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Kenya: La polizia spara sui dimostranti

Dal 18 giugno migliaia di giovani in Kenya sono scesi in piazza per protestare contro le nuove tasse, attraverso cui il governo punta a raccogliere 2,7 miliardi di dollari. Il 25 giugno a Nairobi la polizia ha represso con violenza le manifestazioni e un gruppo di persone ha fatto irruzione nel parlamento. Il bilancio è di 23 manifestanti morti e 165 feriti gravi . Il 26 giugno il presidente William Ruto non ha promulgato la legge, ma l’ha rinviata al parlamento.

Infuriano le proteste antigovernative in Kenya, non solo nella capitale Nairobi dove la polizia cerca di disperdere i dimostranti e tenerli lontani dal palazzo presidenziale, ma nelle altre città come Mombasa e Migori dove, come riporta il sito Kenyans, gli agenti hanno iniziato a sparare proiettili veri sulla folla.
Ci sarebbero diverse vittime, secondo la commissione nazionale per i diritti umani del Kenya (Knhrc).

Le vittime ufficiali delle proteste, da martedì ad oggi, secondo la Ong, sono 23, con 165 persone ricoverate in condizioni definite serie al Kenyatta Hospital di Nairobi.

Ci sono stati anche cadaveri, perché la polizia ha seminato indiscriminatamente il terrore tra le persone che manifestavano contro le nuove tasse. Si temono decine di feriti da arma da fuoco, e si contano almeno ventidue morti. Infine ci sono state anche le minacce delle autorità di oscurare i mezzi d’informazione, come l’emittente Ktn news.

Di fronte a tutto questo, i giovani keniani che hanno partecipato alla rivolta nazionale non hanno ceduto. Hanno continuato a scandire slogan contro il presidente William Ruto, anche mentre vedevano portar via i corpi dei loro compagni. Quelli della generazione Y o millennials (nati tra il 1981 e il 1996) e le persone della generazione Z o zoomers (nate tra il 1997 e il 2012) avevano promesso di paralizzare il Kenya e il 25 giugno hanno tenuto fede al loro proposito. Hanno manifestato tutto il giorno, non solo per protestare contro le nuove tasse previste dalla legge finanziaria, ma anche contro la corruzione e il clientelismo, che ai loro occhi si sono radicati nella pubblica amministrazione. Sui cartelli dicevano di opporsi a un sistema corrotto, pensato solo per arricchire i potenti a scapito dei poveri. Hanno anche criticato lo strapotere dell’esecutivo sul parlamento, che avrebbe reso i deputati indifferenti alle loro difficoltà. I manifestanti volevano “qualcuno che li ascoltasse” e Ruto aveva promesso di farlo. Ma, come ha spiegato uno di loro, “il presidente non ha trasformato le parole in fatti”.

La giornata del 25 giugno era cominciata con le notizie di sparizioni forzate di attivisti, com’era già successo la settimana scorsa all’inizio delle proteste. Tra questi ci sono l’opinionista Gabriel Oguda e i blogger Shadrack Kiprono, Drey Mwangi, Kevin Monari e Frank Githaka. Tutti si erano schierati contro la finanziaria sui social media, promettendo di partecipare alle proteste del 25 giugno. La maggior parte sono stati liberati dopo poche ore.

Quel giorno l’obiettivo dei manifestanti era occupare il parlamento e per questo migliaia di keniani si sono diretti verso il centro di Nairobi. Armati solo di cartelli, sono stati accolti da proiettili, gas lacrimogeni e manganelli. Per ore hanno cercato di sfondare le barricate della polizia, finché non sono riusciti ad avere la meglio sugli agenti. Nel frattempo le proteste pacifiche si erano trasformate in scontri violenti. Poi sono arrivate le uccisioni immotivate, quando la polizia ha cominciato a sparare sui manifestanti che avevano fatto irruzione negli edifici del parlamento. Gli attacchi indiscriminati contro chiunque si trovasse a tiro, compresi medici e giornalisti, hanno segnato il ritorno ai giorni più bui della storia del paese. Il ministro dell’interno Kithure Kindiki aveva avvertito il 24 giugno che le manifestazioni avrebbero potuto diventare violente, come poi è successo. Ma vale la pena di sottolineare che mai prima d’ora una mobilitazione si era diffusa così capillarmente. Come ha osservato un utente keniano su X, in tutto il paese è risuonata l’eco dello slogan “Ruto deve andarsene” (Fonte Internazionale)

 

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