Guerra ai migranti: in 6 giorni l’Italia ha fatto rinchiudere nei lager libici 604 persone
Il bollettino della guerra ai migranti: dal 10 al 16 novembre grazie alle motovedette fornite dal governo italiano 604 persone catturate dai libici in mare. Anche 11 bambini
di Angela Nocioni da l’Unità
In soli sei giorni, dal 10 al 16 novembre, sono state catturate in mare e deportate nei lager libici 604 persone grazie all’assistenza diretta e alle motovedette (14 date negli ultimi due anni) che l’Italia dà alla Libia. Tra i 604 deportati ci sono 11 bambini e 34 donne. Questi i dati ufficiali forniti dalla Oim, Organizzazione internazionale per le migrazioni che fa capo all’Onu.
Da gennaio a oggi, soltanto per quanto riguarda le acque davanti alla Libia, i deportati sono stati 20.231 e gli affogati 1345 (830 dei quali rientrano nei dispersi). Ovviamente sono dati al ribasso a cui sfuggono le compravendite di esseri umani fatti dalla Guardia costiera libica composta non da marinai ma da banditi. I dati non includono né i tantissimi naufragi fantasma, né le deportazioni e gli affondamenti davanti alle coste tunisine fatti dalla Guardia tunisina. Sono i numeri della guerra che l’Italia combatte quotidianamente contro persone che non mangiano e non bevono da giorni stipate in barchini alla deriva in cui bambini muoiono di stenti prima ancora di finire in acqua. La guerra che ignoriamo, voltandoci tutti i santi giorni dall’altra parte.
Trascriviamo qui di seguito notizie riportate da Fulvio Vassallo Paleologo, giurista e attento osservatore della guerra ai migranti. Scrive Paleologo su A-dif (del Centro studi su diritti, informazioni e solidarietà): “Un’imbarcazione che trasportava oltre 20 persone, tutte di nazionalità siriana, è affondata al largo delle coste libiche, nella mattinata di mercoledì 20 novembre, mentre sarebbero stati pescatori a salvare alcuni dei migranti che stavano annegando. Da questa fonte si apprende quanto dichiarato dal Consolidated Rescue Group secondo cui l’imbarcazione che trasportava circa 25 rifugiati siriani, la maggior parte dei quali provenivano dalla provincia di Daraa, sarebbe affondata circa due ore dopo la partenza dalle coste di Tripoli, quindi probabilmente nella zona Sar impropriamente riconosciuta al governo di Tripoli, in acque internazionali. Il Consolidated Rescue Group ha pubblicato una registrazione in cui si vede un pescatore libico che è riuscito a salvare tre giovani siriani, e uno dei giovani sopravvissuti ha dichiarato che sono affondati mercoledì, alle 3,30, mentre altri due giovani apparivano distesi sul fondo della barca, completamente sfiniti. Da parte sua, la Horan Free League ha precisato che due ore dopo la partenza dell’imbarcazione dalle coste della capitale libica, Tripoli, l’acqua ha cominciato a penetrare all’interno dell’imbarcazione che è poi affondata. La Lega ha aggiunto che l’imbarcazione lunga circa sette metri (del tipo in fibra) con due motori, trasportava anche donne e bambini, e i pescatori sarebbero riusciti a salvare i superstiti dopo circa quattro ore, mentre diverse persone risultano ancora disperse. Un particolare agghiacciante, se confermato: i pescatori libici dopo avere effettuato il soccorso, avrebbero negoziato con le famiglie dei sopravvissuti ormai a bordo della loro barca, chiedendo soldi in cambio del loro rilascio se non della loro consegna alle autorità libiche”.
Nelle ultime settimane alcuni dei soccorritori con più esperienza nella flotta civile, quelli con un trascorso più lungo a bordo delle navi di soccorso delle ong, raccontano di aver notato gli effetti di un cambiamento nel modo di operare delle milizie della Guardia costiera libica. Si incontrano al largo della Libia più barchine vuote, con e senza motore (di solito i fuori bordo sono rubati e rivenduti dalla stessa Guardia libica) segno di un moltiplicarsi delle catture. Segno anche di un intervento più rapido dei miliziani, come se qualcuno li stesse più efficacemente del solito coordinando da terra oltre che dal cielo (che Frontex segnali ai libici i migranti in fuga fornendo posizioni e tracciati è attività nota e documentata).
Osserva invece Vassallo Paleologo: “Dal momento che Frontex costituisce uno snodo essenziale di questo meccanismo di deterrenza che opera sulla pelle di naufraghi che non vengono soccorsi dalle autorità statali, o che vengono riportati verso porti non sicuri, occorre che nei prossimi procedimenti che saranno intentati contro le ong che continuano ad operare soccorsi in acque internazionali sulla rotta libica, si propongano questioni di costituzionalità, o si richiedano rinvii per questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia dell’Unione europea. Per valutare la compatibilità del Decreto legge Piantedosi (legge n.15/2023), e delle prassi operative che ne sono derivate, con le prescrizioni del regolamento Frontex n.656 del 2014, che impongono un rigoroso rispetto delle Convenzioni internazionali di diritto del mare, che sanciscano la priorità del soccorso sulle attività di contrasto dell’immigrazione irregolare e impongono lo sbarco in un porto sicuro (dei naufraghi soccorsi in acque internazionali”.
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