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La neolingua bellicista

La propaganda di guerra è un dispositivo antico. Oggi c’è chi sui media e tra i politici istituzionali parla di diritto del governo di Israele all’auto-difesa per giustificare l’uccisione di oltre 40 mila palestinesi e il ferimento di 100 mila persone, in gran parte bambini e bambine.

di Pasquale Pugliese da Comune-Info

Come insegna l’antropologo Francesco Remotti a proposito della parola “identità”, ci sono parole il cui abuso rende inutilizzabili, “avvelenate”, perché talmente strattonate e semanticamente dilatate che non significano più nulla ma servono a giustificare tutto e vengono usate come clave contro le ragioni dell’avversario. Un’altra di queste è la parola “difesa” che ha subìto un analogo processo revisionistico, volto a coprire perfino l’opposto del suo significato che è affine a protezione, tutela, salvaguardia e simili. Per esempio c’è chi sui media e tra i politici continua a parlare di diritto del governo di Israele all’auto-difesa, volendo significare il presunto diritto ad uccidere oltre quarantamila palestinesi e ferirne centomila, in gran parte bambini, con l’occupazione militare di Gaza – senza calcolare i morti per fame e per malattie – come ritorsione all’attacco terroristico del 7 ottobre scorso da parte di Hamas.

Un governo incapace di proteggere i propri cittadini da un atto terroristico, ossia propriamente di difenderli, ma capace di compiere il genocidio di un popolo – definendolo appunto “autodifesa” – sganciando decine di migliaia di tonnellate di esplosivo su un fazzoletto di terra in dieci mesi di bombardamenti continuativi. Con la complicità sostanziale dei governi occidentali, nonostante i pronunciamenti della Corte di giustizia internazionale e della Corte penale internazionale. Uno spostamento lessicale ed argomentativo, ossia logico.

Uno spostamento analogo a quello dispiegato da molti chierici nostrani del bellicismo atlantista che definiscono legittima “difesa” l’occupazione militare ucraina di una porzione di territorio russo, analogamente a quanto fanno da due anni e mezzo i chierici del bellicismo russo in riferimento all’occupazione militare di porzioni del territorio ucraino. Propagande di guerra contrapposte, che nel nostro paese assumono anche le vesti di personaggi autorevoli come Ezio Mauro, già direttore dei quotidiani La Stampa e la Repubblica e autore di libri di divulgazione storica, che aspira a diventare anche un novello George Orwell integrando con la formula “offesa è difesa” la neolingua che prevede, non solo nel romanzo 1984, l’ormai sdoganata equazione “guerra è pace”. Con il corollario, altrettanto ritrito, per cui i pacifisti – da papa Francesco a Edgar Morin, suppongo – secondo Mauro non lavorano “per la pace, ma per l’aggressore” e vogliono in realtà “la resa dell’Ucraina”.

Facendo un ulteriore salto logico che conia l’altra formula della neolingua bellicista: “negoziato è resa”, buttando a mare tutta la teoria e la pratica internazionale di mediazione dei conflitti. Oltre al fatto che, come rivela il Washington Post, l’invasione ucraina della Russia ha sabotato le trattative segrete che, in effetti, erano in corso in Qatar tra gli emissari dei due governi. E dunque, per Mauro, avanti con il sostegno militare italiano alla guerra ucraina, anche di contrattacco e contro-occupazione, con relativa fornitura di armi per colpire il territorio russo. Fino alla “vittoria”, qualunque cosa ciò significhi. Costi quel che costi, anche la distruzione deliberata da parte ucraina del gasdotto Nord Stream che ha lasciato la Germania e l’Europa senza gas russo. E potrebbe essere il meno.

Al bando anche le limitazioni imposte al nostro paese dall’articolo 11 della Costituzione, “che ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” – riporta Ezio Mauro, con sprezzo del pericolo di ogni fallacia logica e argomentativa – perché, copio/incollo, “questo sacrosanto ‘ripudio’ non può iniziare oggi, dalla risposta ucraina con le incursioni in terra russa: valeva anche prima – quando nessuno invocava l’articolo 11 – nel momento cioè in cui è cominciata ‘l’offesa alla libertà’ di un popolo, con l’invasione”.

Devo ricordare ad Ezio Mauro, non a un buontempone al bar dopo il terzo bicchiere, che l’articolo 11 è uno dei Principi Fondamentali della Costituzione italiana e dunque fonda i valori della nostra Repubblica e ad essi devono attenersi gli organi dello Stato italiano nella loro attività politica, che orienta e vincola, compresa la fornitura di armi a governi stranieri? L’articolo 11 vale sempre – per noi – dal 1948 in avanti. E da sempre è richiamato dai movimenti pacifisti italiani per segnalare la distanza di tutti i governi che, almeno dal 1991 con la prima Guerra del Golfo, hanno ripudiato la Costituzione anziché la guerra, partecipando ad occupazioni militari a seguito degli Usa e della Nato in giro per il mondo. Invece di approntare strumenti e mezzi civili e nonviolenti per affrontare e risolvere le “controverse internazionali” – dei quali siamo ancora tragicamente privi – rilegando la guerra tra i ripudiati ferri vecchi e inutilizzabili della storia. Come volevano, appunto, le madri e i padri costituenti che la guerra l’avevano vissuta davvero, e con essa anche i crimini dei “buoni”. Per esempio, Hiroshima e Nagasaki.

L’articolo di Ezio Mauro è stato pubblicato su la Repubblica dell’11 agosto (Ucraina di Zelensky. L’equivoco tra difesa e offesa), tra tre anniversari: le bombe atomiche statunitensi sulle due città giapponesi, il 6 e 9 agosto del 1945, e la fuga da Kabul di Usa e complici, il 15 agosto del 2021, dopo vent’anni di occupazione militare. Esempi storici paradigmatici di applicazione concreta della formula “offesa è difesa” e della sua tossicità, che ancora ci ammorba.

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