Più agenti e militari nelle classi. La scuola militarizzata di Valditara. Poliziotti, protocolli e concorsi
Valerio Cuccaroni – insegnante da il Domani
Il protocollo d’intesa, firmato il 21 novembre ma finora non pubblicato, tra ministero dell’Istruzione e Dipartimento per la pubblica sicurezza del ministero dell’Interno, punta a «contribuire alla formazione dei giovani, promuovendo la cultura della legalità e del rispetto delle regole, perché diventino protagonisti responsabili della propria vita e cittadini consapevoli della società civile».
Ma cosa si farà per raggiungere questo obiettivo? Si scopre leggendo l’articolo 2 dell’atto, dove i ministri Giuseppe Valditara e Matteo Piantedosi si impegnano a promuovere, per i prossimi tre anni, «un programma pluriennale di attività volto alla promozione e alla diffusione della cultura della legalità, del rispetto delle regole, del dialogo tra le culture e della conoscenza della Carta costituzionale, promozione dei temi dell’educazione e sicurezza stradale». È evidente quanto stridano questi proclami, in particolare quello sul protagonismo giovanile, mentre il 51,4% dei ragazzi soffre in modo ricorrente di stati di ansia o tristezza prolungati, secondo un sondaggio dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza. Si moltiplicano le iniziative per portare nelle scuole esercito e polizia ma invece di soldati e poliziotti ci vorrebbero più docenti, più psicologi e più fondi per ridurre il numero di alunni per classe.
Caro Babbo militare
Oltre che per le forze dell’ordine, il governo cerca proseliti tra le nuove generazioni anche per rimpolpare le forze armate ed ecco spuntare un bando per il miglior tema sul Militare italiano. Il ministero dell’Istruzione ha infatti lanciato il concorso nazionale sul ruolo delle Forze armate e del Militare italiano «a favore della sicurezza nazionale ed internazionale e sul significato dei principi di libertà e democrazia dagli stessi interpretati alla luce della Carta costituzionale».
Destinato alle studentesse e agli studenti delle scuole superiori scadrà il 28 febbraio. Quale miglior periodo tra Natale e Carnevale per elaborare un’opera scritta, grafica o multimediale, sulla figura del «Militare italiano nel passato e nel presente, con particolare riferimento al suo ruolo nella società civile»? Il titolo potrebbe essere: “Caro Babbo Militare, regalami un bel caccia bombardiere”. Come quello che riceve una bambina svedese per dono, in uno spot natalizio pubblicato della Nato.
Agli studenti che decidessero di partecipare al concorso, dato che l’opera deve essere realizzata «alla luce della Carta costituzionale», va segnalato che la scelta del termine “ripudia”, invece che “rinuncia”, nell’articolo 11 della Costituzione dedicato alla guerra, «racchiude in sé la condanna morale verso gli orrori causati dalla Seconda guerra mondiale e, soprattutto, il rifiuto di ogni propaganda militarista, di politiche e ideologie che giustifichino o nobilitino l’uso della guerra, oltre che come alternativa legittima allo sforzo diplomatico e al dialogo in caso di controversie internazionali».
Lo ricorda Save the children nell’articolo Come parlare di guerra a scuola e cosa c’entra l’articolo 11 della Costituzione. «I padri e le madri costituenti – continua l’organizzazione – stabilirono una rottura netta col passato, (quando) nazionalismo e imperialismo avevano portato al vicolo cieco della guerra totale». Com’è possibile, allora, che il ministero promuova un concorso di chiara matrice militarista per spingere dei minorenni a considerare «il Militare italiano nella storia, nella letteratura, nella musica, nella cultura popolare e nell’arte: esempi e modelli da imitare»?
La scuola va alla guerra
Per Antonio Mazzeo, docente siciliano tra i fondatori dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, «il processo di militarizzazione dell’istruzione appare inarrestabile anche perché alimentato dai venti di guerra globale che soffiano in Europa e in Medio Oriente». «Mai come adesso insegnanti ed educatori sono chiamati a ostacolarlo e opporsi. Ricordiamo Don Milani: l’obbedienza non è mai una virtù», dice l’attivista. Nel suo libro La scuola va alla guerra (manifestolibri, 2024), Mazzeo ricostruisce la storia di questo “processo inarrestabile”, individuandone l’inizio in una quindicina di anni fa. Allora l’Italia si è inserita in una traiettoria tracciata dagli Stati Uniti, a partire dalla lezione degli anni Sessanta e Settanta: «Il movimento giovanile di massa che si oppose alla guerra in Vietnam – spiega Mazzeo – ha dimostrato che bisogna ottenere il massimo consenso per legittimare lo stato di guerra, soprattutto tra le nuove generazioni».
Nel sito osservatorionomilscuola.com si denunciano i casi di militarizzazione dell’istruzione, come l’incentivo a rivolgersi, in questo periodo in cui si deve scegliere come proseguire gli studi, alle varie accademie militari: la Nunziatella e la Teulié dell’Esercito a Napoli e Milano, la Douhet per l’Aeronautica a Firenze e la Morosini per la Marina a Venezia, che offrono il triennio classico e scientifico a coloro che tra i 15 e i 16 anni concludono il primo biennio.
Quale Ifts?
Altro fenomeno allarmante, segnalato dell’Osservatorio, è la collaborazione tra forze armate e industria, in particolare Leonardo che, come indicato dal ministro della Difesa Guido Crosetto, punta sulla «ricerca di economie di scala e sulla capacità di operare e addestrarsi insieme ad alleati e partner internazionali come essenziale per affrontare sfide emergenti, anche attraverso la creazione di poli addestrativi all’avanguardia, come l’International Flight Training School». Non sfugga l’acronimo Ifts, scelto per inaugurare la Scuola di Volo internazionale dell’Aeronautica Militare: è lo stesso dei corsi di Istruzione e formazione tecnica superiore (Ifts), consistenti per almeno il 30% delle ore in tirocini aziendali, che sono rivolti ai diplomati, in alternativa all’università. Una confusione tra industria bellica e formazione che se non fosse voluta, di certo non è evitata.
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