Menu

Nelle carceri la strage continua

Sei suicidi da inizio anno nelle carceri. Amnistia e indulto, parole bandite. La premier Giorgia Meloni in conferenza stampa conferma la scelta del populismo penale

Ad inizio 2025 nelle carceri italiane si contano già 5 detenuti e un operatore suicida. L’ultimo dramma si è registrato a Regina Coeli, a Roma, dove un ragazzo rumeno di 23 anni si è impiccato mercoledì notte, appena pochi giorni dopo l’arresto per rapina e altri reati contro il patrimonio. In questi primi giorni dell’anno, un sesto recluso si è tolto la vita in una Rems (le residenze per i rei affetti da disturbi mentali), e altri due sono morti per altre cause.

Per Giorgia Meloni e il suo governo il ricorso all’amnistia o all’indulto per alleviare il sovraffollamento carcerario e l’intasamento delle aule di giustizia in attesa di auspicate riforme strutturali non sono “un modo serio di risolvere il problema”. Rispondendo alla domanda di una giornalista di Radio Popolare durante la conferenza stampa di inizio anno, la presidente Meloni mette il sigillo supremo sulla presa di posizione più volte esplicitata dal ministro di Giustizia.

Ma, la prima risposta da dare alla strage di vite e diritti nelle carceri è la riconduzione immediata della popolazione carceraria alla capacità degli istituti. L’hanno riconosciuto il presidente del Senato, il vicepresidente del Csm. Se il 2024 è stato l’annus horribilis delle morti e dei suicidi in carcere, questo è iniziato peggio. “L’alto numero di suicidi è indice di condizioni inammissibili”, ha detto il Presidente Mattarella nel messaggio di fine anno agli italiani, aggiungendo che il sovraffollamento contrasta con “norme imprescindibili sulla detenzione in carcere” e “rende inaccettabili anche le condizioni di lavoro del personale penitenziario”.

Inutile ricordarle che di amnistia parla anche Papa Francesco nella bolla di indizione del Giubileo perché, fa notare la premier, è un appello urbi et orbi senza alcun peso politico specifico. Contrariamente a Carlo Nordio, però, Meloni non dice che ogni atto di clemenza è un “inutile segno di debolezza dello Stato” ma conferma la strada già delineata dal suo governo. La soluzione, secondo la premier, sarebbe “da una parte ampliare la capienza delle carceri”, dall’altra cercare di “rendere più agevole ad esempio il passaggio dei detenuti tossicodipendenti nelle comunità”.

A questo scopo infatti il Decreto carceri ha istituito un albo di comunità dove detenuti tossicodipendenti possano scontare la pena (ma l’elenco è scarno e la norma è rimasta lettera morta). E a settembre Marco Doglio è stato nominato Commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria con una dote di 36 milioni di euro e la missione (rimasta al palo) di ricavare nuove celle da vecchi edifici. Molte le reazioni di sconcerto alle parole di Meloni, dal portavoce dei garanti territoriali dei detenuti Ciambriello che ribadisce il concetto della detenzione come extrema ratio, all’associazione Coscioni che ha diffidato 102 Asl per la violazione del diritto alla salute dei detenuti. Mentre il vescovo ausiliario di Roma, mons. Ambarus, che ha accompagnato il Papa nell’apertura della porta santa a Rebibbia, auspica che Meloni si converta ad “approccio più umanitario” quando si parla di detenzione.

 

 

Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi sostenerci donando il tuo 5×1000 

News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp