Il caso di un dissidente Montagnard che rischia l’estradizione in Vietnam mette in evidenza le contraddizioni della politica thailandese nei confronti dei rifugiati
di Gianni Sartori
Premessa. Qui non si discute del presunto ruolo delle minoranze genericamente chiamate Montagnard (ma loro si autodefiniscono Degar, ossia “figli delle Montagne”) nel collaborare con le forze colonizzatrici (francesi, statunitensi…) contro il movimento di liberazione vietnamita. A conti fatti possiamo riconoscere che si son fatti strumentalizzare (e non si esclude che possa ancora avvenire) per ragioni di pura e semplice sopravvivenza. Ma per essere poi scaricati (USA e getta) come da manuale.
Tuttavia, trattandosi di minoranze a rischio, a mio avviso vanno comunque difese e tutelate.
In particolare quando si tratta di rifugiati in odor di estradizione.
Questione tornata d’attualità in questi giorni per il caso di Y Quynh Bdap, definito dalle agenzie “leader delle minoranze etniche montagnard”.
Provvisto del riconoscimento di status di rifugiato dall’Unhcr (agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati), ma ugualmente suscettibile di espulsione in Vietnam dopo che un tribunale thailandese ha recepito e autorizzato la richiesta di estradizione di Hanoi (dove lo attende una condanna a dieci anni di carcere).
Il rifugiato trentaduenne viveva in Thailandia dal 2018, ma attualmente si trova in carcere a Bangkok, arrestato con decine di altre persone a seguito degli attentati del giugno 2024 in Vietnam.
Da parte sua Y Quynh Bdap ha immediatamente presentato appello e inoltrato un’altra richiesta d’asilo all’ambasciata canadese.
Se non dovesse venir estradato entro novanta giorni – come ha ricordato il tribunale – dovrà essere rimesso in libertà.
Il governo di Hanoi lo richiede per sue presunte responsabilità in due attacchi di giugno contro uffici governativi nella provincia di Dak Lak (distretti di Cu Kuin). Attentati in cui hanno perso al vita quattro poliziotti, due dipendenti comunali e tre civili. Tra le persone arrestate contemporaneamente a Bdap, una decina sono già state condannate all’ergastolo, le altre a pene variabili da tre a 20 anni.
Cofondatore di Montagnards Stand for Justice (un movimento che si batte per la libertà politica e religiosa dei Montagnard e riunisce vari gruppi etnici minoritari degli altopiani vietnamiti), Bdap, condannato a dieci anni in contumacia, ha rigettato ogni accusa di coinvolgimento.
L’episodio è un altro segnale del cambio di politica di Bangkok (ufficialmente: Krung Thep Maha Nakhon o anche Krung Thep) in materia di asilo politico. Per decenni “santuario” di fatto di tutto il profugato dell’Asia del Sud-Est (Vietnam, Cina, Myanmar, Cambogia, Laos…), la Thailandia da qualche tempo si mostra più disponibile all’estradizione dei dissidenti qui esiliati. Aspettandosi un analogo trattamento dai paesi circostanti dove si sono rifugiati molti thailandesi dopo il colpo di Stato del 2014.
In un suo documento Human Rights Watch (HRW) ha lapidariamente definito questi accordi nient’altro che un “mercato di scambio di rifugiati e dissidenti”.
Precedenti preoccupanti, forse propedeutici allo svuotamento – di fatto – della legge in merito alla “prevenzione e repressione della tortura e delle sparizioni forzate”. Legge adottata in Thailandia due anni fa, ma entrata in vigore solo da febbraio. Fortemente richiesta per anni dalle ONG, avrebbe dovuto impedire l’espulsione o l’estradizione di ogni persona suscettibile di venir “sottoposta a tortura, a trattamenti crudeli, disumani o degradanti o a sparizione forzata”
Invece anche recentemente si è assistito all’espulsione di decine di rifugiati cambogiani. Dissidenti che poi, in patria, hanno subito trattamenti degradanti.
Stesso atteggiamento assunto dalle autorità thailandesi nei confronti di rifugiati Rohingya (etnia perseguitata in Myanmar). Rimpatriati contro la loro volontà così come Hmong in fuga dal Laos e cristiani dal Pakistan.
Sul caso di Y Quynh Bdap era già intervenuta in luglio Amnesty International sostenendo che “le autorità thailandesi non devono rinviare un militante dei diritti umani, un autoctono Montagnard e Edê (uno dei circa quaranta gruppi etnici che costituiscono i Montagnard; i più noti sono i Jarai e i Bahnar nda) in Vietnam , dove rischia di essere sottoposto a tortura”.
Aggiungendo anche che “le autorità vietnamite conducono da tempo una politica violentemente persecutoria e razzista nei confronti della popolazione indigena dei Montagnard”.
Per cui la Thailandia non dovrebbe “ cedere ai tentativi evidenti di repressione transnazionale del Vietnam”. Dal momento che secondo Amnesty International “i tribunali vietnamiti non sono indipendenti”.
Come confermerebbe proprio il caso di Y Quynh Bdap “giudicato e dichiarato colpevole in contumacia, in evidente violazione del diritto a un processo equo”.
Altre perplessità (e qualche manifestazione di dissenso) sono sorte recentemente per l’imprevista bocciatura parlamentare della proposta di legge sull’integrazione delle minoranze etniche (una sessantina, il 10 per cento della popolazione thailandese). Minoranze che non di rado hanno subito discriminazioni e allontanamenti forzati dalle terre ancestrali.
Per alcuni parlamentari “il loro riconoscimento come popolazioni indigene della Thailandia risulterebbe ingiusto per la maggioranza thai“.
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