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Il Natale dei gatti neri

Ancora sopravvive una filosofia occidentale che, nonostante i fallimenti di quest’ultimi cinquanta sessant’anni, si ripropone quotidianamente a testa alta, come se niente fosse

di Marco Sommariva

Desideravo avvisarvi che ci stiamo avvicinando al giorno di Natale; dico questo perché, magari, vi sono sfuggite le migliaia di spot pubblicitari che invitano all’acquisto oppure non avete notato le luminarie o una certa frenesia nel comprare cibo e quant’altro nei supermercati.

Lo so, sono giorni difficili, e più s’avvicina la meta più si fatica. Si fatica in generale, pure a respirare.

Lo so, è difficile da sopportare, si vorrebbe scappare dalla moglie che puzza di brodo vegetale e dal cane che piscia sui fogli di giornale.

Lo so, viene spesso il magone a pensare a tutte quelle persone, coi pacchi dei regali, con le facce tutte uguali, col boccone sempre in bocca come un branco di maiali.

Lo so, la voglia è quella di correre e scappar via, essere ostaggi della nostra fantasia.

Lo so, si ha una folle tentazione di fermarsi a una stazione, a pregare perché esploda il panettone.

Lo so, tuo fratello è in ospedale sono giorni che sta male, Elio al gioco s’è sparato mi stupisco sempre più e Angelo, drogato, non mi riconosce più.

Ma sfangheremo anche questo e, come gli anni precedenti, verrà il momento che ci fermeremo un secondo e rimarremo così, a pensare che il peggio è passato a un passo da qui.

Da Brunori Sas a Piero Ciampi a Lucio Dalla, la musica in generale aiuta a sopportare momenti del genere, in cui ci si sente accerchiati da orde di barbari disposte a lottare sino all’ultimo sangue per accaparrarsi ciò che rende il giorno di Natale esattamente come dev’essere, e chi se ne frega se poi questo “come dev’essere” neppure ci si ricorda chi l’ha imposto: neanche più ci si pone la domanda.

L’eco di quel boom consumistico esploso nel dopoguerra, pare non voler spegnersi, anzi, sembra ci abbia resi sordi a qualsiasi ammonimento.

Una sordità che imbambola, rende passivi, ma che svanisce quando ci si getta nell’unica avventura rimasta, le compere nelle zone commerciali: “Le persone, di solito così silenziose e ubbidienti sui tram, così docili e passive sul lavoro, così imbambolate e informi nelle loro case, qui, nei corridoi gremiti del livello acquisti, si trasformavano in aggrovigliate, frenetiche mandrie di animali dallo sguardo selvaggio. Fare le compere nelle zone commerciali era in fondo il loro unico vero sport; sciamare tumultuosamente lungo i corridoi la loro unica avventura” – da THX 1138 di Ben Bova.

Oltre la musica, anche la lettura aiuta molto in queste situazioni. Scrive Paolo Villaggio in Fantozzi: “A casa la signora Pina gli preparò una minestra calda. Lui si sedette a tavola con uno sguardo da pazzo e diede la prima cucchiaiata. La moglie lo guardò e gli disse: “Buon Natale, amore!”. In quel momento l’albero si abbatté sulla tavola con violenza, centrò Fantozzi in piena nuca e lui tuffò la faccia nella minestra rovente. Si provocò ustioni di quarto grado. Non gli uscì un lamento: più tardi, nel buio della stanza da letto, pare che abbia pianto in silenzio con grande dignità”.

È lo stesso attore e scrittore genovese a far cenno al boom consumistico in un’intervista https://youtu.be/sv8oiLC4hSs?si=tgiyvY5Zco5ig-hD rilasciata alla Televisione Svizzera nel 1975: “Il piccolo Fantozzi, l’omino che per anni è vissuto nel boom consumistico, ha ricevuto dai mass-media, cioè dalla televisione, dai settimanali e da tutte le informazioni possibili, uno stimolo preciso, quasi un ordine a consumare, ad acquistare, a vivere secondo determinati schemi, e lo schema di questa filosofia era precisissimo: attento!, che se compri e ti attrezzi in determinati modi, cioè secondo la chiave consumistica, potrai essere felice, vivrai in un mondo che sarà felice e contento per mille anni. Improvvisamente, invece, un crack strano; insomma, tutto questo sistema meraviglioso, pieno di promesse, questo mondo fiabesco si è incrinato: è bastato che nel Medio Oriente una forte tensione internazionale chiudesse i rubinetti del petrolio perché tutta la grande economia mondiale entrasse in crisi”.

Villaggio fa riferimento al periodo a cavallo tra il 1973 e il 1974 quando, in seguito alla crisi petrolifera, diversi governi del mondo occidentale, tra cui l’Italia, emanarono disposizioni per contenere drasticamente i consumi energetici: ricordo, per esempio, che ci si metteva d’accordo tra parenti per uscire insieme nei giorni festivi, con l’auto che poteva circolare senza prendere la multa – una domenica toccava alle macchine con targhe che terminavano col numero pari, quella dopo era il turno delle dispari.

Oggi come oggi pare che il consumare, l’acquistare, il vivere secondo determinati schemi, siano azioni che non si riescano a fermare, neppure a rallentare.

Di questa società dei consumi ne parlava anche Pier Paolo Pasolini nel ’74: “Questo nuovo fascismo, questa società dei consumi […] ha profondamente trasformato i giovani, li ha toccati nell’intimo, ha dato loro altri sentimenti, altri modi di pensare, di vivere, altri modelli culturali. Non si tratta più, come all’epoca mussoliniana, di una irregimentazione superficiale, scenografica, ma di una irregimentazione reale che ha rubato e cambiato loro l’anima. Il che significa, in definitiva, che questa “civiltà dei consumi” è una civiltà dittatoriale. Insomma se la parola fascismo significa la prepotenza del potere, la “società dei consumi” ha bene realizzato il fascismo” – da Scritti corsari.

Spesso ho sentito dire che è il desiderare indotto a fregarci; pare, però, che anche il contrario, il non dover desiderare nulla, addirittura il disprezzare la vita quotidiana del classico consumatore occidentale, non porti a risultati troppo incoraggianti: “Noi siamo la schifosa generazione postsovietica, non abbiamo nulla, né obiettivi né principi, ma un secolo di comunismo ci ha lasciato in eredità la nostalgia. L’uomo sovietico non doveva desiderare nulla. Vita personale, gioie della vita quotidiana, pubblici piaceri e divertimenti, tutto ciò che motiva la vita del consumatore occidentale suscitava scherno e disprezzo. L’uomo-gigante sovietico viveva per sacrificare la propria semplice e onesta vita: in cantiere, in un gulag, in trincea, in miniera, in una famiglia numerosa, in una schifosa palazzina chrusceviana. La vita come impresa, sacrificio. Non serve Gesù, quando lo sono già tutti quanti. È passato tempo e ora ci sono rimasti soltanto un abisso di disprezzo e cinismo, “nichilismo pragmatico” e fiacca brama di possesso” – da Esodo di Dj Stalingrad.

Il consumatore occidentale… la “prosperità” occidentale… e mentre noi occidentali consumiamo in eccesso, quasi tutto il resto del mondo affonda sempre più nella rovina: “Noi non ci facciamo indurire le coronarie ingozzandoci di una quantità di grassi superconcentrati sei volte superiore al necessario. Non ipnotizziamo noi stessi convincendoci che due televisori ci renderanno due volte più felici di un solo televisore. E infine, non spendiamo un quarto del reddito lordo nazionale preparandoci alla terza guerra mondiale, o anche alla sorellina della guerra mondiale, la tremiladuecentotrentatreesima guerra locale. Gli armamenti, l’indebitamento universale e lo scarto pianificato dei prodotti superati: sono questi i tre pilastri della prosperità occidentale. Se la guerra, lo spreco e gli usurai venissero aboliti, voi crollereste. E mentre voi occidentali consumate in eccesso, il resto del mondo affonda sempre più profondamente nel disastro cronico” – da L’isola di Aldous Huxley.

Scrive bene uno dei miei editori, Pippo Gurrieri, nel suo libretto – per dimensioni, non per importanza – L’anarchia spiegata a mia figlia: “I beni derivanti dal sistema consumistico sono effimeri, servono ad addormentare le coscienze, a spegnere gli impulsi della ragione. Oltre tutto non realizzano la felicità dell’uomo ma solo un surrogato di questa, molto fragile. Se grattiamo oltre la scorza del benessere troviamo i problemi di sempre: rassegnazione, noia, insoddisfazione, frustrazione. Non è un caso che nelle società cosiddette progredite il mestiere dello psicanalista vada per la maggiore”.

E allora, specie per rispondere al continuo aumento delle condizioni di disagio psicologico dei più giovani – depressione, ansia e stress –, ci s’inventa il Bonus psicologo, ma non sarà semplice salvare questi ragazzi perché, come scriveva Raoul Vaneigem nel Trattato del saper vivere, “Il teen-ager porta le prime rughe del consumatore. Poche cose lo separano dal sessantenne; egli consuma sempre più rapidamente, guadagnando una vecchiaia precoce al ritmo dei suoi compromessi con l’inautentico. […] Molte cose lo separano dai bambini ai quali ancora ieri si mescolava”.

In questo libro del situazionista belga, è anche possibile trovare la risposta al perché ci ostiniamo a consumare a un ritmo frenetico: “La facoltà di consumare molto e a cadenza rapida, cambiando macchina, alcool, casa, radio, donna, indica ormai sulla scala gerarchica il grado di potere al quale ciascuno può pretendere”.

La frenesia del consumo è pericolosa per tanti motivi; tra questi, il mettere a repentaglio il nostro bisogno di libertà, di riflettere, leggere, dedicare tempo ai nostri cari: “[…] poter vivere con poco […] procura […] prendersi il proprio tempo. Sappiamo che il tempo oggi è per molti una merce rara, che si paga a caro prezzo. Ma perché? Perché il bisogno di comodità e comfort, per la maggior parte della gente, prevale alla grande sul bisogno di essere liberi, di riflettere, di leggere, di scrivere (nel mio caso), di dedicare tempo agli amici e perfino di giocare con i propri figli. La frenesia del consumo è un nemico pericoloso per chi vuole soddisfare il suo bisogno di libertà” – Bisogno di libertà di Bjorn Larsson.

D’altra parte, cosa c’è di più rivoluzionario al giorno d’oggi del sedersi sul divano e leggere un libro mentre il resto del mondo fa a sportellate in un Outlet? Cosa c’è di più sovversivo che sottolineare una frase illuminante di un romanzo, prendere appunti su ciò che si sta leggendo, scrivere un ragionamento nato dalle parole di qualcun altro, piuttosto che far svuotarsi quelle tasche che per riempirle, sempre ammesso ci si sia riusciti, abbiamo speso centinaia di ore del nostro preziosissimo tempo? Ci sarà un motivo se ci preferiscono imbottigliati nel traffico coi bagagliai pieni di merce che non ci occorre, rispetto a saperci su un divano a leggere: “Non si può consumare molto se si resta seduti a legger libri” – da Il mondo nuovo di Aldous Huxley.

Si consuma tantissimo, invece, se si frequentano i Centri commerciali: “Nella facciata del Centro [commerciale] un nuovo e gigantesco cartellone proclamava, TI VENDEREMMO TUTTO QUELLO DI CUI TU HAI BISOGNO SE NON PREFERISSIMO CHE TU ABBIA BISOGNO DI CIÒ CHE VENDIAMO” – da La caverna di José Saramago.

Non si può consumare molto se si resta seduti a leggere, ma si può pensare tanto, specie se il libro che si ha in mano è il già citato Scritti corsari di Pasolini, che racconta dove porterà questa nostra rassegnazione, l’accettazione della civiltà borghese capitalistica: “L’accettazione del fascismo è stato un atroce episodio: ma l’accettazione della civiltà borghese capitalistica è un fatto definitivo, il cui cinismo non è solo una macchia, l’ennesima macchia nella storia della Chiesa, ma un errore storico che la Chiesa pagherà probabilmente con il suo declino. […] il nuovo potere borghese infatti necessita nei consumatori di uno spirito totalmente pragmatico ed edonistico: un universo tecnicistico e puramente terreno è quello in cui può svolgersi secondo la propria natura il ciclo della produzione e del consumo. Per la religione e soprattutto per la Chiesa non c’è spazio” – questa volta l’estratto è datato 1973.

Ancora Vaneigem, sempre dal Trattato del saper vivere: “Se i borghesi preferiscono l’uomo a Dio, è perché egli produce e consuma, acquista e fornisce”.

Non solo Pasolini e Vaneigem, anche un “insospettabile” aveva inteso che qualcosa non andava, e l’aveva capito prima di loro: proprio il giorno di Natale del 1969 – l’anno dopo le contestazioni studentesche, quando i giovani non si riconoscevano più nei valori dei padri –, durante l’ultima lezione di un ciclo di conferenze radiofoniche, Ratzinger affermava che “Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diventerà piccola e non sarà più in grado di abitare gli edifici che ha costruito in tempi di prosperità”. https://www.ilfoglio.it/chiesa/2024/07/02/news/senza-preti-ne-fedeli-la-chiesa-e-costretta-a-ripensarsi-6705483/

Allora sembrava una realtà lontana oggi, invece, il processo è sotto i nostri occhi.

Nell’intervista citata prima, anche Villaggio fa cenno alla contestazione giovanile dell’epoca per poi ragionare sulla “filosofia occidentale”: “Questa società nella quale viviamo è giusta o non è giusta? Il sospetto di tutti, soprattutto dei giovani che hanno cominciato a contestare e a rimettere in discussione tutto… abbiamo forse sbagliato obiettivo? È davvero questo tipo di società consumistica, piena di frigo, di televisori a colori, di beni di consumo, di polaroid, di macchine, la felicità? No, la verità è che tutti si sono accorti che è il diavolo, che è l’opposto, questo tipo di felicità è altamente infelice, ed ecco che l’italiano medio, a mio avviso, […] si è riconosciuto nell’infelicità di Fantozzi. […] Il momento è questo, il momento è la nevrosi pura, cioè, forse la nostra cultura, la nostra filosofia, la filosofia occidentale ha mancato l’obiettivo: è il momento di tirare i remi in barca e di fare il punto. Vediamo, insomma. Forse abbiamo sbagliato. […] In questo momento tutti siamo coinvolti in questa orrenda avventura che è questo errore, a mio avviso catastrofico, che è la filosofia occidentale […]”.

Una filosofia occidentale che, nonostante i fallimenti di quest’ultimi cinquanta sessant’anni, si ripropone quotidianamente a testa alta, come se niente fosse; oltretutto, essendo pregna di falsità e ipocrisia, chiedendo anche di sederci il giorno di Natale intorno a un tavolo insieme a gente che mal si è sopportata tutto l’anno, a quelle persone coi pacchi dei regali e con le facce tutte uguali, col boccone sempre in bocca come un branco di maiali.

Pur ammettendo le infinite sfumature che indubbiamente esistono anche in contesti come questo, il Natale è un po’ per tutti una giornata… diciamo così… “difficile”, e lo è dalla bellezza di almeno centoventicinque anni, oltre un secolo! Non mi credete? Leggete cosa scriveva Jack London la mattina di Natale del 1898; sono estratti da una lettera destinata a Mabel Applegarth, uno dei suoi primi amori: “Del Natale più solitario che abbia mai affrontato – suppongo che non dovrei scriverti. Non c’è niente di cui parlare – se non che tutto è tranquillo. Come vorrei […] nessuno con cui parlare, nessun amico a cui far visita […]. Oggi è Natale – è in periodi come questo che il vagabondaggio della mia natura soccombe al gusto latente della vita domestica. Lontano dai tanti angoli di questo mondo rotondo! Sono sordo al richiamo di Oriente e di Occidente, di Nord e di Sud […]. Una piccola e confortevole casetta, un paio di domestici, una scelta cerchia di amici, e soprattutto, una piccola moglie ordinata e un paio di piccoli modellini di noi due – le calze appese ieri sera, un’allegra sorpresa questa mattina, il geniale scambio di auguri di natale; lo scambio degli auguri; un focolare accogliente; i bimbi assonnati che si abbracciano sul pavimento pronti per andare a letto, una sorta di sognante comunione tra il fuoco, mia moglie e me stesso; la prospettiva di un sicuro, anche se calmo e monotono, futuro; una soddisfacente conoscenza delle tante amenità della vita civilizzata che sono mie e che saranno mie; una geniale, ottimistica contemplazione. […] Rinuncerò ai miei dogmi e, d’ora in poi, adorerò il vero dio. ‘Non c’è un Dio, ma il Caso, e la Fortuna è il suo profeta!’ Chi si ferma a pensare o a generare un sistema è perduto. Come in altre credenze, la fede da sola è atona.” – da Solitudine a Natale.

Concludendo, per noi propongo questo slogan: “Non intendiamo affatto consumare, e spendere, e rammollirci […]” – da La brava terrorista di Doris Lessing.

Come sarebbe a dire… chi sono quei “noi” dello slogan? Siamo noi, siamo in tanti, ci nascondiamo di notte per paura degli automobilisti, dei linotipisti, siamo i gatti neri, siamo pessimisti, siamo i cattivi pensieri.

 

www.marcosommariva.com

 

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