La differenza di impostazione della carta stampata rispetto alle priorità informative con cui influenza tendenzialmente il proprio bacino di lettori a volte è formidabile.
Laddove sicuramente la certezza sono i dati di Istat e Coldiretti su uno scenario sociale che vede lo sbriciolamento costante e subitaneo delle residuali speranze di futuro per un milione di famiglie dentro questi asset sociali, c’è chi esalta le dichiarazioni di Renzi sul taglio degli F35, in quella che potremmo definire una perenne campagna elettorale che contagia (per ora) chi (ancora) non fatica ad arrivare a fine mese.
E poi c’è il triste editoriale sul Corriere che riprende le parole di Alfano sulla gestione del dissenso sociale nel post-12A , che hanno riscosso la scorsa settimana il plauso del gotha democr….
Con buona, anzi ottima lena servile, l’editoriale di Polito si avventura in un ipotetico imminente scenario da guerra civile: si riferisce alla durezza degli sgomberi della scorsa settimana nella capitale?
Parole al vento, buone per chi si esime e finge di non vedere (o non vede?) quanto ampia sia la fascia di non garantiti a cui questo Paese dall’incidere della crisi non solo non risponde, ma sovente attacca con politiche volte all’esclusione sociale che altrove sono state preludio di rabbia e contrapposizione conflittuale (il “commuoversi” per le ragioni e, si badi bene, le pratiche messe in campo nelle piazze globali non di questo Paese è divenuto il culmine dell’ ipocrisia 2.0: conflitto sì,purché lontano da casa).
Così, mentre questa conflittualità emerge faticosamente nel desolante pantano ereditato dalla desertificazione culturale neoliberista – di cui forse penne come quella di Polito vogliono assurgere a essere capofila -, questa rinnovata conflittualità si dimostra (al contrario dell’editoriale del CdS) capace di parlare direttamente a tutti coloro che si vedono praticamente tagliati fuori da qualsiasi possibilità di mediazione con la gestione politica della crisi.
L’editoriale del Corriere pone l’accento sulla legalità e il rispetto della Costituzione partendo dal precedente del 12 Aprile… come se la Costuzione materiale già non stravolgesse di fatto quella formale che gli stessi Governi dell’ austerità hanno cestinato e stravolto.
Come se questo Governo non abbia imposto di bypassarla senza la minima esitazione.. questi “dettagli ” Polito fa proprio finta di non vederli, condendo il suo stile scritturale perbenista con spettacolari inesattezze, come quella per cui i movimenti scenderebbero in piazza per sfidare la polizia, non per dare battaglia politica su tematiche precise e non derogabili riassunte nell’eloquente slogan “Casa, Reddito, Dignità”.
Con la sua banalizzazione e omissione del contesto politico-sociale, Polito si rende portavoce di quella guerra ai poveri a cui abbiamo accenato prima e dopo il 12A: l’importante é che ne prenda atto, e si renda conto di volere un ordine che fa dell’esclusione dalla vita sociale e sistematica repressione del dissenso all’austerità il suo tratto qualificante.
Se l’ “Ordine Pubblico” è quello che garantisce la devastazione dei territori, l’usurpazione dei beni pubblici, lo smantellamento di diritti e l’applicazione dei diktat imposti dalla Troika, ben venga la direzione del conflitto tracciata dal 12A e il provare una volta di più a metterlo in discussione, quest’ordine.
da InfoAut
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Mai come negli ultimi mesi le colonne dei giornali “normali” hanno ospitato attacchi frontali a chi non ha una casa. Centinaia di articoli, ad esempio, sfornati da Messaggero e Tempo, quotidiani romani, entrambi di proprietà di palazzinari, spesso “vittime” dei comitati di lotta per la casa che hanno avuto l’ardire di occupare stabili strappati al degrado per dare un tetto a famiglie disastrate dalla crisi e dal sottolavoro. E’ su quelle colonne di piombo che è stato allestito il copione recitato da pezzi della magistratura e ripreso da altre testate.
Sul berlusconiano Panorama una cronista, che una volta lavorava a Radio Popolare, ha inventato il romanzo nero di attivisti per il diritto all’abitare che taglieggerebbero i senzacasa per spassarsela in piscina. Poco importa se una piscina c’è ma è una di quelle gonfiabili, pochi euro in qualsiasi hard discount. Nulla a confronto di quella in cui vorrebbe nuotare la cronista. L’importante è strillare falsità, distillare teoremi a uso e consumo non tanto dei propri lettori quanto dei propri editori.
Tempo e Messaggero e Panorama non sono famosi, nell’immaginario popolare, per la tendenza a scrivere la verità ma la durezza dell’attacco, la sua portata generale, emerge quando a prendersene carico è il giornale della borghesia per eccellenza, il Corriere della Sera.
Sembra un’ovvietà ma va ripetuta ogni tanto. E’ il giornale che recita la “preghiera laica dell’uomo moderno”, avrebbe detto Hegel. Il Corriere della sera è proprietà di un patto complesso tra Fiat, Della Valle, Mediobanca, Banco Popolare, Pirelli & C, Benetton, Intesa Sanpaolo, famiglia Pesenti, Lucchini, Edison, Generali, Merloni. Nomi altisonanti di un salotto buono che possiede buona parte della ricchezza trasferita negli ultimi 30 anni dal monte salari al monte profitti & rendite.
La loro preghiera di ogni mattino è la stessa dei palazzinari che possiedono Tempo, Messaggero e Panorama, è quella che possa crescere quella ricchezza e che chi ci rimette in questo furto la prenda bene o sia punito per l’ardire.
Così dopo molti editoriali che servivano a mistificare le ragioni della crisi globale, ecco che ieri il messale del padronato italiano schiaffa in prima pagina un editoriale di Antonio Polito che manganella i senza casa, senza pietà alcuna. «Lo Stato non può sindacare il perchè di una manifestazione ma il come. Può dunque vietare anche preventivamente un corteo che non dia garanzie di essere pacifico e senza armi», ha scritto Polito riferendosi alla manifestazione per la casa del 12 aprile, preoccupato per il prossimo corteo del maggio romano contro il piano casa del ministro Lupi. «Il decreto – ricorda – contiene un articolo che stabilisce l’ovvio e cioè che ‘chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non puo’ chiedere la residenza nè l’allacciamento ai pubblici servizì(…) Dunque i promotori hanno indetto una manifestazione in difesa dell’illegalità; e questo in un Paese libero e democratico è perfettamente nel loro diritto. Ma il punto è: hanno diritto a manifestare in difesa dell’illegalità anche illegalmente, cioè trasformando il corteo in guerriglia, al fine di saldare i conti con i poliziotti? Secondo noi no (…) I cittadini, ricorda Polito, hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi “chi si presenta con casco, la spranga, i razzi nello zaino, e una tuta per mimetizzarsi, non rientra nella fattispecie costituzionale e perde il suo diritto(…) Non c’è eccesso di reazione delle forze dell’ordine, per quanto sanzionabile anche penalmente, che non sia una reazione. Dobbiamo dunque impedire in primo luogo l’azione (…) Anche l’ordine pubblico è un ‘bene comune’ in fin dei conti».
Quanto è lungo il passo dal piombo delle colonne di un giornale a quello delle forze dell’ordine per difendere il bene comune della proprietà privata di pochi? Tornando sulle colonne del Messaggero si capisce che quel passo potrebbe essere cortissimo.
Il ministro di polizia, Alfano (quello che vuole marchiare i manifestanti), torna da lì a promettere un piano per Roma contro «spaccio, la prostituzione minorile, l’abusivismo commerciale e un intervento con restrizioni più precise per quel che riguarda l’uso del centro storico per le manifestazioni». E’ una battaglia storica del giornale romano che un tempo fu progressista: chiudere il centro storico alla teppa, siano manifestanti o ragazzi di borgata in libera uscita. Qualcuno ricorderà l’idea di transennare la scalinata di piazza di Spagna per non far sedere i tamarri sui gradini. «Non possiamo accettare che la nostra Capitale diventi lo sfogatoio di tutte le proteste nazionali. E non possiamo neanche consentire che le splendide notti romane diventino scenario di violenze né, e torno ai cortei, che i turisti debbano restare chiusi in camera a vedere dai balconi le violenze in strada», ripete Alfano all’intervistatore rispolverando vecchi cavalli di battaglia del sicuritarismo: «Non voglio mai più vedere spacciatori davanti alle scuole dei bambini». La vecchia storia delle caramelle dagli sconosciuti per spacciare angoscia e seminare manganellate qua e là. La posta in gioco di quest’offensiva è complessa ma leggibile: da una parte c’è bisogno di blindare le città dalle eventuali proteste contro gli effetti devastanti dei piani di Renzi sulla casa e sul lavoro, dall’altro c’è la spasmodica corsa del Nuovo centrodestra verso l’asticella dello sbarramento elettorale dopo avere arruolato buona parte della fascisteria in libera uscita dal Pdl e pezzi delle sacche clientelari dell’Udc. Infatti l’intervista al ministro di polizia sulla sicurezza non cita nemmeno le parole mafia, cosche, criminalità organizzata. Come noto, non è quella la priorità di quel ministro, sarebbe una mancanza di rispetto imperdonabile.
Checchino Antonini da popoff
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Il pretesto è quanto accaduto nella manifestazione contro l’austerity del 12 aprile: la guerriglia urbana e soprattutto il coro di accuse alle forze dell’ordine, ancora una volta incastrate dalla prova televisiva come un calciatore scorretto qualsiasi. Ma l’obiettivo è il prossimo corteo, indetto per il 17 maggio, a una settimana dalle elezioni europee. Che fare, dunque? Rendere identificabili gli agenti come nel resto d’Europa, in modo da dissuadere teste calde e mele marce da gesti non previsti da nessun regolamento? Incalzare una politica assente a dare qualche risposta concreta al malcontento sociale che, inutile far finta di niente, si fa sempre più fatica a contenere e nascondere? Al contrario, per il quotidiano di via Solferino «non c’è eccesso di reazione delle forze di polizia che non sia una reazione. Dobbiamo dunque impedire in primo luogo l’azione», anche perché, è il secondo argomento a sostegno del divieto, non si può manifestare illegalmente in difesa dell’illegalità, per giunta.
La piazza del 12 aprile, a chi l’ha osservata da vicino, ha impressionato per motivi opposti rispetto a quelli che inquietano l’editorialista del Corsera Antonio Polito. Per la sua composizione sociale, innanzitutto: immigrati come il quarantacinquenne peruviano che si è fatto saltare una mano con un petardo, giovani cui il nostro Paese non è in grado di promettere alcunché e condannati ad arrangiarsi o a emigrare. Molti di loro provenivano da case occupate e urlavano slogan contro un articolo della legge Lupi che, per Polito, «statuisce l’ovvio», vale a dire che gli occupanti non possono allacciarsi ad acqua e corrente elettrica.
Viene da chiedersi in che Paese immaginano di vivere, alcuni autorevoli commentatori, e come facciano a non rendersi conto che oggi, in Italia, per migliaia di persone occupare un edificio abbandonato rappresenta l’unica alternativa alla strada e che nessuna legge statuisce un’altra ovvietà: che tutti avrebbero diritto di non avere per riparo la luna. Siamo sicuri che chiedere di proibire preventivamente le manifestazioni, a partire da quella del 17 maggio, non sia miope, ancor prima che dispotico?
Angelo Mastrandrea da il manifesto