La norma-spot congelata da mesi.Fratelli d’Italia lo vuole per le europee. Le Camere penali: «Incostituzionale». Il Gip di Napoli contro il reato di rivolta in carcere
Era fermo da sei mesi, alla Camera, il ddl Sicurezza. Ora, a ridosso delle elezioni, la maggioranza si è ricordata di quella norma-manifesto e ha deciso di scongelarla e, anzi, farla volare: dovrà arrivare in aula il 27 maggio prossimo, meno di una settimana. Le opposizioni protestano e dalle audizioni emergono solo critiche dagli addetti ai lavori. Gli avvocati penalisti avvertono: il testo, oltre ad essere assolutamente superfluo, è «segnato da inammissibili profili di incostituzionalità».
«Ormai la destra ha imposto un nuovo modello in base al quale si legifera per necessità elettorali. Le necessità reali del Paese vengono dopo», denuncia per primo Filiberto Zaratti, capogruppo di Avs in commissione Affari costituzionali. Sulla stessa linea anche il dem Andrea Casu: «Oggi la maggioranza è in difficoltà e lo dimostra la fretta che vorrebbe imporre sul ddl Sicurezza. Rimasto congelato da novembre scorso, quando è stato approvato in Cdm, lo ritirano fuori perché serve alla propaganda della campagna elettorale». A sera, tutti i capigruppo delle opposizioni decidono di scrivere insieme una lettera al presidente della Camera, Lorenzo Fontana, per «stigmatizzare l’accelerazione impressa dai presidenti delle commissioni Affari costituzionali e Giustizia sull’esame del ddl Sicurezza e chiedere la convocazione di una capigruppo» per riesaminare i tempi dell’iter di un provvedimento che «comprime libertà costituzionalmente garantite in particolare nel campo del diritto penale, del diritto dell’immigrazione e del diritto penitenziario». I firmatari – Chiara Braga (Pd), Francesco Silvestri (M5s), Matteo Richetti (Azione), Luana Zanella (Avs), Davide Faraone (Iv) e Riccardo Magi (Più Europa) – chiedono a Fontana di garantire tempi adeguati di discussione «nel rispetto delle prerogative di tutti i gruppi, di tutte le deputate e di tutti i deputati, tanto di maggioranza quanto di opposizione».
A premere sull’acceleratore sarebbe stata soprattutto Fd’I, determinata a replicare la forzatura messa in atto con il ddl autonomia, nella speranza di arrivare alla discussione generale prima delle europee, per poi rinviare i voti sugli emendamenti a dopo le elezioni. D’altronde, dal momento in cui era stato presentato alla Camera il 22 gennaio, al ddl Piantedosi-Nordio-Crosetto erano state dedicate solo due sedute di discussione generale a febbraio nelle commissioni riunite Affari Costituzionali e Giustizia. E poi il nulla, fino al 16 maggio quando sono iniziate le audizioni che si sono concluse ieri. Ora per le commissioni è previsto un vero tour de force: quattro giorni di tempo per esaminare il testo, con gli emendamenti da presentare entro oggi e il mandato al relatore da attribuire entro la settimana.
Nel merito, il presidente dell’Unione camere penali, Francesco Petrelli, nella sua audizione ha demolito il ddl: pene altissime, nuovi reati, criminalizzazione del dissenso e del disagio sociale, fattispecie evanescenti e dubbi di incostituzionalità. Su tutto c’è qualcosa che i penalisti non possono accettare: la possibilità di mandare in carcere le donne incinte. Un passo indietro persino rispetto al vituperato codice Rocco che “dovrebbe essere il parametro di un codice autoritario. Ma ora si fa peggio e a noi garantisti ci ripugna”, dice Petrelli a La Stampa. “Gli istituti a custodia attenuata per detenute madri sono appena 5 in tutta Italia. Finirà che le donne in attesa di partorire andranno in carceri normali e sfido chiunque a dire che è accettabile che una donna con un neonato o una puerpera possa stare in una cella dove le condizioni igieniche fanno pena, senza assistenza psicologica, in realtà sovraffollate. Non è da Stato di diritto”.
Il governo vuole usare il ddl in vista delle elezioni europee. I penalisti rispondono con questa memoria: “Le nuove norme, presentate quali soluzioni ai fatti criminali di maggiore appeal mediatico, come se nell’attuale assetto normativo non fossero già presenti disposizioni di legge che puniscono l’occupazione abusiva di immobili, il borseggio, le rivolte nelle carceri o l’aggressione dei rappresentanti delle forze dell’ordine, finiscono per fornire l’errato messaggio per cui è l’efficacia della risposta punitiva ad eliminare i fenomeni”.
Bestia nera del governo sono anche gli attivisti di Ultima generazione, ecologisti che bloccano le strade o che danneggiano opere d’arte, sia pure con lievissimi effetti. Giusto ieri hanno imbrattato la facciata del ministero della Giustizia. Ebbene, spiega l’Unione dei penalisti che il ddl è un “contrasto della protesta attraverso la criminalizzazione di comportamenti di dissenso anche laddove manifestati in forma non violenta”.
Appare tagliato su misura anche il reato di imbrattamento di edifici che ospitano uffici pubblici. “Considerando che è una protesta non violenta e dai principi condivisibili, entra in conflitto con il codice laddove invece prevede un’attenuante quando si sia mossi da alti valori sociali”. A metà strada tra criminalizzazione del disagio e del dissenso, è poi il nuovo reato di “rivolta all’interno di un istituto penitenziario”.
Vi si punisce con la pena della reclusione da 2 a 8 anni, chiunque promuova una rivolta. La novità è che agli atti di violenza sono equiparati quelli di resistenza passiva all’esecuzione degli ordini impartiti. Petrelli dice: “Al di là di tanti proclami, si fa marcia indietro rispetto alla riforma del 1975 che premiava la buona condotta”. Il veleno è nella coda: il detenuto che sia condannato per “rivolta carceraria” ricadrà sotto l’articolo 4bis dell’ordinamento penitenziario; significa impossibilità di avere benefici carcerari negli anni a seguire.
«Il tono è propagandistico; l’efficacia molto dubbia», afferma davanti ai membri delle commissioni di Montecitorio Giovanni Russo Spena, rappresentante dell’Associazione Giuristi democratici.
Secco no all’articolo 18 del ddl, quello che punisce la rivolta nelle carceri, anche da Luca Della Ragione, Gip del Tribunale di Napoli: «Crea problemi in relazione alla resistenza passiva – ha scritto il giudice in una nota – che può essere espressione di più svariate ragioni, anche da tutelare, e di certo non è parificabile alle altre condotte, che appaiono connotate da materialità e offensività».
Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi sostenerci donando il tuo 5×1000
News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp