Egitto: Fine della condanna, ma Alaa Abdel Fattah resta in carcere
“La custodia cautelare non conta”: le autorità egiziane violano la loro stessa legge e aumentano la pena dell’attivista di due anni. La madre Laila Soueif inizia lo sciopero della fame, le sorelle si rivolgono a Londra. Alaa Abdel Fattah resterà in carcere.
di Francesco De Lellis da il manifesto
Pur avendo concluso i cinque anni di condanna che scontava dal 29 settembre del 2019, domenica scorsa allo scadere della pena non è stato rilasciato. Sentori di questo esito si erano avuti già nei giorni precedenti dal suo avvocato, Khaled Ali, il quale ha spiegato che – contrariamente a quanto previsto dalla legge egiziana – i due anni di custodia cautelare in attesa di processo non sarebbero stati considerati nel computo, facendo così slittare al gennaio 2027 il compimento dei cinque anni (considerati a partire dal momento del verdetto finale).
È “una grave ingiustizia, persino più grave della terribile ingiustizia di averlo incarcerato”, ha detto la madre di Alaa, Laila Soueif, matematica e attivista. “Ancora una volta, le autorità egiziane hanno violato le loro stesse leggi per perseguitare mio figlio. A questo punto lo considero un sequestro, oltre che una detenzione illegittima”. Alaa ha scontato una condanna per “adesione a gruppo terroristico” e “diffusione di notizie false che minacciano la sicurezza dello stato”. Ma tutto il processo si basa su un semplice post sui social riguardante la morte per tortura di un detenuto. La sua, come per altri prigionieri politici, rischia di diventare una condanna con “fine pena mai”. Non è inusuale che allo scadere dei termini di una sentenza le autorità giudiziarie tirino fuori dal cappello un nuovo procedimento, prolungando così arbitrariamente la detenzione. Alaa Abdel Fattah, programmatore, blogger e attivista, è una delle icone della rivolta di massa che nel 2011 ha rovesciato Mubarak e del movimento rivoluzionario egiziano. E per questo ha passato la maggior parte degli ultimi tredici anni (l’età di suo figlio Khaled) in carcere.
Arrestato già nel 2011 e poi nel 2014, Alaa era stato (si fa per dire) rilasciato nel 2019 con una sorta di libertà vigilata che gli imponeva di trascorrere 12 ore al giorno – dalle 18 alle 6 del mattino – in una stazione di polizia. Nel settembre di quell’anno però, in concomitanza con un’inedita ondata di proteste, è stato nuovamente incarcerato, con un nuovo processo a carico. “Sono in carcere perché chi è al potere vuole fare di noi un esempio. E allora cerchiamo di essere un esempio, ma alle nostre condizioni”, scriveva Alaa nel 2017. Prima con la scrittura, le lettere, il contrabbando di libri in carcere, poi con il suo stesso corpo, Alaa ha dimostrato di non poter essere schiacciato. Nel 2022 ha iniziato uno sciopero della fame durato sette mesi, che si è intensificato il 6 novembre di quell’anno quando proprio in Egitto, a Sharm el-Sheikh, si inaugurava la Cop27 sul clima, catalizzando l’attenzione del vertice sulla situazione dei diritti umani nel paese. Allora, a un passo dalla morte, Alaa è stato soccorso dai suoi compagni di cella e poi, privo di coscienza, alimentato in modo coatto.
La famiglia ne chiede l’immediato rilascio, anche in ragione della sua cittadinanza britannica, ed elenca tutta una serie di misure che il governo inglese potrebbe immediatamente mettere in campo per fare pressioni sull’Egitto, ad esempio condizionando il finanziamento da 400 milioni di dollari che il Cairo riceverà dal Regno unito, o aggiornando i consigli di viaggio per i turisti. Nonostante i buoni rapporti tra i due Paesi, finora non è mai stato concesso alle autorità consolari britanniche di visitare Alaa in carcere.
Ieri le sue sorelle, Mona e Sanaa Seif (attiviste passate dalle carceri egiziane) avrebbero dovuto essere ricevute dal laburista David Lammy, attuale segretario agli esteri, che nei suoi anni all’opposizione si è speso molto per il caso di Alaa, ma da quando è al governo sembra aver relegato in secondo piano la questione. Al momento in cui scriviamo non si hanno notizie dell’esito dell’incontro. “L’incolumità e il rispetto dei suoi diritti sono una responsabilità congiunta di entrambi gli Stati”, ha scritto la madre. 59 organizzazioni egiziane e internazionali hanno firmato a settembre un appello per la sua liberazione. E ora Laila Soueif, 68 anni, ha annunciato di aver intrapreso uno sciopero della fame a oltranza, fino alla liberazione di Alaa, per “denunciare il crimine commesso contro di lui e la complicità del governo britannico”.
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