diversi Paesi).

Una procedura dotata delle necessarie garanzie giuridiche (non dunque una mera concessione arbitraria) in quanto l’eventuale decisione di rigetto andrebbe sempre motivata in fatto e in diritto e dovrebbe poter essere impugnabile di fronte ad un’autorità giudiziaria (in Italia quella ordinaria).

A chi obiettasse che tale sistema è molto complesso, ed indubbiamente lo è, rispondo che non c’è nulla di semplice nell’azione di proteggere persone in fuga da persecuzioni e conflitti, e che l’Unione Europea e i suoi Stati hanno i mezzi, le competenze e le capacità per realizzare un nuovo sistema internazionale di protezione dei rifugiati che, nel rispetto della Convenzione di Ginevra del 1951 e della Convenzione Europea per i diritti dell’Uomo, sviluppi strategie innovative.

Al momento però non si vede all’orizzonte nulla di tutto ciò e, come ben evidenzia il Rapporto, l’unica esperienza innovativa di questi anni viene da azioni realizzate solo dalla società civile: sono stati 5.605 i rifugiati accolti in Italia dal 2016 al settembre 2023 nell’ambito dei “corridoi umanitari”.

Contando anche i “corridoi” realizzati in altri Paesi europei si arriva a un totale di 6.470 persone. Nonostante la loro dimensione ancora estremamente ridotta queste esperienze indicano la strada di un cambiamento che è necessario anche alla luce dei dati agghiaccianti che il Rapporto evidenzia mettendoli in diretto rapporto con l’assenza di canali di ingresso regolari e protetti: alla fine di agosto 2023 la stima (minima) dei rifugiati e migranti morti e dispersi nel Mediterraneo supera le 2.300 unità: una cifra già prossima a quella registrata in tutto il ’22 (circa 2.400 vittime).

A pagare il tributo più pesante sono coloro che tentano la traversata del Mediterraneo centrale, sulla rotta che porta verso l’Italia e Malta. Secondo il Rapporto è possibile stimare che, dall’inizio del nuovo secolo, in quasi 23 anni abbiano perso la vita sulla frontiera liquida del Mediterraneo oltre 47 mila fra migranti e rifugiati.

Negli ultimi quattro anni la rotta dell’Atlantico occidentale verso le Canarie si è rivelata più pericolosa anche di quella del Mediterraneo centrale per numero di morti e dispersi in rapporto agli arrivi: nelle sue acque si è contata una vittima ogni 20-30 migranti sbarcati.

Ma nel Mediterraneo centrale, nell’anno in corso questo rapporto è tornato a crescere dopo tre anni di diminuzione: oggi il rischio di perdere la vita nella tratta verso l’Italia o Malta è pari a due casi ogni 100 arrivi.

Intanto continua a crescere il numero di migranti e rifugiati intercettati e ricondotti (o meglio deportati) in sistemi organizzati di miseria, arbitrio, vessazioni, taglieggiamenti e violenze: sono stati 125 mila, in crescendo, quelli fermati dalla Guardia costiera tunisina dal 2017 fino a luglio 2023; ancor più imponente il totale delle persone intercettate e riportate indietro dalla Guardia costiera turca: dal 2017 all’estate 2023 più di 219 mila persone; tra essi in gran parte siriani e afgani (questi ultimi non godono di alcuna protezione in Turchia e possono essere deportati, cosa che avviene sempre più frequentemente).

Per ultimo la più grande vergogna dei nostri tempi rispetto alla quale un giorno ci chiederemo come sia stato possibile: quella della Libia. A partire dal 2017, anno del “memorandum Roma-Tripoli” e fino al settembre 2023 i “deportati in Libia” sono stati ormai 124 mila. Tutti destinati all’internamento nei lager.

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