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Mozambico: anatomia di una rivolta che cresce

In Mozambico fra esclusione e populismo, cresce la rabbia dopo le elezioni del 9 ottobre e la vittoria con brogli di Frelimo. Il leader dell’opposizione Mondlane ha convocato una grande protesta. C’è il rischio concreto di una giornata campale

di João Feijó da Nigrizia

Dalle elezioni del 9 ottobre, il Mozambico sta assistendo a una radicalizzazione dei discorsi e a una spirale di violenza. Per domani, giovedì 7 novembre, è prevista una grande manifestazione nelle strade di Maputo, con una prevedibile risposta aggressiva da parte delle forze di difesa e sicurezza. Si teme un bagno di sangue nelle strade della capitale o che l’ira popolare possa degenerare in comportamenti distruttivi.

La grande catarsi: realizzazione di una rivolta popolare

Nelle ultime settimane si è assistito a una grande agitazione di massa, che ha evidenziato la base sociale di sostegno a Venâncio Mondlane (il candidato presidenziale dell’opposizione che si dichiara vincitore in base a un conteggio parallelo dei voti). A spiccare, da un lato, sono i giovani delle zone suburbane e periurbane delle grandi città, in particolare Maputo e Matola, ma anche Tete, Chimoio, Nampula o Nacala-Porto, così come Beira e Quelimane. Alle classi più basse delle periferie urbane (giovani che scendono in strada a torso nudo, vivono di espedienti e agiscono come napharamas – guerrieri mozambicani emersi negli anni ’80, nel contesto della guerra civile, e che mettono insieme conoscenze tradizionali, elementi mistici e un senso di comunità) si uniscono studenti “disoccupati” (visto che le lezioni sono state interrotte presso varie istituzioni), che trasformano la protesta sia in una catarsi che in una celebrazione festiva.

Si nota anche l’adesione in massa di donne adulte. Più recentemente, le classi medie dei quartieri centrali (piccoli e medi commercianti del settore formale, lavoratori indipendenti e specialisti) hanno organizzato le loro marce nelle principali arterie delle città. Al calar della sera, negli edifici del distretto urbano di Kamfumo della capitale, centinaia di residenti hanno iniziato una protesta pacifica dai balconi delle loro case, provocando ampio rumore con pentole, coperchi, fischietti e vuvuzela.

Le proteste ai confini 

Le proteste si estendono ai distretti rurali, dal nord al sud del paese, mentre incidenti violenti si registrano a Ressano Garcia, località al confine col Sudafrica, e poi Mecanhelas, alla frontiera con il Malawi, Gondola, Chalaua o Namialo, tra molti altri luoghi, colpendo i principali corridoi di trasporto e le economie dei paesi confinanti.

Le immagini mostrano come i tentativi di manifestare siano stati generalmente repressi dalla polizia, anche quando a scendere in strada sono state le classi medie delle città. Sui social network sono circolati video di lancio di gas lacrimogeni contro giornalisti e abitazioni, ma anche filmati che documentano atti sproporzionati o disorganizzati da parte delle Unità di intervento rapido, la polizia militare. Giovani sono stati raggiunti anche da proiettili veri, sparati con noncuranza da agenti di polizia, mentre alle vittime di queste violenze non è stata data assistenza.

Le organizzazioni della società civile contano più di 20 morti e centinaia di feriti dal giorno del voto. Anche gli Ordini dei medici e degli avvocati hanno criticato con forza nei confronti le azioni della polizia. Alla violenza delle forze di sicurezza seguono poi atti di vandalismo da parte della popolazione, in particolare blocchi stradali, rogo di pneumatici e distruzione di infrastrutture. In alcuni casi, si sono verificati saccheggi. I principali obiettivi sono state le sedi del partito Frelimo (il partito uscito vincitore dal conteggio ufficiale delle elezioni, al potere da 50 anni), le residenze di membri della polizia o le installazioni di aziende di telecomunicazioni (in risposta alle ripetute restrizioni nell’accesso a internet avvenute nelle ultime settimane).

I video condivisi sui social network mostrano anche come le marce siano state più ordinate nei comuni amministrati da partiti dell’opposizione (come Beira e Quelimane). In alcuni casi i poliziotti hanno anche accompagnato i manifestanti in momenti di convivenza pacifica.

Altrimenti la reazione della polizia è stata violenta. Questo comportamento ha catalizzato la rivolta popolare, aggravando il sentimento anti-Frelimo. Agenti sono stati linciati o insultati dalla popolazione, accusati di essere criminali, trasgressori della legge e abusatori dei diritti della popolazione.

Il prolungamento della protesta per una settimana da parte di Mondlane ha aumentato l’adesione popolare e l’aspettativa di un cambiamento politico reale. Da una località segreta del Sudafrica, il leader dell’opposizione organizza dirette quotidiane, con lunghi discorsi, a volte demagogici, di denuncia politica e ma anche di amplificazione di voci non verificate che circolano sulle reti sociali. Così come il partito di governo, neanche il movimento di Mondlane presenta un’ideologia politica matura: sembra piuttosto voler fare leva su un sentimento e un obiettivo comuni: rovesciare il Frelimo, indicato come principale responsabile di decenni di esclusione sociale. Mondlane approfitta dello tsunami sociale che si è formato nel corso di decenni di emarginazione e che non presenta possibilità di inversione. Con un discorso di ispirazione religiosa, appellandosi anche al digiuno e alla preghiera per garantire la protezione divina, Mondlane, che è anche un pastore, si presenta come un messia, capace di ridare speranza ai suoi seguaci e di “liberare il Mozambico”.

Il letargo di Frelimo

L’entusiasmo e la capacità di mobilitazione dei membri dell’opposizione contrastano con la passività dei sostenitori di Frelimo. Capace di riunire grandi folle durante il periodo elettorale, il partito al potere presenta oggi difficoltà nel mobilitare i suoi simpatizzanti, anche nei luoghi dove, secondo i dati divulgati dalle istituzioni elettorali, ha ottenuto vittorie significative. Sui social network, la popolarità del presidente eletto Daniel Chapo non ha alcun confronto con quella di Mondlane.

Qualsiasi post del capo di stato in carica Filipe Nyusi sulla sua pagina Facebook genera migliaia di commenti critici, se non veri e propri insulti, da parte degli internauti. Il danneggiamento di una statua che raffigura il presidente in una scuola superiore a lui dedicata a Boane, a pochi chilometri dalla capitale, ha trovato una grande adesione collettiva. Con una certa ingenuità, i commentatori simpatizzanti della formazione al governo  inaspriscono i loro discorsi, spesso in modo provocatorio. In risposta, sui social network vengono pubblicati i loro indirizzi e le targhe delle loro auto, accompagnati da minacce di linciaggio.

C’è chi conta le armi

Con l’avvicinarsi della grande manifestazione convocata a Maputo, la società mozambicana si presenta sempre più polarizzata. Di fronte agli ostacoli all’esercizio dei diritti civili creati dal governo, Venâncio Mondlane ha decentralizzato la lotta politica, affidando l’iniziativa della protesta nei vari quartieri ai gruppi di suoi sostenitori. Attraverso i social network ha richiesto l’intensificazione delle manifestazioni per ieri e oggi, viglia della grande protesta di domani.

Nel suo messaggio, Mondlane esorta la popolazione a «esercitare il proprio diritto di autodifesa con tutti i mezzi disponibili». Le circostanze stanno galvanizzando gran parte della gioventù della capitale, che si farà presente in città con un movimento organizzato in modo non chiaro. In un ambiente gravido di tensione, giovani privi di speranza si dichiarano disponibili a morire per la loro libertà.

In questo contesto di estrema agitazione popolare, colpisce la passività del presidente Nyusi, che ha limitato la sua comunicazione alla nazione a un post su Facebook. Al ministro della Difesa Cristóvão Chume è stata invece affidata la responsabilità di spiegare, in tono intimidatorio e minaccioso, come i militari siano preparati a mantenere l’ordine domani 7 novembre. A un complesso problema di natura politico-economica, che meritava un intervento sensibile e unificante da parte del capo dello stato, il governo risponde in modo securitario: tagliando internet, controllando l’ingresso nella città di Maputo e mettendo l’esercito in strada.

Invece di riconoscere gli eccessi perpetrati dalle forze dell’ordine, che hanno generato grande rivolta popolare contro il governo, di visitare le vittime e promettere la protezione dello stato, il ministro ha proiettato una serie di video, accuratamente selezionati, per diffondere un’immagine del leader dell’opposizione come istigatore della violenza. Chume ha evidenziato l’alto morale dei militari mozambicani, contraddetto dai video che circolano sui social network, in cui soldati scontenti manifestano il loro sostegno alla rivolta popolare.

Nel pieno di questo clima di tensione, il direttore del servizi segreti locali (SISE), Bernardo Lidimba, è rimasto coinvolto in un “incidente stradale” mortale a Mapai, a più di 200 chilometri da Maputo, dando spazio alle più diverse teorie cospirative o sul tradimento verso lo stato. Dietro tutta l’apparente dimostrazione di forza, i fatti sembrano indicare che il sistema Frelimo si regge su un castello di carte. Tuttavia, l’esistenza di molti ex combattenti con addestramento militare e, eventualmente, detentori di armi nelle loro residenze, rende lo scenario molto poco prevedibile?

Bloody Thursday?

Gran parte dei mozambicani ha avuto esperienza diretta o indiretta della guerra civile, durata 16 anni fino al 1992. Per questo i mozambicani si stanno dimostrando particolarmente apprensivi davanti alla crescente radicalizzazione dei discorsi, senza che all’orizzonte sia visibile una soluzione politica. Il paese affronta la sfida immediata di evitare una tragedia nelle prossime manifestazioni previste per il 7 novembre. La concentrazione di centinaia di migliaia di giovani nelle arterie della città di Maputo, senza chiarezza in relazione all’orario, al percorso e alla destinazione, rischia di trasformarsi in un caos, soprattutto se si ripeteranno gli eccessi delle forze dell’ordine visti nei giorni scorsi.

Per evitare un giovedì di sangue, è nell’interesse del governo del Mozambico avvicinarsi ai promotori della protesta, con l’obiettivo di concordare un percorso e garantire le condizioni di sicurezza, come è accaduto in comuni come Beira o Quelimane. La disorganizzazione in un evento di questa dimensione rischia di compromettere la sicurezza di migliaia di mozambicani. Gli stessi che l’esecutivo e il leader dell’opposizione affermano di rappresentare. Se la giornata dovesse assumere i contorni della tragedia, a pagarne il prezzo sarà la coesione del tessuto sociale e l’unità nazionale, indipendentemente da chi effettivamente governerà il Paese.

* João Feijó è un sociologo mozambicano. Questo articolo é già apparso in portoghese su The Mozambique Times. È stato tradotto in italiano per Nigrizia dalla sociologa Elena Colonna. 

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