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Chiudere tutti i Cpr

L’appello del Tavolo asilo e immigrazione. In occasione della Giornata mondiale per i diritti umani del 10 dicembre, oltre 40 organizzazioni della società civile chiedono la chiusura dei Centri di permanenza per il rimpatrio. In un dettagliato rapporto danno conto delle visite svolte nelle strutture da cui sono emerse gravi violazioni dei diritti delle persone rinchiuse. Intanto, il governo italiano è in ritardo nel processo di implementazione del nuovo Patto per le migrazioni e l’asilo

di Luca Rondi da altreconomia

“I Cpr vanno chiusi”. Senza mezze misure le oltre quaranta organizzazioni della società civile del Tavolo nazionale asilo e immigrazione (Tai) chiedono la fine dei Centri di permanenza per il rimpatrio. Lo fanno dalla sede nazionale della Cgil di Roma in occasione della Giornata mondiale per i diritti umani del 10 dicembre, presentando il report “Cpr d’Italia: porre fine all’aberrazione” che dà conto degli accessi effettuati il 15 aprile 2024 in otto centri, ma più in generale, fa il punto sullo stato di salute della detenzione amministrativa in Italia. “La situazione nelle strutture è apparsa particolarmente problematica -spiega Filippo Miraglia, responsabile nazionale immigrazione dell’Arci-. Queste criticità denunciano una gestione sistematicamente carente dei Cpr, che non solo compromette la tutela dei diritti fondamentali dei trattenuti, ma rende anche impossibile un monitoraggio indipendente e trasparente, ostacolando ogni tentativo di miglioramento”.

Come già emerso in oltre vent’anni di inchieste, denunce e rapporti -l’abbiamo raccontato anche nel nostro saggio “Gorgo Cpr“- le visite agli otto Cpr hanno confermato che le condizioni di trattenimento sono caratterizzate da sovraffollamento delle unità di alloggio, isolamento alternato e mancanza di privacy, qualità dei pasti scadente e dannosa, condizioni igienico-sanitarie critiche, mancanza di protocolli di collaborazione con enti sanitari e associazioni di volontariato, carenza di personale specializzato quale mediatori culturali, psicologi e personale sanitario. “Questi fattori evidenziano un clima di degrado e abbandono -aggiunge Miraglia- che colpisce i trattenuti con gravi ripercussioni sulla loro salute fisica e mentale, così come il personale dei centri”.

Il tutto a dei prezzi esorbitanti. Secondo lo studio “Trattenuti” di ActionAid e dell’Università di Bari riportato nel Rapporto, tra il 2018 e il 2023, il sistema ha comportato un costo di quasi 93 milioni di euro, di cui il 64% destinato agli enti gestori. Il costo medio annuo di una struttura si aggira sui 1,65 milioni di euro, con una spesa media per trattenuto di oltre 25mila euro l’anno. “Inoltre, secondo lo stesso studio, il sistema è inefficace -spiega Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano per i rifugiati (Ics)- dai dati raccolti nel periodo 2014-2023, a fronte di 279.231 provvedimenti di allontanamento emessi, i rimpatri effettivi dai Cpr rappresentano una percentuale minima, raramente superiore al 10%. Sebbene dal 2018 al 2023 la media dei rimpatri rispetto agli ingressi nelle strutture sia del 47,6%, tale dato è fortemente distorto dalla prevalenza di cittadini tunisini, che costituiscono quasi il 70% dei rimpatriati grazie agli accordi bilaterali con la Tunisia. Per le altre nazionalità, la percentuale di rimpatri scende sotto l’8%”.

Il tema della tutela della salute delle persone rinchiuse si è di nuovo rivelato estremamente critico. “Le delegazioni hanno registrato condizioni sanitarie precarie, con servizi medici insufficienti e abuso nella somministrazione di psicofarmaci e la mancanza o l’inadeguatezza di protocolli sanitari che aggravano i problemi di salute dei trattenuti -aggiunge Schiavone-. Le pessime condizioni fisiche e mentali dei trattenuti nei Cpr sono correlate a numerosi episodi di suicidio e autolesionismo riportati in vari centri”. Tutte queste criticità portano il Tai a sottolineare come ciò che connota questi luoghi “non è un’inefficienza gestionale bensì un’aberrazione strutturale costituita da un sistema di compressione delle libertà dell’individuo le cui finalità reali risultano del tutto diverse da quelle pubblicamente dichiarate”. Ed è per questo motivo che secondo Miraglia “il primo e più importante risultato di questo lavoro congiunto tra la società civile e i rappresentanti politici, che registriamo con favore, è quello di far emergere i problemi strutturali della detenzione amministrativa e portare i partiti dell’opposizione sulle nostre posizioni, per la chiusura della stagione del diritto speciale dello straniero”. Alla presentazione del rapporto il 10 dicembre erano presenti diversi parlamentari e senatori dell’opposizione, da Alleanza Verdi e Sinistra a Più Europa, fino a una nutrita delegazione del Partito Democratico.

In questo contesto incide poi il nuovo Patto per le migrazioni e l’asilo adottato dal Parlamento europeo nell’aprile 2024. Le nuove regole comunitarie, infatti, rischiano di tradursi in un ulteriore incremento dell’uso della detenzione amministrativa con la trasformazione dello “straordinario” in “ordinario”: “Le procedure di frontiera e le procedure accelerate -che implicano un esame rapido e sommario delle richieste di asilo, basato principalmente sulla provenienza geografica e non sulla storia individuale, contrariamente a quanto stabilito dal diritto di asilo- diventano obbligatorie in molte circostanze”, scrivono gli autori del report. Nell’attesa dell’esito della richiesta di protezione internazionale le persone dovranno “rimanere a disposizione” delle autorità per massimo 12 settimane in centri che sorgeranno vicino ai punti di sbarco ma non necessariamente solo in quelle zone. Il legislatore non fa esplicito riferimento alla detenzione ma i rischi che questo poi succeda nei fatti è elevatissimo. “Il meccanismo dello screening e quello della procedura accelerata -scrive il Tai- rischiano di trasformare i sistemi di accoglienza degli Stati in sistemi di detenzione, istituzionalizzando un modello già sperimentato in modo fallimentare nelle isole greche”.

Resta poi il nodo del numero dei posti, sul quale è utile fare riferimento alla simulazione proposta dalla ricercatrice Daniela Movileanu per il Forum per cambiare l’ordine delle cose. Nel 2023, ad esempio, secondo le nuove regole del Patto, il totale delle persone finite in procedura di frontiera sarebbe stato pari a circa 94mila a fronte di 2.938 posti disponibili nei Cpr e negli hotspot. “L’Italia dovrebbe aumentare la propria capacità detentiva di oltre dieci volte quella attuale”, si legge nel rapporto.

Il Governo Meloni avrebbe dovuto presentare entro il 12 dicembre 2024 il “Piano di implementazione” del Patto europeo. Non succederà, i tempi saranno più lunghi. Lo ha confermato il 9 dicembre il prefetto Laura Lega a capo del dipartimento Libertà civili e immigrazione che ha incontrato alcuni esponenti della società civile, promotori della “Roadmap per il diritto d’asilo e la libertà di movimento”. “Abbiamo avuto la conferma che non sono state previste azioni consultive, come invece richiesto dal Parlamento, per la stesura del piano di implementazione -spiega Giovanna Cavallo, del Forum cambiare l’ordine delle cose (qui il comunicato stampa completo)-. Nell’incontro purtroppo non sono state illustrate le bozze del programma in via di elaborazione. Questa mancanza di trasparenza e confronto è preoccupante e abbiamo chiesto con determinazione l’apertura di percorsi di confronto concreto sulle azioni che il governo dovrà intraprendere”.

 

 

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