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Il “decreto Albania” e la sospensione del diritto

La procedura messa in piedi per deportare i migranti potrebbe configurare la violazione del divieto di respingimenti collettivi. Sotto gli occhi di Unhcr e Oim

di Fulvio Vassallo Paleologo da il manifesto

Possiamo adesso leggere il decreto legge 158/2024 con il quale il governo tenta di fare fronte alle ordinanze dei giudici di Roma che non hanno convalidato il trattenimento di 12 richiedenti asilo provenienti da paesi di origine definiti come «sicuri».

Trasferiti poi nei centri di detenzione in Albania, dopo essere stati soccorsi da navi militari italiane nelle acque internazionali a sud di Lampedusa. Una operazione di polizia marittima, sotto gli occhi dell’Unhcr e dell’Oim, a bordo di nave Libra, che potrebbe configurare, al di là del paese di provenienza delle persone sbarcate a Shengijn dopo essere state a bordo di navi della Marina militare, dunque in territorio italiano, la violazione del divieto di respingimenti collettivi affermato, oltre che dalla Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati (articolo 33), dalla Cedu (che nel “caso Hirsi” ha condannato l’Italia, per la violazione di questo divieto) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (articolo 19). E Meloni ha annunciato di voler ripetere i trasferimenti in Albania.

QUESTO ENNESIMO decreto legge stabilisce che l’elenco dei Paesi di origine «sicuri», finora contenuto in decreti interministeriali, vada aggiornato periodicamente con una legge e quindi notificato alla Commissione europea. Ma anche con l’entrata in vigore del nuovo provvedimento i giudici resteranno soggetti alla normativa dell’Unione europea e potranno disapplicare il diritto interno in contrasto con disposizioni cogenti contenute in Regolamenti ed in Decisioni della Corte di Giustizia dell’Unione.

Per quanto riguarda le procedure accelerate in frontiera il governo ha preferito puntare sul ruolo attribuito alle Commissioni territoriali, ed in particolare a quella di Roma, la stessa che appena pochi giorni fa è stata dislocata in Albania per processare in poche ore le richieste di protezione, e adottare provvedimenti di diniego che contengono un’attestazione che impone l’allontanamento dal territorio, prima che possa intervenire la convalida, o più spesso la non convalida, del trattenimento da parte delle Sezioni specializzate del Tribunale competente. Con la possibilità – che si è già verificata in Sicilia – che il questore adotti un provvedimento di respingimento differito prima che la persona possa formalizzare la sua intenzione, già dichiarata, di richiedere asilo.

L’ARTICOLO 2 del nuovo decreto prevede ulteriori modifiche al decreto legislativo 25/2008, come modificato da ultimo dal decreto Cutro (legge numero 50/2023). Si prevede che le nuove disposizioni sui ricorsi in appello si applicano «decorsi trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge 11 ottobre 2024 numero 145». Si innesca in questo modo una serie di rinvii, perché il termine di inizio dell’efficacia della norma che prevede un nuovo grado di giudizio con il ricorso in appello (che il ministero dell’Interno intende riservarsi per ribaltare le decisioni sgradite dei tribunali) si riporta alla data di conversione di un altro decreto legge, che però si trova ancora in Parlamento.

In ogni caso di mancata convalida del trattenimento da parte del Tribunale di Roma il richiedente asilo trattenuto nei centri albanesi dovrà comunque essere condotto in Italia, venendo meno, nella pendenza del ricorso del governo in Cassazione e malgrado il ricorso in appello dell’avvocatura dello Stato, il titolo giuridico di limitazione della libertà personale richiesto dall’articolo 5 della Cedu, oltre che dall’articolo 13 della Costituzione. E intanto gli apparati giudiziari potrebbero implodere sotto una mole crescente di ricorsi.

I CENTRI DI DETENZIONE in Albania resteranno ancora vuoti, o funzioneranno a scopo propagandistico, con qualche decina di richiedenti asilo in stato di detenzione, la maggior parte dei quali al termine della procedura accelerata finirà per essere ritrasferita in Italia. Per non incorrere in una procedura di infrazione si dovrà comunque riconoscere il primato del diritto dell’Unione europea, anche in base al richiamo degli articoli 10 e 117 della Costituzione e dunque il potere/dovere di cooperazione istruttoria affidato ai giudici, sul rispetto delle regole sulle procedure accelerate in frontiera, anche in assenza di una allegazione di fatti specifici da parte del richiedente asilo. Ammesso che gli venga riconosciuto l’esercizio effettivo dei diritti di difesa, senza spazi fisici o temporali di sospensione del diritto.

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