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La sicurezza non è la polizia

Servono più controlli, più pattuglie per strada, più personale per le forze dell’ordine. Quante volte abbiamo sentito queste invocazioni. Sono parte essenziale della retorica sulla sicurezza che ha spianato la via alla politica della paura, dominante negli ultimi anni sulla scena pubblica locale e nazionale. In questi giorni di gestazione dell’ultimo strumento repressivo, il Ddl 1660, targato Governi Meloni, ma seminato dai precedenti governi multicolore, è necessario un invito alla discussione sul ruolo delle polizie in questo scenario.

di Renato Turturro – Osservatorio Repressione

“La polizia gestisce la disuguaglianza tenendo separati i diseredati dai proprietari, i neri dai bianchi, i senzatetto dagli alloggiati, i mendicanti dai lavoratori. Le riforme rendono la polizia un educato gestore della disuguaglianza. L’abolizione rende la polizia e la disuguaglianza obsolete” – (Purnell 2020) Derecka Purnell, avvocato, scrittrice e organizzatrice per i diritti umani.

A seguito di ogni evento drammatico, si invoca un maggior dispiegamento di agenti di polizia o comunque un aumento delle attività di controllo poliziesco di territori e spazi. Una reazione che, una volta individuata la colpevolezza, sotterra la ricerca delle responsabilità e delle cause. Come se i fenomeni fossero isolati e non frutto di molteplici dinamiche sociali. Siamo certi che più polizia significhi automaticamente più sicurezza?

Secondo il rapporto dell’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica di Milano del 2019[1],  in Italia abbiamo circa 306mila agenti (appartenenti alle varie forze dell’ordine, scese da 5 a 4 dopo il passaggio del Corpo forestale ai Carabinieri) ossia 453 ogni 100mila abitanti, cifra che colloca il nostro Paese all’ottavo posto in Europa, ben oltre la media continentale, ferma a 355 agenti ogni 100mila abitanti. Mentre, sempre per quanto riguarda l’Italia, Polizie, sicurezza e insicurezze (S. Palidda 2021), trascurando il personale della Guardia Costiera e dei Servizi segreti, ci dice che il rapporto agenti/abitanti, sale a 645 operatori di polizia ogni 100mila abitanti, con una spesa di oltre 26 miliardi di euro per il solo Ministero dell’Interno ( Legge di bilancio 2020).

Il confronto con Paesi simili al nostro è molto eloquente: Regno Unito 211 agenti, Germania 297, Francia 320, Spagna 361. Un simile apparato comporta ovviamente una spesa notevole, 22,6 miliardi di euro, ossia l’1,3% del Pil, assai al di sopra della media europea dello 0,9%. Nella ricerca di una giustificazione tecnica razionale per un apparato che pare elefantiaco e costoso, l’Osservatorio ha provato a comparare gli organici alla quantità di reati registrati dalle statistiche, scoprendo che la relazione resta squilibrata: a un più 11,7% di reati rispetto alla media europea corrisponde un più 27,6% di agenti in servizio.

Alla polizia, intesa come relazione sociale di conservazione di interessi e monopolio dell’uso della forza di Stato, si aggiungono anche forme di polizia privata, una sorta di estensione appaltata del controllo, una gestione tra pubblico e privato. Esiste un giro di affari mondiale di 248 miliardi di dollari per i servizi di sicurezza privata. Secondo l’Asia Times, la polizia privata è più numerosa della polizia nella maggior parte dei paesi. Negli Stati Uniti il rapporto è di tre a due[2]. In Italia ci sono ben 2.386 istituti di vigilanza privata, di cui 448 certificati dal Ministero dell’Interno (ai sensi del D.M. 115/2014), impiegando un totale di 86.659 addetti. L’utilizzo di questi servizi è aumento, soprattutto dopo i fatti di Piazza San Carlo a Torino nel 2017, a seguito dei quali, il Ministero degli Interni, diffuse delle direttive sulla gestione degli eventi pubblici (Circolare Gabrielli), appoggiandosi ai già esistenti Decreti Sicurezza, suscitando anche le reazioni di alcuni sindaci rispetto alle ripercussioni negative, in termini di costi e organizzazione, sulle manifestazioni popolari e sagre. Non c’è spazio pubblico o evento sportivo e culturale, dove oramai non vi sia presenza di vigilantes. Questa tendenza, unita alla narrazione spettacolarizzata, sta producendo una percezione della sicurezza legata indissolubilmente alle polizie (private o pubbliche che siano). Un anno fa, l’operazione mediatica del sindaco di Terni, con cui ha assoldato i vigilantes dell’Unicusano (di cui è stato amministratore delegato) per affiancarli alla polizia locale.[3] Rompere questa associazione, ci permette di discutere di quale “sicurezza” hanno bisogno le comunità, liberando quei processi di costruzione autonomi che incrinino l’uso monopolistico della forza statale e blocchino il meccanismo di produzione dei reati tipici di alcuni gruppi sociali, indotti di fatto dalla mancanza di reddito, servizi e risorse. La polizia, in senso generale, è una forza produttiva di reati specifici. La sua funzione è proteggere la proprietà privata, interrompere gli scioperi dei lavoratori, impedire alle persone di vivere degli spazi, sedersi, dormire in determinate aree, entrare o uscire dai confini, limitare il diritto a protestare e reprimere qualsiasi lavoro svolto fuori dalle logiche dei mercati capitalistici.

In ogni epoca, la costruzione giuridica dei beni da tutelare avviene attraverso il conflitto, e la polizia, essendo strumento di difesa dei beni della classe dominante, non conosce crisi. Infatti, sulla base del prossimo Def, mentre per il triennio futuro la spesa sanitaria e sociale pubblica crolleranno[4] (ancora) e le risorse ai Comuni resteranno bloccate dal patto di stabilità, continuano, come in passato, ad aumentare le assunzioni e le dotazioni delle polizie locali[5]. Sono questi i bisogni reali delle comunità?

“La lacuna più flagrante e gravissima dell’assetto della sicurezza in Italia (e in parte anche in altri paesi) è la gigan­tesca sproporzione fra le risorse e la quantità di personale delle polizie e quelle delle agenzie di prevenzione e con­trollo. Si tratta della prova più eclatante della totale di­sattenzione nei confronti della prevenzione; la sola azione repressiva, inoltre, si disinteressa di quelle che qui chia­miamo insicurezze ignorate”[6]. La riproduzione della delinquenza garantisce la ridondanza delle polizie e dell’amministrazione della giustizia.

Ecco alcuni dati che ci aiutano a costruire un concetto di sicurezza aderente a bisogni reali calpestati. Dati che, se paragonati, a quelli predatori, ci fanno il quadro della conta dei danni in termini non soltanto economici, ma sociali.

Inquinamento e salute

In ambito europeo, è stata stimata la presenza di circa 342.000 siti contaminati, dei quali solo il 15% sottoposto a interventi di risanamento ambientale. In Europa le attività industriali hanno lasciato un’eredità di migliaia di aree contaminate da sostanze chimiche tossiche tali da costituire una minaccia attuale o potenziale per la salute delle popolazioni ivi residenti, compresi i sottogruppi vulnerabili quali i bambini. Secondo stime fornite dell’Agenzia Europea dell’Ambiente, i costi del danno, relativo alla salute umana, alle perdite di raccolto e ai danni materiali, associato all’inquinamento atmosferico causato dalle emissioni di 14.000 impianti industriali più inquinanti in Europa oscillano tra 329 e 1.053 miliardi di euro nel quinquennio 2008-2012, con circa la metà dei costi dovuta a 147 (1%) impianti[7].

Tra il 2013 e il 2017, nel totale dei 46 siti nazionali monitorati dalla sorveglianza epidemiologica SENTIERI si è stimato, per la popolazione residente in prossimità, un rischio di mortalità maggiore del 2%, pari a circa 1.668 decessi l’anno.

Casa

Gli abitanti in Europa in totale sono oltre 512 milioni, di cui, secondo il rapporto il 10,4% della popolazione è schiacciato dai costi di alloggio (almeno il 40% del reddito familiare). Il 4% della popolazione totale vive in case inadeguate. Il 7,8% non è in grado di mantenere una temperatura adeguata nelle proprie abitazioni. Si stima che siano 700 mila gli abitanti che ogni notte in Europa dormono in strada o nei rifugi di emergenza[8].

Lavoro

Nei primi sette mesi del 2024, in un generale aumento dell’1,7% rispetto allo stesso periodo del 2023 del fenomeno infortunistico, ancora un bilancio drammatico per quanto riguarda gli infortuni mortali: 577, di cui 440 in occasione di lavoro e 137 durante il tragitto casa-lavoro (in itinere). Rispetto allo stesso periodo del 2023, si sono registrati in totale 18 decessi in più con un aumento del 3,2%.  L’ incidenza più elevata si registra nella fascia dei lavoratori ultrasessantacinquenni (con incidenza di 75,2), seguita dalla fascia di lavoratori compresi tra i 55 e i 64 anni (con incidenza pari a 28,9). I lavoratori stranieri soggetti ad un rischio di infortunio mortale quasi triplo rispetto agli italiani. Gli stranieri deceduti in occasione di lavoro nei primi mesi dell’anno sono 102 su un totale di 440, con un rischio di morte sul lavoro che risulta essere quasi triplo rispetto agli italiani. [9]

Sul versante malattie professionali, INAIL segnala un aumento considerevole delle denunce nei primi sette mesi del 2024: 54.471 denunce di malattia professionale protocollate dall’Inail, 10.038 in più rispetto allo stesso periodo del 2023 (+22,6%).

Il settore maggiormente coinvolto sia dagli infortuni in generale che dalle patologie dal lavoro è quello dell’industria e dei servizi.

Questi dati richiamano per forza di cose Foucault[10], mostrandoci come anche la giustizia vada liberata dalla polizia e costruita sulla base dei bisogni reali delle comunità. Ogni comunità conserva degli anticorpi per tutelare i beni individuali e collettivi presenti al suo interno, lo Stato ha dimostrato storicamente di spostare questo equilibrio verso beni meritevoli di protezione ben determinati, nell’ interesse dei gruppi dominanti. Riconoscere questo è un atto di responsabilità verso la propria comunità/classe di riferimento. Esistono esempi storici e contemporanei, contaminazioni ed evoluzioni in tutto il mondo, che ci mostrano come sia possibile la costruzione di percorsi autonomi e di pratiche di soddisfacimento dei bisogni partecipate. Non sarà questo scritto a stimolare queste azioni, ma iniziare a pensare e a pronunciare le parole “abolizione della polizia” è un passo verso questo altro orizzonte messo da parte, in un momento dove polizie istituzionali e private potrebbe essere rafforzate anche dagli strumenti penali che i Parlamenti si apprestano a deliberare?

 

Note:

[1] https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-le-nostre-forze-di-polizia-sono-sottodimensionate

[2] https://www.osservatoriorepressione.info/la-privatizzazione-dello/

[3] https://www.iltempo.it/personaggi/2023/09/03/news/stefano-bandecchi-vigilantes-terni-milizia-privata-sicurezza-sorveglianza-36778849/

[4] http://www.sossanita.org/archives/20328

[5] https://www.primonumero.it/2020/04/pistole-ai-vigili-urbani-contro-lo-spaccio-a-scuola-il-pd-protesta-sindaco-solo-per-autodifesa/1530606879/

[6] Polizie, sicurezza e insicurezze, S. Palidda, 2021, Meltemi.

[7] https://epiprev.it/pubblicazioni/sentieri-studio-epidemiologico-nazionale-dei-territori-e-degli-insediamenti-esposti-a-rischio-da-inquinamento-sesto-rapporto

[8] https://www.habitante.it/wp-content/uploads/2020/01/SENZATETTO.pdf

[9] https://www.vegaengineering.com/news/infortuni-sul-lavoro-gennaio-luglio-2024-in-aumento-del-3-2-rispetto-al-2023/

[10] “La giustizia serve a permettere alla polizia di funzionare. La giustizia non è fatta per altro che per registrare… ciò̀ che fa la polizia… la giustizia è al servizio della polizia …” (www.youtube.com/watch?v=FzIIgODvzHw&t=315s).

 

 

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